Tumore al seno, passo avanti nella terapia personalizzata

analisi Dna
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I geni Brca1 e 2 sono essenziali nei meccanismi di riparo del Dna. Mutazioni a carico di questi geni rendono meno efficiente il riparo del Dna dai danni a cui è costantemente esposto, e l’individuo portatore di tali alterazioni genetiche è più predisposto a sviluppare neoplasie, in particolare della mammella, dell’ovaio e del pancreas. Con più di 50.000 nuove casi all’anno, il tumore della mammella è il più frequente nel sesso femminile in Italia.

La forma eredo-familiare, legata alla trasmissione nell’ambito di una famiglia di queste mutazioni di predisposizione, rappresenta circa il 5% dei casi. Lo studio di queste famiglie ha consentito di mettere in atto dei protocolli per individuare precocemente i soggetti sani portatori della mutazione, da avviare a percorsi dedicati di sorveglianza e prevenzione.

A livello mediatico, il caso più emblematico di questa particolare condizione è quello di Angelina Jolie. Nella famiglia dell’attrice erano presenti diversi casi di tumore della mammella e dell’ovaio. Nel sospetto di una forma eredofamiliare, i membri della famiglia si sono sottoposti a test genetico per evidenziare possibili alterazioni. Angelina è risultata portatrice di una variante patogenetica del gene Brca1, e ha deciso di sottoporsi prima a rimozione chirurgica delle mammelle e successivamente delle ovaie.

Accanto ai percorsi di sorveglianza clinica e radiologica, la chirurga di riduzione del rischio fa parte dei protocolli standard di prevenzione in questi soggetti particolarmente a rischio di sviluppare neoplasie (il rischio di tumore mammario in un soggetto portatore di mutazione Brca nel corso della vita può infatti superare l’80%).

L’intuizione che questi meccanismi implicati nella cancerogenesi potessero essere sfruttati a scopo terapeutico ha portato un sostanziale cambio di paradigma. Nelle cellule normali l’alterazione di questi geni comporta un accumulo di danni sulle molecole di Dna che nel tempo, anche in relazione all’esposizione ad altri fattori di rischio, possono portare alla loro trasformazione in cellule cancerose.

In queste cellule tumorali, andare a inibire ulteriormente i processi del riparo del Dna con i farmaci inibitori dell’enzima Parp (un altro importante elemento nel processo di riparo del Dna) comporta il fenomeno della così detta “letalità sintetica”. Secondo questo meccanismo. l’inibizione di Parp nelle cellule tumorali che hanno già deficitario il meccanismo di riparo Brca-dipendente porta a morte le cellule tumorali, e ha ridotta tossicità sulle cellule sane. I farmaci Parp-inibitori hanno rivoluzionato l’approccio terapeutico di molte neoplasie, primo tra tutti il carcinoma ovarico.

Nel tumore della mammella, i farmaci Parp inibitori sono stati studiati in primo luogo nella malattia metastatica, con risultati estremamente rilevanti dal punto di vista clinico. In particolare lo studio OlympiAD ha dimostrato la superiorità di olaparib rispetto al trattamento standard in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia. Vista l’efficacia e il profilo di sicurezza, è stata quindi avviata la sperimentazione volta a valutare efficacia e sicurezza di olaparib nella malattia in fase precoce, dove il trattamento è somministrato con intento “adiuvante”, cioè per ridurre il rischio che la malattia si ripresenti.

I risultati dello studio randomizzato di fase III OlympiA, che ha coinvolto più di 400 centri in 23 Paesi, sono stati presentati a giugno scorso in sessione plenaria in occasione del congresso annuale della società Americana di Oncologia (Asco) e pubblicati in simultanea sul New England Journal of Medicine, a sottolinearne la rilevanza clinica.

Questo studio ha incluso più di 1800 pazienti con carcinoma mammario HER2-negativo e mutazione di Brca 1 o 2, definite ad alto rischio di recidiva per caratteristiche cliniche e biologiche della malattia. Rispetto al placebo, olaparib somministrato per un anno dopo trattamento chirurgico e chemioterapico standard ha dimostrato di ridurre in maniera significativa il rischio di recidiva. A tre anni, la sopravvivenza libera da recidiva nelle pazienti trattate con olaparib è risultata dell’86% rispetto al 77% nel braccio placebo, corrispondente a una stima della riduzione del rischio superiore al 40%. Il profilo di sicurezza è risultato accettabile, in linea con quanto osservato negli studi condotti nella malattia avanzata.

Questo studio di fatto segna un nuovo standard nel trattamento adiuvante del carcinoma mammario legato a mutazione Brca 1-2, e costituisce un ulteriore avanzamento nell’ottica della medicina di precisione.

Se fino a qualche anno fa individuare queste mutazioni serviva unicamente a scopo preventivo, oggi diventa uno strumento indispensabile per la selezione del trattamento più efficace. E’ quindi fondamentale che gli attuali percorsi diagnostico terapeutici garantiscano l’accesso al test per tutti i pazienti che, per caratteristiche cliniche, potrebbero beneficiare di questa nuova opportunità terapeutica.

*Valentina Guarneri, Università di Padova, Istituto Oncologico Veneto Irccs

 

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