Chirurgia robotica tra passato e futuro, intervista a Franca Melfi

Franca Melfi
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‘Grande chirurgo, grande taglio’. Quello che 20 anni fa era un dogma, è stato ormai rivoluzionato dalla tecnologia, che consente interventi sempre più mininvasivi, con trauma ridotto per il paziente, un recupero più rapido e tempi di degenza ‘tagliati’ rispetto a un approccio tradizionale. Anche grazie allo sviluppo di un particolare tipo di chirurgia mininvasiva: quella con il robot. Pioniera di questa tecnica è Franca Melfi, professore di Chirurgia toracica dell’Università di Pisa e direttore del Centro di chirurgia robotica e di chirurgia toracica mininvasiva robotica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana che, nel 2001, eseguì il primo intervento di chirurgia robotica al mondo su un paziente con tumore del polmone. E che da allora ha accumulato oltre 3000 operazioni col robot. Il viaggio alla scoperta di questa tecnica in Italia proseguirà nel numero di Fortune Italia in edicola ad aprile.

Professoressa Melfi, perché dedicarsi alla chirurgia robotica più di 20 anni fa?

Le cose a volte accadono anche un po’ per caso. Io mi occupavo già di tecnologia, perché facevo chirurgia mininvasiva toracica, e quindi era quasi fisiologico che, quando è arrivato il sistema robotico, me ne occupassi: rappresentava, almeno all’inizio, una evoluzione della mininvasiva. Inoltre ho avuto la fortuna, all’epoca, di avere questo sistema nelle mie sale operatorie: la chirurgia robotica nasce per la cardiochirurgia e le prime piattaforme sono state disegnate e utilizzate addirittura nel ’99 per interventi di cardiochirurgia.

Poi ci fu il primo intervento con il robot, una prima mondiale tutta italiana.

E’ vero. Oltre alla fortuna di lavorare in un dipartimento cario-toracico che stava utilizzando questo sistema, c’è stato il fatto che i cardiochirurghi lo abbandonarono quasi subito. Quindi ne sono diventata l’unica utilizzatrice, e ho avuto la fortune di usare questa macchina per un intervento di lobectomia polmonare per un tumore del polmone in un paziente di 57 anni. Questo è stato possibile in Italia perché all’epoca non c’era il permesso della Fda americana di applicare questa tecnologia in Usa per interventi sul torace, mentre in Europa era stato concesso il marchio CE. Quindi io, in quanto europea, sono riuscita ad utilizzarlo in Italia. Così il primo intervento, e la prima casistica di 5 casi di chirurgia robotica toracica, sono stati pubblicati per la prima volta nel 2002, con l’esecuzione il 28 febbraio del 2001.

Per caso sa come sta oggi il suo primo paziente, a distanza di oltre due decenni? 

E’ ancora vivo, anche perché era giovane quando è stato operato. All’epoca io avevo poco più di trenta anni.

Come è cambiata in questi anni la chirurgia robotica?

E’ cambiata tantissimo. E secondo me siamo ancora agli inizi. La chirurgia robotica di allora era uno strumento che utilizzavamo alla stregua di un bisturi: era una macchina che ci permetteva elementi migliorativi in termini di visione e mininvasività, ma era ancora in qualche modo rudimentale. Oggi le piattaforme che abbiamo sono già programmate e sviluppate per integrare tutto quello che viene definito digitale. Faccio un esempio: se sto operando e ho la necessità di avere una visione tridimensionale, in tempo reale posso visionare la ricostruzione in 3D, assolutamente fedele, del tumore rispetto alle parti circostanti. Non solo: oggi abbiamo una macchina che ‘parla’ con il tavolo operatorio. Se occorre per qualche motivo modificare, per motivi emodinamici, la posizione del paziente, oggi si può fare senza problemi.

Quali possono essere gli ulteriori sviluppi di questa metodica? Penso agli interventi a distanza.

Noi abbiamo un unico limite: il regolatorio. Ancora non ci sono le leggi che consentono interventi di chirurgia robotica a distanza. E’ possibile farlo come simulazione su modello animale, come è stato nel caso di una colicistectomia tra Strasburgo e New York, ma sul maialino. Non c’è ancora una regolamentazione adeguata all’evoluzione tecnologica. Ma questa potrebbe essere una prospettiva per il futuro, anche perché mentre in passato a ostacolare gli interventi a distanza c’era un gap di trasmissione, un ritardo, fra il comando e l’esecuzione, oggi abbiamo il 5G e questo ha creato le condizioni per superare questo piccolo problema.

La tecnologia corre velocemente. Ma agli inizi, in quanto giovane donna, ha sperimentato un po’ di pregiudizio?

Quando ho iniziato questa avventura non mi sono soffermata su questo aspetto, ma senza dubbio in qualche maniera è avvenuto il contrario: la chirurgia minivasiva e robotica all’inizio erano viste come una chirurgia di secondo livello. L’idea era quella del ‘grande taglio, grande chirurgo’, come ha detto lei. Non c’è stata molta attenzione per la chirurgia mininvasiva perché nessuno ci credeva, e io paradossalmente ho avuto molto spazio. Quando poi si era consolidata la situazione, è stato difficile modificare le cose. Ma devo anche dire che io dirigo una struttura da 1.300 casi l’anno di interventi di chirurgia robotica in tutte le specialità, e posso dire anche che questa tecnologia ha creato i presupposti per annullare i gap di genere. Qualche anno fa sono stata invitata a Bruxelles a parlare di equità delle cure ed equità di genere. Nella relazione e sottolineavo proprio questo aspetto: la tecnologia, e il fatto di poter insegnare chirurgia a distanza, fanno sì che vengano meno le differenze di genere. Credo che questo tipo di chirurgia ormai abbia abbattuto le barriere e i soffitti di cristallo. Voglio poi ricordare una particolare esperienza: nelle ultime due settimane ho operato due giovani donne  una di 36 e una di 31 anni, asportando in un caso due lobi polmonari e nell’altro uno. Ebbene, vedere la felicità di queste donne e il fatto che si siano riprese subito e abbiano conservato il loro aspetto è una fantastica conquista. La toracotomia, infatti, è estremamente invalidante.

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