Leucodistrofia metacromatica, terapia genica promossa ma screening chiave

leucodistrofia metacromatica, il team
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Negli anni ricerca e terapia genica hanno fatto passi da gigante contro malattie rare come la leucodistrofia metacromatica. E questo grazia anche all’eccellenza della ricerca ‘made in Italy’. Ma insieme alla promessa di cambiare la storia clinica dei piccoli pazienti, questi progressi evidenziano l’importanza di intervenire precocemente, quando i sintomi della malattia non si sono ancora manifestati.

La terapia genica ha infatti il potenziale di cambiare la storia clinica dei bambini affetti da questa rara e letale malattia neurodegenerativa di origine genetica. A dimostrarlo sono i risultati a lungo termine – pubblicati su ‘The Lancet’ – che descrivono il profilo di sicurezza ed efficacia, in 29 bambini con leucodistrofia metacromatica del primo farmaco a base di terapia genica per questa patologia, approvato dalla Commissione Europea nel dicembre 2020 (Libmeldy). Un farmaco prodotto da Orchard Therapeutics, frutto di oltre 20 anni di ricerca condotta presso l’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano (SR-Tiget).

Lo studio – coordinato da Alessandro Aiuti, vice-direttore di SR-Tiget e professore ordinario di pediatria presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano – suggerisce l’importanza di intervenire precocemente: la maggior parte dei pazienti sono stati trattati prima che la malattia si manifestasse e hanno mostrato uno sviluppo fisico e cognitivo in linea con quelli dei bambini sani.

La ricerca è stata condotta grazie all’alleanza strategica tra Fondazione Telethon, Irccs Ospedale San Raffaele e Orchard Therapeutics e si è avvalsa della collaborazione di altri ospedali e istituti italiani, tra cui l’Università degli Studi di Perugia per le analisi biochimiche. Lo studio clinico è stato coordinato sino alla fine del 2015 da Alessandra Biffi, attualmente ordinaria di pediatria e direttore della divisione di oncoematologia pediatrica dell’Università degli Studi di Padova, che insieme a Luigi Naldini, direttore di SR-Tiget, ha contribuito allo sviluppo originale della terapia.

Lo studio pubblicato oggi è il primo lavoro a lungo termine sulla terapia genica per la leucodistrofia metacromatica e dimostra efficacia e sicurezza di Libmeldy nel prevenire la disabilità grave in questi bambini.

I medici e ricercatori hanno utilizzato molteplici indicatori, sia molecolari che clinici, per misurare il successo del trattamento: innanzitutto il livello di attecchimento delle cellule modificate nel midollo osseo dei pazienti e la quantità di enzima presente nel liquido cerebrospinale; ma anche lo sviluppo del sistema nervoso centrale – monitorato tramite risonanza magnetica – e l’evoluzione delle capacità cognitive e motorie dei bambini, valutate tramite test clinici standardizzati.

“Su 29 pazienti trattati, 25 hanno avuto un percorso di sviluppo sia fisico sia cognitivo del tutto simile a quello di bambini sani o hanno mostrato un rallentamento nella progressione del danno rispetto a quanto atteso. La terapia si è dimostrata ben tollerata e gli effetti collaterali più importanti sono stati collegati al trattamento chemioterapico che precede l’infusione delle cellule corrette”, affermano Francesca Fumagalli e Valeria Calbi, rispettivamente neurologa ed ematologa presso l’Unità di Ricerca Clinica di SR-Tiget e prime autrici dello studio.

Purtroppo, due pazienti trattati – i cui sintomi si erano manifestati prima della somministrazione della terapia – sono deceduti a causa della progressione della malattia. “I risultati dello studio clinico sottolineano l’importanza di intervenire il prima possibile: servono alcuni mesi, dopo l’infusione delle cellule corrette, perché i livelli dell’enzima Arsa tornino normali. La terapia può infatti prevenire la degenerazione a carico del sistema nervoso o rallentarla se somministrata nelle fasi più precoci, ma non può porvi rimedio se la malattia è già in rapida progressione,” concludono le due ricercatrici.

Ecco dunque l’importanza dello screening neonatale: un test semplice e non invasivo, che consiste in un prelievo di sangue fatto dal tallone del neonato e permette di riconoscere oltre 40 malattie genetiche metaboliche per cui oggi abbiamo una risposta mirata. Il test è gratuito e viene fatto direttamente in ospedale entro 72 ore dalla nascita. Purtroppo l’alterazione responsabile di leucodistrofia metacromatica non è ancora parte del test in Italia.

“Ora che è disponibile una terapia efficace per la leucodistrofia metacromatica, sarà fondamentale avviare il prima possibile i programmi di screening alla nascita per questa patologia,” afferma Alessandro Aiuti, coordinatore dello studio. “In assenza di un test di screening neonatale è impossibile sapere che la patologia è presente prima che si manifesti – quando, cioè, è spesso troppo tardi – a meno che non ci sia un fratello o una sorella maggiore a cui è già stata diagnosticata. E questo è il dispiacere più grande: il fatto che per ogni bambino che siamo stati in grado di curare con successo prima della comparsa dei sintomi, e che può potenzialmente avere una vita a tutti gli effetti normale, c’è un fratello o una sorella più grande che non ne hanno potuto giovare. Lo screening neonatale può cambiare tutto questo”.

Ma che cos’è la leucodistrofia metacromatica? Si tratta di malattia metabolica rara con un caso ogni 100.000 nuovi nati circa. È causata da mutazioni nel gene Arsa, che codifica per un enzima fondamentale nell’eliminazione dei sulfatidi. Nei bambini con le forme più gravi della malattia, l’enzima non è presente o non funziona e i sulfatidi si accumulano in diversi organi, tra cui il sistema nervoso centrale e periferico, portando a una rapida neurodegenerazione e alla perdita delle principali funzioni motorie e cognitive.

La terapia genica a base di cellule staminali del sangue modificate, funziona correggendo le cellule prelevate dai pazienti attraverso vettori lentivirali inattivati. I vettori, come delle ‘navicelle’, inseriscono dentro le cellule copie funzionanti del gene e queste vengono poi infuse nuovamente nel paziente, dove una volta attecchite passano il gene terapeutico alle generazioni di cellule successive.

“Una delle caratteristiche fondamentali di questa terapia è che le cellule geneticamente modificate, una volta infuse nel paziente ed attecchite nei tessuti, non si limitano a produrre l’enzima mancante, ma riescono a distribuirlo alle cellule circostanti che vengono così corrette nel loro difetto metabolico. Ciò permette di distribuire il beneficio terapeutico nei tessuti del paziente, incluso il sistema nervoso, e di prevenire così la loro degenerazione, purché si agisca in modo precoce”, conclude Alessandra Biffi. Insomma, la tempestività è fondamentale perché la terapia genica funzioni. Ecco perché lo screening neonatale può fare la differenza.

 

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