Cefalea, smart working ma anche Covid e caldo

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Un cerchio alla testa, fitte continue, un dolore che dà la nausea. La cefalea è un disturbo molto diffuso, ma spesso se ne sottovaluta l’importanza e la potenziale pericolosità.

Troppo spesso, davanti a un episodio di cefalea, cerchiamo ‘scorciatoie’ per non preoccuparci, magari incolpando lo stress, o le ore davanti ai dispositivi, soprattutto in questi mesi di pandemia. Ma non sempre è così. Ancora una volta un corretto stile di vita svolge un ruolo davvero importante.

“La pandemia ha cambiato le nostre vite e stravolto le nostre abitudini – spiega Cherubino Di Lorenzo, responsabile del Centro Diagnosi e Cura delle Cefalee dell’Ini di Grottaferrata – esacerbando e peggiorando una patologia già molto diffusa: la cefalea. Un disturbo gestibile e comune, ma spesso sottovalutato. L’assunzione di analgesici aiuta a togliere il dolore, ma se il problema è ricorrente è meglio farsi visitare da uno specialista. Una diagnosi precoce evita la cronicizzazione e l’abuso di farmaci”.

“Lo stress legato alla pandemia ha influito notevolmente sui pazienti che soffrono di cefalee. Inoltre, è ormai noto che contrarre Covid-19 può acuire il mal di testa, o addirittura farlo insorgere ex novo. Ad esempio, ho visitato da poco una paziente ammalatasi di Covid-19 a marzo dello scorso anno e che da allora ha sviluppato una cefalea costante, sebbene sopportabile. Ma un dolore, per quanto lieve, che non scompare mai, alla fine debilita profondamente e fa “impazzire” il paziente”, racconta.

“Un altro aspetto che è giusto approfondire della relazione tra questa pandemia e l’insorgenza del mal di testa, riguarda il ruolo dei vaccini. Molte persone allarmate ci hanno segnalato di aver avuto una forte cefalea dopo la somministrazione del vaccino. Cerco sempre di tranquillizzarli. Vaccinarsi è importante. Se, e sottolineo se, dovesse manifestarsi un episodio di cefalea, di solito non sarà dissimile da quelli a cui il paziente è abituato. Sono cefalee che durano non più di uno o due giorni e sono facilmente risolvibili con un normale analgesico. Telefonare allo specialista è comunque una buona cosa. Anche in questi casi, il fai da te è sempre pericoloso”.

Sulla correlazione videogiochi e mal di testa, “in questo caso sarei per un ‘ni’ – dice Di Lorenzo – sicuramente stare ore davanti a un videogioco è un problema che in generale non deve essere sottovalutato, ma non è detto che ciò dia mal di testa. La cefalea da videogioco è spesso dovuta al fatto che il ragazzo non beve per non andare in bagno, e quindi si disidrata. Bisogna anche considerare la frustrazione che prova quando perde. Non è lo schermo il problema. Un tempo si diceva che stare troppo sui libri faceva venire il mal di testa. Ora non lo dice più nessuno. Era una falsa notizia. I veri fattori di rischio vanno cercati nei corretti stili di vita. Diverso il problema della dipendenza, una patologia seria che deve essere affrontata da specialisti e famiglia. Videogiochi e cefalea, quindi, lo ritengo un cortocircuito semplicistico e spesso una scorciatoia per non preoccuparsi che ci potrebbe essere altro. E a volte, è purtroppo altro”.

La correlazione tra smart working e cefalea merita, invece, “un’analisi non semplicistica. Esiste la cosiddetta sindrome del videoterminalista, ma non la ritengo responsabile di questa correlazione. Certo, trasportando il terminale dall’ufficio a casa, spesso aumentano le ore di lavoro, ma non diminuiscono impegno e concentrazione. Se fosse solo quello, osserveremmo una maggiore incidenza di cefalea nei ragazzi, che passano anche più di 12 ore consecutive a giocare ai videogame, con una concentrazione e concitazione paradossalmente maggiori rispetto a chi sta lavorando, ma non è così”.

Il reale problema è altrove. “Lo smart working purtroppo, se da un lato ci risparmia ore di traffico – continua l’esperto – dall’altro ci impedisce di uscire. Il lavoro è socializzazione, rapporto con i colleghi, possibilità di chiedere aiuto per risolvere un problema. L’essere da soli e decontestualizzati a casa può avere un impatto psicologico negativo che può causare delle ripercussioni importanti anche sul mal di testa. E poi, diciamolo francamente, uscire fuori di casa per lavorare significa letteralmente uscire. La pandemia ha provocato un cambiamento drastico degli stili di vita che possono causare episodi di cefalea”.

“Questo è il vero problema. In Italia ci sono milioni di persone che hanno passato e passano ore davanti a un terminale in ufficio, altrettante davanti al cellulare e che, una volta a casa, iniziano lunghe maratone televisive. E non è detto che abbiano avuto o avranno episodi di cefalea. Il mio consiglio, per le persone che sono in smart working, è di fare delle pause. E per pausa non intendo cucinare, aprire FB o rispondere a email personali. Significa, staccare la spina. Alzarsi in piedi, sgranchirsi le gambe e, se possibile, uscire di casa. Bastano poche centinaia di metri per distendere la muscolatura e la mente”.

“A tutti – conclude Di Lorenzo – consiglio di bere. La disidratazione è una concausa importante di violenti attacchi di emicrania. E con l’aumento delle temperature aumenta la tendenza a disidratarsi. Quindi bere spesso acqua, al limite una tisana fatta in casa, anche fredda, ed evitare bevande gassate piene di zuccheri. Altro consiglio importante è l’igiene di vita. L’emicranico deve essere metodico. Le giornate si allungano, si va a letto tardi, si cena tardi, si dorme di meno. Tutto questo ha ripercussioni negative sui soggetti emicranici. È importante – raccomanda – non stravolgere i propri bioritmi”.

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