Ucraina, profughi e rischi per la salute. L’analisi

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I profughi arrivati in Italia dall’Ucraina fino a venerdì erano circa 55mila, prevalentemente donne e bambini. La relazione esistente tra i flussi migratori dei profughi che scappano dai teatri di guerra e la salute è una delle tematiche sempre al centro delle strategie di accoglienza dei Paesi che si aprono ai rifugiati.

Nel caso dell’emergenza umanitaria conseguente all’invasione armata dell’Ucraina da parte della Russia, parlare di assistenza sanitaria ai rifugiati significa anche guardare al rischio di diffusione di malattie infettive. Polio, morbillo, tubercolosi, Hiv e Covid rappresentano i rischi principali secondo l’Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Control), l’agenzia Ue deputata proprio al monitoraggio delle malattie infettive all’interno dell’Europa.

Il report “Operational public health considerations for the prevention and control of infectious diseases in the context of Russia’s aggression towards Ukraine” pubblicato da Ecdc una decina di giorni fa, definisce preoccupanti le condizioni di promiscuità in cui i migranti si sono trovati a vivere. Prima all’interno dei rifugi, quando suonavano le sirene del coprifuoco, poi durante il viaggio che li ha portati in salvo oltre confine. Infine nei centri di prima accoglienza allestiti dai Paesi limitrofi all’Ucraina.

La trasmissione di agenti infettivi può essere favorita non solo da situazioni di sovraffollamento dovuti giocoforza all’arrivo massiccio di un numero elevatissimo di persone, ma anche dai bassi livelli di vaccinazione che spesso contraddistinguono i Paesi dell’Est Europa come l’Ucraina.

Rispetto alla polio, rileva l’Ecdc, gli ultimi dati relativi al 2021 parlavano di una copertura vaccinale dell’80%, con profonde differenze tra regioni che andavano dal 60 al 99%. A essere più esposti alle conseguenze di una possibile infezione sono soprattutto i bambini. Stesso dicasi per il morbillo, giacché la copertura vaccinale della popolazione ucraina nel 2020 era dell’81,9%, troppo bassa per evitare l’insorgenza di focolai. Quanto alla Tbc, l’Ecdc ricorda che l’Ucraina è uno dei primi 10 Paesi al mondo per farmaco-resistenza della tubercolosi.

Possibile emergenza anche rispetto al contagio da Sars-Cov-2. Da un lato per un tasso di vaccinazione che, a quanto è dato sapere, si ferma al 71,7%; dall’altro la prevalenza della variante Omicron, che i dati scientifici indicano essere più contagiosa rispetto a quelle precedenti.

Alla luce di questa situazione, cosa devono attendersi i Paesi che offrono ospitalità ai rifugiati e come si devono comportare per tutelare la salute dei migranti e quella dei cittadini ospitanti? “Le crisi migratorie portano spesso a focalizzare l’attenzione sul rischio infettivo ad esse collegato. Ma questo è un elemento, non necessariamente primario, dell’assistenza sanitaria a persone che fuggono dai loro paesi di origine”, spiega a Fortune Italia Flavia Riccardo, epidemiologa dell’Istituto superiore di sanità.

“L’Organizzazione mondiale della sanità, esprimendosi proprio sulle priorità per la sanità pubblica nell’aggiornamento sull’emergenza in Ucraina del 17 marzo, individua tre elementi. La gestione delle ferite/traumi legate al conflitto,  esigenze sanitarie materno-infantili (assistenza alle donne in gravidanza o che hanno partorito da poco, esigenze sanitarie di neonati e bambini). Infine indica le criticità connesse alla sicurezza alimentare e alle carenze nutritive”, derivanti dal non aver avuto accesso da diversi giorni ad acqua potabile e cibo.

Tornando ai Paesi ospitanti, e all’Italia in particolare, che rischi ci sono? Spiega Riccardo: “Fonti ufficiali indicano che ad oggi l’Italia ha accolto circa 55mila profughi ucraini. In alcuni paesi confinanti con l’Ucraina l’esigenza di ospitare un numero molto elevato di persone in arrivo in poco tempo ha portato all’istituzione di centri di prima accoglienza per cui il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie raccomanda specifiche azioni per ridurre il rischio di epidemie. Lo stesso centro descrive, in altri paesi dell’Unione Europea prevalentemente, un flusso di persone diffuso nelle comunità ospitanti. Questa dinamica presenta rischi specifici minori perché si riduce il rischio di sovraffollamento e delle condizioni ambientali ed igienico-sanitarie che possono favorire la trasmissione di agenti infettivi. In ogni caso, mi preme evidenziare che in Italia le linee guida prevedono che nelle tre fasi del percorso di assistenza/accoglienza si realizzino progressivamente visite, una presa in carico sanitaria, quindi anamnesi, esame obiettivo, screening per fornire una assistenza completa ai soggetti in arrivo. In questo modo è possibile garantire, ad esempio, una adeguata presa in carico sanitaria, con una diagnosi, l’inizio di un percorso terapeutico e/o il suo proseguimento ad esempio per coloro che erano in terapia precedentemente. Infine permette l’accesso strumenti di prevenzione come i vaccini”. 

“Quanto al rischio di contagio in Italia per le malattie infettive segnalate da Ecdc, dobbiamo ricordare molte di queste sono malattie prevenibili con la vaccinazione per cui, fortunatamente, abbiamo coperture vaccinali elevate in Italia. Questo include anche la prevenzione delle forme clinicamente gravi di Covid-19. La circolazione della variante Omicron di Sars-CoV-2 è dominante in tutta Europa ed i casi di infezione stanno aumentando anche in Italia. Per questo è essenziale rispettare le misure comportamentali raccomandate, ed in particolare distanziamento interpersonale, uso della mascherina, aereazione dei locali, igiene delle mani, riducendo le occasioni di contatto e ponendo particolare attenzione alle situazioni di assembramento.”.

Il Sistema sanitario nazionale e quello Regionale, per l’implementazione di misure sanitarie specifiche sul territorio si è attivato. Ne è un esempio l’Emilia-Romagna che, si legge sul sito della Regione, alll’11 marzo aveva accolto 7.004 profughi di cui 3.715 adulti e 3.289 minori.

All’arrivo, adulti e bambini seguono screening di routine per valutare il loro stato di salute. A prescindere dallo stato vaccinale, comprovato da eventuale documentazione in possesso dei profughi, tutti vengono sottoposti a un test che escluda la positività alla tubercolosi. Conseguentemente saranno attivate eventuali profilassi o la somministrazione del vaccino.

Particolare attenzione è destinata ai minori per i quali, in base alla legge 119 del 2017, è prevista la vaccinazione contro le malattie a rischio epidemico quali: anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae tipo b, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella.

Raccomandate ma non obbligatorie per i maggiorenni le vaccinazioni contro difterite, tetano, pertosse, poliomielite, morbillo, parotite, rosolia e varicella, oltre che la vaccinazione contro l’epatite B in caso di screening negativo.

Quanto a Sars-Cov-2, entro 48 ore dall’arrivo sono previsti tamponi antigenici e molecolari per tutti i rifugiati ed è offerta gratuitamente la possibilità di iniziare o completare il ciclo vaccinale anti-Covid. Vaccinazione, quest’ultima, volontaria per gli under 50, obbligatoria per le persone oltre questa età.

I casi di positività al virus saranno posti in isolamento in strutture dedicate. Come avviene in tutta Italia, i rifugiati possono accedere praticamente a tutti i servizi erogati dal Ssn, incluse visite e cure specialistiche, come quelle dedicate ai malati oncologici.

A ciascuna persona viene associato un codice Stp (Straniero temporaneamente presente) con validità semestrale e rinnovabile, che prevede l’iscrizione al Snn con gli stessi diritti dei cittadini italiani per l’accesso alle prestazioni.

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