Green pass tra vantaggi e criticità, l’analisi Gimbe

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Si fa presto a dire Green pass. “Nell’infuocato dibattito sui possibili utilizzi del Green pass in Italia, annebbiato da posizioni politiche estreme, si sono registrate inaccettabili e opportunistiche distorsioni di evidenze scientifiche e dati nazionali sull’efficacia dei vaccini pubblicati dell’Istituto Superiore di Sanità e di sicurezza pubblicati dell’Aifa”.

Lo sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ribadendo la propria posizione sul Green pass, ed esortando le forze politiche a non polarizzare ulteriormente gli estremi sull’utilizzo di uno strumento che “in questa fase della pandemia può giocare un ruolo cruciale”.

Il green pass “è efficace nel limitare la circolazione del virus e permette il rilancio in sicurezza di alcuni settori, prevenendo il rischio di un ritorno a eventuali restrizioni”, riflette Cartabellotta.

Nel breve termine, però l’utilizzo del green pass si scontra con alcuni ostacoli che, insiste Gimbe, devono essere rimossi: “L’attuale indisponibilità di vaccini discrimina chi è in attesa della vaccinazione, anche per la mancata gratuità dei tamponi in diverse Regioni. Servono strumenti e risorse per verificare sistematicamente le certificazioni nei luoghi dove sono richieste. Manca una legge sull’obbligo vaccinale per chi lavora in locali e esercizi dove viene richiesto il green pass”, elenca Gimbe.

Il green pass può avere un’applicazione immediata per i grandi eventi (sportivi, musicali, fieristici, congressuali) e mezzi di trasporto (aerei, navi e treni a lunga percorrenza), eventualmente anche per cinema e teatri. “Ma a breve termine il suo utilizzo per ristoranti e soprattutto bar è più complesso. Risulta invece più ardua una sua implementazione per il trasporto locale ed altri servizi essenziali (es. supermercati, farmacie, etc.)”.

La ventilata ipotesi di modulare il green pass in relazione allo status vaccinale (prima dose o ciclo completo) o ai colori delle Regioni “introduce ulteriori elementi di complessità difficili da gestire nella pratica”.

Quanto alla modifica parametri assegnazione colori Regioni, se da un lato è ragionevolmente certo che, rispetto alle ondate precedenti, l’aumentata circolazione del virus avrà un minore impatto sugli ospedali grazie alla copertura vaccinale di over 60 e fragili, dall’altro affidare un peso eccessivo (o addirittura esclusivo) agli indicatori ospedalieri per “colorare” le Regioni concretizza un “rischio non calcolato” per tre ragioni, avverte Gimbe.

Fa perdere di vista il monitoraggio della circolazione del virus, la cui entità ha comunque un impatto ospedaliero proporzionale alla sua diffusione.
È un indicatore meno tempestivo in quanto la curva delle ospedalizzazioni segue con un certo ritardo quella dei nuovi casi. L’introduzione di eventuali provvedimenti restrittivi sarebbe tardiva e produrrebbe un miglioramento solo dopo alcune settimane.

“Se Governo e Regioni intendono abbandonare il parametro dei contagi – conclude Cartabellotta – servono soglie molto basse per gli indicatori ospedalieri: non oltre il 5% di occupazione da parte di pazienti Covid-19 per le terapie intensive e il 10% per i ricoveri in area medica per rimanere in zona bianca. Se invece l’intenzione è quella di innalzare tali soglie, oltre ad accettare i rischi sopra descritti, bisogna mantenere tra i parametri di monitoraggio il numero dei casi per 100.000 abitanti, aumentando l’incidenza settimanale sopra i 50 casi per conservare la zona bianca e definendo un numero standard di tamponi per 100.000 abitanti per evitare comportamenti opportunistici”.

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