Sentenza storica su fine vita e suicidio assistito

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Storica sentenza sul fine vita in Italia. Il Tribunale di Ancona per la prima volta in italia, impone a una Asl di verificare le condizioni di un paziente per accedere al suicidio assistito, il tutto in attuazione della “Sentenza Cappato” della Corte Costituzionale). Ribaltando così la precedente decisione del Giudice, che aveva negato questo diritto.

A ricostruire le tappe della vicenda di Mario (che ha scelto un nome di fantasia per preservare la serenità famigliare), è l’Associazione Luca Coscioni. Mario ha 43 anni, abita in un paesino delle Marche e a causa di un grave incidente stradale che gli ha provocato la frattura della colonna vertebrale con la conseguente lesione del midollo spinale, è tetraplegico con altre gravi patologie da 10 anni. Le sue condizioni sono irreversibili.

Il 28 agosto 2020 ha chiesto alla sua Asl di verificare la sussistenza delle condizioni enucleate dalla Corte costituzionale per poter accedere al suicidio assistito.

A ottobre gli viene comunicato un diniego senza che vengano attivate le procedure indicate dalla Sentenza Cappato della Corte costituzionale: si stabiliva che per dar corso alle richiesta della persona interessata – in virtù di norme già in vigore nel nostro ordinamento – occorre verificare 4 condizioni: persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. La Asl ha negato persino l’attivazione delle procedure di verifica.

Con i legali dell’Associazione Luca Coscioni, Mario presenta un ricorso di urgenza al Tribunale di Ancona, affinché venga ordinato all’Asl la verifica delle sue condizioni. Il 26 marzo 2021, il giudice del Tribunale aveva confermato il diniego della struttura pubblica motivando che “il Tribunale, pur riconoscendo che il paziente ha i requisiti che sono stati previsti dalla Corte Costituzionale nella sentenza 242/19 sul cosiddetto Caso Cappato/Dj Fabo, afferma che “non sussistono […] motivi per ritenere che, individuando le ipotesi in cui l’aiuto al suicidio può oggi ritenersi lecito, la Corte abbia fondato anche il diritto del paziente, ove ricorrano tali ipotesi, ad ottenere la collaborazione dei sanitari nell’attuare la sua decisione di porre fine alla propria esistenza; né può ritenersi che il riconoscimento dell’invocato diritto sia diretta conseguenza dell’individuazione della nuova ipotesi di non punibilità, tenuto conto della natura polifunzionale delle scriminanti non sempre strumentali all’esercizio di un diritto” .

A seguito del reclamo all’Ordinanza di diniego, ne viene depositata una nuova dai magistrati del Collegio del Tribunale di Ancona dopo la discussione dell’udienza del 28 maggio in Camera di Consiglio.
Questa volta il Collegio del Tribunale Civile di Ancona, ordina all’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche di provvedere, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente, ad accertare:

a) se il reclamante Mario sia persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili;

b) se lo stesso sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli;

c) se le modalità, la metodica e il farmaco (Tiopentone sodico nella quantità di 20 grammi) prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile (rispetto all’alternativa del rifiuto delle cure con sedazione profonda continuativa, e ad ogni altra soluzione in concreto praticabile, compresa la somministrazione di un farmaco diverso).

I Giudici confermano quindi che Mario ha il diritto di pretendere che si effettuino gli accertamenti disposti dalla Consulta con sentenza 242/19, affinché l’aiuto che gli sarà fornito non sia reato ai sensi dell’articolo 580 del codice penale relativo al suicidio assistito. Dopo 10 mesi, Mario sarà finalmente sottoposto alla verifica delle sue condizioni che rendono non punibile l’aiuto al suicidio.

“Mario – commenta l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni e coordinatore del collegio difensivo dell’uomo marchigiano – ci ha messo 10 mesi, passando per 2 udienze e 2 sentenze, per vedere rispettato un suo diritto, nelle sue condizioni. Non è possibile costringere gli italiani a una simile doppia agonia. Occorre una legge. Per questo a fronte di un Parlamento paralizzato e sordo persino ai richiami della Corte costituzionale è necessario un referendum”.

“Per tutta l’estate chiederemo agli italiani di unirsi alla battaglia di Mario, e di altre persone che vogliono potere scegliere come morire, ma son costretti o a impegnativi viaggi all’estero o terminare la propria vita in un dolore che non vogliono sopportare. In tutta Italia dovremo raccogliere 500.000 firme tra luglio e settembre: è l’unica possibilità per legalizzare l’eutanasia in questa legislatura, altrimenti non se ne riparlerà prima di 3 o 4 anni, nell’ottimistica ipotesi che nel prossimo Parlamento ci sia una maggioranza favorevole. Stiamo ottenendo una risposta sorprendente, malgrado il silenzio della politica “ufficiale”, e puntiamo alle 10.000 disponibilità di volontari indispensabili per centrare l’obiettivo delle 500.000 firme da consegnare in Corte di Cassazione il 30 settembre”.

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