Covid cresce in Italia, l’analisi di Cauda (Cattolica)

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Covid-19 torna a farsi sentire. Dopo cinque settimane la curva dei contagi inverte la direzione e punta verso l’alto. Lo testimoniano i dati della Cabina di Regia dell’Istituto superiore di Sanità che mette in luce il fatto che la diffusione dei contagi è particolarmente elevata tra i bambini, cioè nella fascia di popolazione che risulta meno vaccinata.

Secondo il monitoraggio della Protezione civile infatti solo il 33% dei bambini tra 5 e 11 anni hanno il ciclo vaccinale completo a fronte dell’89% della popolazione con più di 12 anni. Come a dire, ancora una volta, che è il vaccino anti-Covid a fare la differenza sul rischio di infezione. Fortunatamente non si registrano ancora colpi di coda per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri per le complicanze dell’infezione da Sars-Cov-2.

Quali sono le ragioni di questo quadro e cosa aspettarci nelle prossime settimane? Lo abbiamo chiesto a Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Professor Cauda, dopo oltre un mese di calo la curva dei contagi ha ripreso a salire: perché?
L’incremento dei casi nel nostro Paese è modesto. Soprattutto se raffrontato con quello di altri Paesi europei come la Germania. Le ragioni sono di due ordini: da un lato una minore attenzione posta dalle persone alle misure di prevenzione; dall’altro la prevalenza della variante Omicron che è più trasmissibile rispetto agli altri ceppi del virus.
La ridotta ripresa dei contagi è invece effetto della vaccinazione, che rende più protetti soprattutto coloro che hanno ricevuto anche la dose booster. E questo comporta anche meno ricoveri, perché in caso di contagio la malattia evolve con sintomi meno gravi rispetto a quanto accade nelle persone non vaccinate.

Il numero dei ricoveri non segue l’andamento della curva dei contagi: questione di tempo?
Abbiamo imparato che gli effetti dei contagi sui ricoveri si vedono dopo circa 15 giorni. Quindi è ancora presto per dire se ci sarà o meno un aumento degli accessi ospedalieri per le complicanze dell’infezione. La situazione che vediamo in altri Paesi come Regno Unito e Danimarca, comunque, ci fa ben sperare: in quelle nazioni a seguito della ripresa dei contagi non si registrano particolari stress sugli ospedali. Anche i report dell’Oms ci dicono che la variante Omicron è sì più trasmissibile, ma meno grave.

Ci avviamo verso il 31 marzo, data che segna la fine dello stato di emergenza e quindi del progressivo allentamento delle misure anti-Covid: come valutare la ripresa dei contagi?
Ci stiamo avviando verso una stagione che ci farà stare più all’aperto e meno al chiuso. Quindi dovrebbero esserci meno occasioni di contagio. Non vorrei, tuttavia, che queste considerazioni mediche ed epidemiologiche facessero pensare a una fine della pandemia. Come abbiamo visto anche nei due anni passati, colpi di coda ci sono stati proprio nel periodo primaverile. Personalmente sono dell’idea che siano maturi i tempi per una nuova fase di convivenza con il virus. Ciò significa essere consapevoli che il virus continua a esserci e bisogna comunque prestare attenzione a situazioni che possano favorire il contagio. Sempre personalmente non sono favorevole allo stop immediato alle mascherine al chiuso. Ma queste sono decisioni che spettano alla politica.

Un’ultima battuta su una possibile relazione tra l’emergenza umanitaria che sta portando migranti di guerra dall’Ucraina al nostro Paese e Covid-19. È possibile che ciò influisca negativamente sui contagi? 
Sappiamo che il tasso di non vaccinati nelle aree dell’Est Europa è di oltre il 60%. Tuttavia il numero di migranti per ora giunti in Italia è ancora molto piccolo. Ad ogni modo, trovo molto corretto che il nostro Paese offra la possibilità di un percorso vaccinale gratuito ai migranti che lo accetteranno. In questo senso sarà fondamentale l’opera dei mediatori culturali, affinché ciò possa avvenire nel rispetto della sensibilità dei singoli.

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