Donne medico tra Covid e soffitto di cristallo

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Si sentono penalizzate nei processi di progressione della carriera, troppo spesso i pazienti le chiamano ‘signorina’ anziché dottoressa. E, a causa della pandemia da Covid-19, in un caso su due hanno rimesso in discussione la propria carriera (un trend che le accomuna ai colleghi). Sono le donne medico in Italia, ‘fotografate’ da un’indagine che mette in luce l’esistenza di una importante disparità di genere, anche in questo settore.

Se la medicina si fa sempre più rosa, nonostante la percentuale di donne medico sia cresciuta negli anni, continua ad esserci una disparità di genere tra i professionisti sanitari in termini di opportunità di carriera, di trattamento ricevuto sul luogo di lavoro e di credibilità agli occhi dei pazienti.

La ricerca condotta da Univadis Medscape Italia – il portale di informazione per i professionisti della salute con notizie, strumenti, aggiornamenti e formazione continua per la classe medica – è stata effettuata online tra il 25 maggio e il 15 agosto 2021 su 1.779 intervistati (di cui 999 maschi e 780 femmine).

Ebbene, se la progressione della carriera riscuote un interesse paragonabile tra i due sessi, il genere sembra giocare un ruolo importante: il 44% delle donne si sente penalizzata contro il solo 10% degli uomini. L’impatto sembra attenuarsi nel caso del reddito, forse anche per le caratteristiche del campione, per lo più composto da medici dipendenti o convenzionati con il servizio pubblico, dove lo stipendio non è oggetto di contrattazione individuale.

A rimarcare la differenza di genere è il dato che sottolinea come i rappresentanti maschili del campione siano divisi quasi a metà tra chi ha un ruolo direttivo e chi no, fatto che non vale per il sesso femminile: solo 1 donna su 3 ricopre un ruolo apicale, mentre circa il 48% riferisce di aver personalmente subito un trattamento diverso sul luogo di lavoro perché donna. Questo sentimento risulta preponderante nella generazione X (nate tra 1981 e il 2000), “probabilmente più consapevole dei propri diritti rispetto alle generazioni precedenti”, scrivono gli autori del report.

Anche in questioni in cui teoricamente la qualità scientifica dovrebbe essere l’unico metro di giudizio, le donne hanno la chiara percezione di partire svantaggiate: oltre 1 su 5 trova ingiustificate difficoltà a pubblicare nella letteratura scientifica e 1 su 3 a essere invitata a presentare le proprie ricerche in un consesso di colleghi.

Il gender gap viene spesso enfatizzato anche dai pazienti stessi e dai loro familiari: è infatti emerso dall’indagine che le donne medico vengono spesso confuse con altri professionisti sanitari – come ad esempio gli infermieri – e hanno una minore credibilità agli occhi del malato, del loro accompagnatore e a volte dei colleghi uomini, specialmente se il rapporto lavorativo è occasionale.

“La mancata credibilità agli occhi dei pazienti e dei propri colleghi, oltre all’esistenza di stereotipi di genere che portano a sottostimare le caratteristiche personali realmente necessarie per svolgere una particolare funzione, generano nelle donne medico un sentimento di frustrazione che si aggiunge alle difficoltà già note di queste professioniste – commenta Daniela Ovadia, coordinatore editoriale Univadis Medscape Italia e autrice del report – Essere chiamate ‘signorina’, piuttosto che con il proprio titolo lavorativo, dimostra come sia necessario un cambio di passo per dare una reale possibilità alle professioniste di dedicarsi alla carriera senza dover sacrificare la vita privata e gli affetti”.

Ma in cima alle preoccupazioni dei medici italiani, a prescindere dal genere, c’è la ricerca di un difficile equilibrio volto a conciliare vita privata e professionale – indicata dal 40% dei maschi intervistati e dal 33% delle femmine, con una differenza modesta tra chi ha figli e chi non ne ha. In questo contesto la pandemia ha aumentato la pressione associata a questo lavoro influendo sul modo in cui i medici vedono la propria professione, con 1 donna su 2 che è stata spinta a rimettere in discussione la propria carriera di medico per motivazioni quali l’eccessiva richiesta di sacrifici senza riscontro economico, l’elevato livello di rischi e la necessità di dare priorità alla famiglia e ai propri affetti.

covid-19 ha però solo evidenziato alcune delle lacune del sistema lavoro che hanno portato negli anni ad una disuguaglianza sistemica: infatti, il 51% delle donne medico ha rinunciato ai figli per la carriera o ne ha avuti meno di quelli che desiderava, contro il 18% dei medici uomini, dato avvalorato anche dalle stime Istat che indicano come il 45,4% delle donne di  tra i 18 e i 49 anni è senza figli.

Come emerso dal report, malgrado un’apparente equa distribuzione di imprevisti ed emergenze, è la donna medico a occuparsi della gestione dell’ordinario familiare, sentendosi spesso in difficoltà a causa degli orari di lavoro. Da sottolineare anche la scorretta percezione della gestione della famiglia tra donne e uomini, con i secondi più convinti di essere protagonisti di un impegno paritario, ben più di quanto non percepiscano le donne che hanno risposto al sondaggio. Insomma, anche in medicina c’è ancora molto da fare per un’effettiva parità.

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