Covid, le disuguaglianze della cura con anticorpi

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Sono 2.861 i pazienti trattati con gli anticorpi monoclonali anti-Covid autorizzati in Italia, seguiti in 163 strutture di 20 regioni. Ma proprio guardando al dato delle regioni, la ‘fotografia’ che arriva dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) evidenzia differenze macroscopiche. Differenze che sembrano mettere in luce come, su questa arma anti-Covid, le regioni vadano ancora una volta in ordine sparso.

I risultati appena pubblicati del monitoraggio attraverso il registro Aifa – relativo agli anticorpi bamlanivimab, bamlanivimab ed etesevimab, e casirivimab ed imdevimab – evidenziano infatti differenze che non possono essere soltanto collegate al numero di abitanti o all’andamento della pandemia di Covid-19 sui diversi territori.

Ma guardiamo i dati: dai 491 pazienti trattati con gli anticorpi in Veneto, passiamo ai 389 del Lazio, ai 328 in Toscana. Seguono: Puglia (230), Lombardia (223), Campania (191), Piemonte (190), Liguria (131), Sicilia (118), marche (113), Valle D’Aosta (89), Friuli (84), Emilia Romagna (79), Abruzzo 63, Umbria (54) Sardegna (28), Basilicata (25), Calabria (13), Provincia autonoma Trento (13) e Molise (9).

“Mi sembra evidente che c’è qualcosa che non va. La differenza nell’uso tra regioni di questo strumento sono macroscopiche”, commenta in post il presidente di Cittadinanzattiva Antonio Gaudioso.

“Allora il punto è molto semplice: o gli strumenti per curare i pazienti servono, e quindi vanno usati in modo appropriato e tempestivo, o non servono ed evitiamo di perdere tempo e soldi, ma francamente che ci siano differenze cosi ampie è veramente incredibile”.

“Penso che in una battaglia come quella che stiamo vivendo in questo momento, gli anticorpi monoclonali siano uno strumento importante a disposizione del servizio sanitario che, insieme ai nostri comportamenti responsabili che singolarmente possiamo porre in atto quotidianamente (distanziamento, mascherina e lavaggio mani) ed alla campagna vaccinale ci aiuteranno ad uscire dall’incubo Covid”.

“Sarebbe importante che sui dati che emergono dal monitoraggio Aifa intervenisse, tempestivamente, la comunità scientifica per dire se queste differenze sono giustificabili e perché“, conclude Gaudioso.

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