Perché ora non ha senso colpire Speranza

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Servirebbe un po’ di buon senso. Merce rara, quando si parla di strategia politica in questi mesi. Discutere il ministro della Salute, Roberto Speranza, nel pieno di uno sforzo gigantesco per la gestione dell’emergenza sanitaria e per la campagna vaccinale, vuol dire, ancora una volta, anteporre gli interessi di parte a quelli di un Paese in grave difficoltà da più di un anno, ormai. Una cosa è mettere in discussione le scelte e denunciare gli errori, laddove ci sono, altra cosa è lavorare sistematicamente per demolire una delle figure centrali del governo, quella più esposta e più sollecitata dalla crisi che stiamo attraversando.

La risposta arrivata pubblicamente dal premier Mario Draghi alle sollecitazioni del leader della Lega Matteo Salvini, “ho voluto io che Speranza restasse ministro della Salute e ho grande stima per lui”, avrebbe voluto fermare uno stillicidio quotidiano. Che invece va avanti, come se sacrificare un capro espiatorio possa essere utile a qualcosa.

Una politica responsabile avrebbe il compito di discutere come affrontare i problemi e di dare risposte, a partire da quelle alle legittime domande delle categorie che più delle altre stanno soffrendo le conseguenze delle restrizioni necessarie a contenere la pandemia. Dovrebbe confrontarsi sulle soluzioni, spingere per far funzionare meglio il sistema dei ristori e degli incentivi, lavorare perché la distribuzione dei vaccini sia più rapida possibile, accorciando il tempo che manca a un progressivo ritorno alla normalità.

Servirebbero proposte, idee e la capacità di renderle praticabili. Servirebbe buona politica.

Invece, puntualmente, risale a galla la tentazione di riproporre sempre lo stesso schema: procedere individuando un nemico alla volta, un obiettivo alla volta da far cadere. È una cattiva abitudine che in una situazione di emergenza continua come quella che stiamo vivendo diventa ancora più pericolosa.

La questione non è valutare se Speranza sia o meno il miglior ministro della Salute possibile. Su questo è fisiologico che ci si possa dividere. Ma chiedere la testa di un esponente chiave di un governo che è stato chiamato a salvare il Paese, e che fino a prova contraria gode del sostegno di tutte le forze politiche ad eccezione di Fdi e di quello che resta di Sinistra italiana, non ha senso. A meno che non si dichiari apertamente che la corsa al consenso, quello facile, a buon mercato, viene prima di tutto il resto. Prima degli stessi interessi di chi va in piazza e non merita di essere strumentalizzato e prima di cinquecento morti al giorno.

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