Tumore del rene, una malattia da 14mila casi l’anno

tumore del rene
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Subdolo e quasi invisibile, il tumore al rene avanza nell’organismo senza dare troppo nell’occhio, ma quando esce allo scoperto potrebbe essere già troppo tardi. Ecco perché mai come per questa malattia è determinante una diagnosi precoce. Una patologia che in Italia ha già colpito più di 144 mila persone e soltanto nel 2020 ha visto quasi 14 mila nuovi casi (13.521), in costante aumento anno dopo anno.

La diagnosi nella maggior parte dei casi è incidentale, fatta con ecografie e Tac effettuate per altre indicazioni di tipo urologico: disturbi della minzione, presenza di sangue nelle urine, dolore localizzato nella zona lombare. Questo è il motivo per cui un ruolo fondamentale lo assume proprio la figura dell’urologo. È da lui che si svolgono le visite annuali e qui possono essere individuati i primi segnali del problema, sia negli uomini che nelle donne.

Già, perché nonostante le nuove diagnosi e il numero di decessi colpiscano in netta maggioranza la popolazione maschile (il doppio rispetto a quella femminile, 9 mila contro 4.500), l’incremento per fasce di età riguarda invece i due sessi in misura molto simile. A sottolinearlo, la Società italiana di urologia (Siu) in occasione del 17 giugno della Giornata mondiale del tumore del rene organizzata dalla International Kidney Cancer Coalition. Dal 17 giugno, per tutto luglio, sul sito www.Siu.it saranno disponibili materiali informativi e la possibilità di contatto diretto con gli urologi Siu attraverso l’iniziativa #SiuRisponde.

“Si tratta di una neoplasia che spesso resta silente per la maggior parte del suo corso, si individua in modo occasionale in oltre la metà dei casi e nel 25-30% delle volte si manifesta già in fase avanzata”, spiega Walter Artibani, segretario generale della Siu.

“Eppure oltre il 50% dei pazienti guarisce, se diagnosticato in fase precoce. Di qui il ruolo cruciale dell’urologo, che nella grande maggioranza dei casi è la prima figura specialistica che incontra il paziente, nelle periodiche visite di controllo in caso di disturbi della minzione oppure dolore renale causato da calcoli. Parliamo di uomini e donne: l’urologo non è solo il medico dei maschi anche se i numeri del tumore del rene lo classificano come a maggioranza maschile”.

A oggi la maggior parte dei tumori del rene si individua soprattutto grazie a un’ecografia addominale prescritta per altri motivi, spessissimo proprio dall’urologo, per esempio per la possibile presenza di calcoli a margine di una colica renale. Ci sono tuttavia alcuni campanelli d’allarme che si possono cogliere per arrivare a una diagnosi precoce. Anzitutto la presenza di sangue nelle urine, poi un dolore localizzato nella zona lombare.

L’importanza dello specialista non si esaurisce qui. “Nei casi in cui la malattia neoplastica è limitata solo al rene sta all’urologo consigliare i test diagnostici per immagini e poi scegliere il trattamento”, osserva Rocco Damiano, ordinario di Urologia e direttore della scuola di Specializzazione e UOC Urologia dell’Università Magna Graecia di Catanzaro.

“Quando invece la neoplasia è avanzata e coinvolge altri organi vicini o distanti (metastasi) subentra l’oncologo, ma sempre nell’ambito di una valutazione multidisciplinare a garanzia di qualità ed efficienza del percorso diagnostico-terapeutico e assistenziale”, continua Damiano.

Ma quali sono oggi le principali cure per i malati di tumore del rene? “Il trattamento della malattia metastatica tiene conto dei livelli di rischio di sopravvivenza. Le opzioni terapeutiche più efficaci sono i trattamenti sistemici oncologici con l’impiego di farmaci antiangiogenici ed inibitori immunitari, in associazione dove possibile con trattamenti chirurgici sul tumore primitivo e/o sulle metastasi, e loco-regionali (come la radioterapia, la termoablazione o la crioablazione)” aggiunge l’urologo.

“E proprio nella chirurgia, radicale o conservativa che sia, la figura dell’urologo esprime tutta la sua rilevanza quando si tratta di tumore del rene. La tecnica chirurgica può essere a cielo aperto (‘open’), laparoscopica o robotica. Dal punto di vista oncologico i risultati nel lungo termine sono gli stessi, a prescindere dalle modalità di esecuzione. Ci sono alcuni vantaggi funzionali che favoriscono la chirurgia laparoscopica e quella robotica: minori perdite ematiche, riduzione del dolore post operatorio, più breve degenza ospedaliera, minor impatto sulle difese immunitarie e preservazione dell’integrità della parete addominale”, conclude Damiano.

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