Vista, novità dalla ricerca sul retinoblastoma pediatrico

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Novità dalla ricerca sul retinoblastoma pediatrico. L’Ophthalmology Times Europe si è occupato dello studio della dottoressa Carol Shields sul retinoblastoma unilaterale pediatrico. Questo tumore è determinato da una mutazione a carico di un gene, RB1, che controlla lo sviluppo oculare e che, se talvolta è ereditata da uno dei genitori, altre volte si presenta a livello embrionale. Nel primo caso, gli individui colpiti in età pediatrica potrebbero, a loro volta, trasmettere la patologia ai figli.

Più in particolare, si è riscontrato che nella maggior parte dei casi, il retinoblastoma è ereditario per tutti i bambini che lo sviluppano in entrambi gli occhi, e nel 15% dei casi è trasmissibile ai figli se in età pediatrica uno dei genitori ne è stato colpito a un occhio soltanto.

Il paziente con retinoblastoma può presentare una pupilla bianca, essere strabico o manifestare, comunque, problemi visivi. La malattia colpisce per il 2% la popolazione in età pediatrica e si sviluppa nei primi 2 anni di vita. Questo tumore si diffonde nel retro dell’occhio anche se, a volte, metastatizza attraverso il nervo ottico a livello cerebrale e i sintomi della sua diffusione consistono in inappetenza, vomito, cefalee acute.

E’ necessario, in caso di sospetto retinoblastoma, eseguire esami specifici, dall’ecografia alla Tac fino alla Rmi (risonanza magnetica). Qualora il tumore si espanda alle ossa o al midollo osseo, si deve eseguire una scintigrafia. Il medico deputato a diagnosticare questi casi di tumore nei bambini è il genetista, in quanto la mutazione genetica che ne è causa va valutata attraverso esami genetici.

In questo senso è importante informare i genitori sull’eventuale rischio per altri familiari, fratelli e sorelle, del paziente affetto da retinoblastoma unilaterale o bilaterale. E’ necessario, poi, eseguire diagnosi precoci, poiché in mancanza di trattamenti specifici, un bambino affetto da retinoblastoma può morire entro 2 anni. Tuttavia, la sopravvivenza per il retinoblastoma non diffuso, se ci si sottopone a trattamenti mirati che in alcuni casi arrivano anche all’asportazione dell’occhio, è del 90%.

Come è intuibile, la diagnosi è pesante sia per l’età dei bambini sia per la questione della familiarità che, a livello emotivo, implica scelte complesse riguardo all’ipotesi di avere figli naturali.

Ma la genetica e l’oftalmologia compiono passi importanti ogni giorno, per cui si auspica di poter presto intervenire prima che la malattia si manifesti.

I trattamenti che assicurano la sopravvivenza sono tutt’oggi validi, ma migliorabili. E comunque non disponibili egualmente in tutti i Paesi del mondo. Del resto la risoluzione dei problemi oftalmici è in costante evoluzione: ad esempio, la professoressa Sheri Rowen ha prospettato terapie innovative che riguardano l’occhio secco.

I progressi in questa branca della genetica e dell’oftalmologia, attraverso l’impegno degli scienziati coinvolti, porterà in tempi più o meno lunghi alla sconfitta di patologie che, soprattutto in età pediatrica, causano sofferenze e incidono fortemente sulla qualità di vita.

*Antonio Giordano, fondatore e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Filadelfia e professore di Anatomia ed Istologia Patologica all’Università di Siena (www.drantoniogiordano.com; www.shro.org). 

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