Meno farmaci per gli anziani, effetto Covid

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Meno antibiotici, ma anche farmaci per l’osteoporosi, Fans e medicinali per cuore e vasi per gli anziani italiani. Con un effetto maggiore tra gli over 80. La pandemia di Covid-19 ha influito sull’andamento del consumo dei farmaci nella popolazione anziana.

Con visite e cure saltate, ma anche di un minor impatto delle malattie infettive delle alte e basse vie respiratorie grazie alle misure anti-contagio adottate per contenere Covid, elemento che ha portato a un calo nell’utilizzo di antibiotici e antinfiammatori Fans. Il quadro emerge da un rapporto realizzato dall’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali (Osmed) con il coordinamento dell’Agenzia italiana del farmaco Aifa e dell’Istituto superiore di sanità (Iss), presentato oggi a Roma. Protagonisti gli anziani.

Ebbene, secondo il report nel corso del 2019 la quasi totalità della popolazione ultrasessantacinquenne ha ricevuto almeno una prescrizione farmaceutica (98%), con lievi differenze tra aree geografiche, e consumi giornalieri pari a tre dosi per ciascun cittadino e una spesa pro capite annua di circa 660 euro. Ma a fronte del dato medio, il 29% degli uomini e il 30,3% delle donne over 65 utilizzano 10 o più medicinali contemporaneamente.

Covid-19 però ha cambiato le cose. “Durante i periodi di lockdown – si legge nel report – sia per la prima che per la seconda ondata, non è stato possibile eseguire prime visite o controlli per diverse patologie croniche a causa della riorganizzazione degli ospedali, che hanno dovuto far fronte a un numero altissimo di ricoveri” Covid, “e del timore, soprattutto delle persone anziane, di contrarre l’infezione recandosi in ambienti sanitari”. Per questo il report dedica un focus proprio al consumo dei farmaci nel 2020 fra gli anziani, in particolare per le malattie croniche, in confronto con l’anno precedente.

Il calo maggiore si riscontra per gli antibiotici (-22,9%), i farmaci per l’osteoporosi (-16,7%), gli ormoni sessuali e modulatori del sistema genitale (-17,6%), i Fans (-13,2%) e i farmaci attivi sul sistema cardiovascolare (-9,1%). Mentre la diminuzione inferiore si è registrata per farmaci ipolipemizzanti (-0,2%), antistaminici e antipsicotici (-1,0%) e l’unica classe di farmaci che ha mostrato una variazione positiva è stata quella degli anticoagulanti (+5,0%), con un gradiente decrescente da Nord a Sud. Ed è “probabilmente il risultato dell’aumento di prescrizioni per eventi tromboembolici Covid-correlati o per la loro profilassi”, osservano gli autori.

In termini di prevalenza di utilizzo, il decremento maggiore sembra osservarsi nelle fasce di età molto avanzate. Un dato che sottolinea come la popolazione più anziana possa avere avuto maggiore difficoltà ad accedere alle cure, senza escludere l’impatto delle ospedalizzazioni e mortalità legate a Covid osservate nella fascia di età degli ultraottantenni.

Non emergono rilevanti differenze di genere fra le varie categorie terapeutiche, se non per i farmaci oncologici che mostrano un maggior decremento negli uomini (-6,7%), superiore a quello delle donne (-2%). Al contrario, la classe degli ormoni sessuali e modulatori del sistema genitale registra una differenza negativa tripla nelle donne (-19,7%) rispetto a quella degli uomini (-6,3%). In generale, la classe di farmaci che presenta la minore variazione è quella degli ipolipemizzanti e l’unica con delta positivo resta quella degli anticoagulanti. Per la categoria dei farmaci attivi sui disturbi genito-urinari, si evidenza per gli uomini una riduzione (-2,5%), probabilmente dovuta a un minor numero di diagnosi per l’ipertrofia prostatica benigna (Ipb).

E ancora, analizzando le diverse fasce di età (65-69 anni, 70-74, 75-79, 80-84, ≥85 anni), si nota come le classi con le differenze più elevate rispetto all’anno pre-pandemia siano quelle degli ultraottantenni, dato che – fanno notare gli autori del report – potrebbe risentire dell’elevata mortalità e ospedalizzazione dovute a Covid nel 2020. “Questo spiegherebbe come mai alcune classi di farmaci, per esempio quelli per la terapia del dolore, i farmaci per la tiroide, i farmaci anti-Parkinson e i farmaci oncologici, non abbiano subito grosse variazioni prescrittive fino ai 79 anni per poi ridursi notevolmente nelle persone con 80-84 e 85 anni e più”.

Ma il report evidenzia anche un fenomeno particolare, legato alla fibra dei ‘super nonni’, quelli che hanno superato il traguardo dei 90 e dei 100 anni – oltre 800mila italiani, numero destinato a raddoppiare nel 2050 – e che traspare anche dal consumo dei farmaci. Questo aumenta con l’età fino agli 84 anni, ma poi sorprendentemente diminuisce nelle classi successive, proprio nei più anziani di tutti. Il fenomeno è stato fotografato nel rapporto Osmed.

Sebbene il 100% della popolazione over 90 abbia assunto almeno un farmaco nel 2019, per un totale di 3.620 Ddd (dosi definite giornaliere) per mille abitanti al giorno, si osserva questo fenomeno per cui i consumi diminuiscono dopo una certa età. Gli esperti chiamano in causa il cosiddetto ‘Healthy survivor effect’: solo i più sani e con meno malattie (quindi con un uso di farmaci più basso), sopravvivono fino all’età più avanzata. Questo fenomeno potrebbe essere la principale spiegazione.

Ma secondo gli autori del report, il dato può essere spiegato anche “da un’attitudine alla prescrizione meno ‘aggressiva’ nei centenari in cui il trattamento con farmaci ad azione preventiva, per i quali sono necessari lunghi periodi di tempo per il raggiungimento dell’effetto desiderato, può non apportare un reale vantaggio al paziente”, vista la ridotta aspettativa di vita.

A questo proposito nel report si esprime “perplessità” per i dati di prescrizione di alcune classi di questi farmaci ad azione preventiva, come ad esempio gli ipolipemizzanti (165,9 Ddd per mille abitanti al giorno) o i farmaci per il trattamento dell’osteoporosi (90,8 Ddd/1000 abitanti die). Nonostante dunque il numero dei medicinali utilizzati nei più anziani della Penisola risulti comunque inferiore rispetto alle classi d’età più basse, gli esperti sottolineano come vi sia “un significativo utilizzo di farmaci”, tra cui appunto gli ipolipemizzanti e gli anti-osteoporotici, “non supportato da una reale esigenza terapeutica”.

Sempre nel caso dei super-anziani, i consumi di farmaci sono più bassi nelle regioni del Nord (3.241 Ddd/1.000 abitanti die contro il dato nazionale di 3.620, così la spesa pro capite), e dopo i 90 anni i consumi e la spesa pro capite si riducono con l’aumentare dell’età sia negli uomini che nelle donne, ma entrambe le voci sono più alte negli uomini rispetto alle donne in ogni fascia d’età.

Considerando entrambi i sessi, per quanto riguarda i consumi si scende da 3.702 dosi Ddd/1.000 abitanti die nei 90-94enni, a 2.755 negli over 100. Le categorie terapeutiche più utilizzate nei nonni più anziani d’Italia sono state gli antipertensivi, gli antiaggreganti, i farmaci per l’ulcera peptica e malattia da reflusso gastroesofageo e gli ipolipemizzanti.

In generale “tra i principali risultati emersi – ha affermato Nicola Magrini, direttore generale dell’Aifa, introducendo i lavori – riscontriamo un sovrautilizzo della vitamina D non sostenuto da evidenze, l’uso inappropriato di antibiotici e di alcuni antiaritmici nel grande anziano, alcune possibili interazioni tra farmaci della coagulazione usati spesso in associazione, come Fans, anticoagulanti e antiaggreganti”.

“Questo nuovo Rapporto, centrato sul consumo dei farmaci negli anziani, rappresenta uno strumento prezioso per promuovere interventi e progetti mirati a migliorare la qualità e la sicurezza dell’uso del farmaco in questa popolazione – ha dichiarato Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss – Si stima, infatti, che un terzo degli over 65enni utilizzi 10 o più farmaci contemporaneamente. Questo rapporto aiuta a comprendere diversi aspetti di questo fenomeno individuando nella deprescrizione farmacologica, ovvero nella riduzione del numero dei principi attivi prescritti, una risposta mirata per garantire una maggior sicurezza e appropriatezza delle cure. Non sempre, infatti, la prescrizione di un numero elevato di farmaci – ha concluso Brusaferro – corrisponde alle migliori cure o a più salute”.

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