L’appello dei giovani medici contro la fuga dagli ospedali/VIDEO

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Dopo la ‘fuga’ dei cervelli, spesso giovani e ancor più spesso capaci, è tempo di ‘restanza‘. Un termine nato dagli studi antropologici sulla condizione del Sud Italia, che indica la scelta di chi decide di restare, rinunciando a recidere il legame con la propria terra e comunità d’origine non per rassegnazione, ma con un atteggiamento propositivo. Ebbene, la restanza si declina anche in sanità. Protagonisti, i giovani camici bianchi, preoccupati per la fuga della professione dagli ospedali del Servizio sanitario nazionale. Un Ssn che rischia di collassare per la carenza di professionisti.

“Se è vero che i giovani medici rappresentano il futuro del sistema sanitario, chiediamo al Governo che su questo futuro si investano le risorse necessarie affinché nessuno debba più abbandonare gli ospedali e il nostro Paese alla ricerca di migliori condizioni di lavoro e di vita”, chiede Anaao Giovani al Governo, nella giornata in cui celebra i 13 anni dalla costituzione del Settore all’interno dell’Anaao Assomed.

“È di pochi giorni fa – dichiara Pierino Di Silverio, responsabile Nazionale Anaao Giovani – l’ultima indagine dell’Anaao che restituisce dati allarmanti sulla fuga dei colleghi dal servizio sanitario, vittime di un burn out che non dà tregua, sfiancati da ritmi e condizioni di lavoro disumani, un lavoro per il quale sacrifichiamo anche la vita privata. Non sono solo numeri, sono le storie di Michela, Jessica, Antonio, Marco, Matteo che ci hanno raccontato la loro esperienza di “emigrati” in Inghilterra e in Svizzera e che non tornerebbero nel nostro Paese perchè molto lontano dalla loro realtà attuale”.

Insomma, una volta ‘fuggiti’ all’estero, i nostri camici bianchi non tornano. “Per questo indichiamo al Governo alcune priorità che potrebbero arginare la fuga dei colleghi e riqualificare il capitale umano del nostro Ssn”, sottolineano da Anaao Giovani:

1) rinnovare il contratto di lavoro, mai o mal applicato in periferia e scaduto da quasi 4 anni. Un nuovo contratto che adegui le retribuzioni all’inflazione;
2) depenalizzare l’atto medico;
3) detassare almeno il lavoro straordinario;
4) investire sulle assunzioni per permettere di adeguare i piani di lavoro alla normativa sull’orario;
5) avviare una riforma strutturale della formazione.

Su quest’ultimo punto Anaao Giovani ha una proposta ben precisa: favorire il passaggio della formazione dall’Università all’ospedale, svincolandola dalle dinamiche universitarie per legarla al fabbisogno e alla programmazione del Ssn.

I medici specialisti servono subito, ma occorre assicurare una formazione adeguata e di qualità. Soprattutto alla luce dell’incremento di borse previsto per il futuro, ottenuto grazie all’intervento del ministro della salute Roberto Speranza, la capacità formativa delle Università non riuscirebbe a garantire una formazione di qualità e sufficiente.

Ma cosa succede all’estero? In Europa gli specializzandi sono integrati e spesso dipendenti dei servizi sanitari nazionali, ma in Italia sono un ibrido tra studenti e lavoratori, una figura assai difficile da inquadrare nell’ottica di diritti e doveri. L’Italia è l’unico Paese europeo nel quale l’Università ha il monopolio della formazione medico-specialistica. Una formazione la cui qualità, a detta degli stessi specializzandi, è spesso insufficiente e, quando confrontata con quella delle strutture del Ssn, nettamente inferiore (Survey Anaao Giovani 2017).

Una riforma strutturale deve prevedere il passaggio della gestione della formazione specialistica pratica dal Mur al ministero della Salute, con rilascio del titolo da parte dell’Università che continuerebbe a offrire la formazione teorica agli specializzandi, partecipando al controllo della qualità del percorso. L’attività professionalizzante si svolgerebbe, invece, in ospedali di apprendimento, strutture con volumi minimi soglia per ogni specialità, stabiliti dalle Regioni, compresi quelli universitari, attualmente detentori esclusivi della formazione medica specialistica e unici destinatari del lavoro prodotto.

Insomma, i giovani medici non vogliono lasciare il Ssn, ma per la loro ‘restanza’ non servono smartworking e digitalizzazione: occorre innovare il sistema. Un sistema che si è rivelato fondamentale in pandemia ma che sta affrontando – ormai da anni – una carenza di specialisti che rischia, davvero, di metterlo in ginocchio. L’invito dei giovani medici è chiara: ripartiamo dalla formazione specialistica.

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