Attese e criticità sul territorio, i cittadini e la sanità

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Dopo Covid-19 i problemi della sanità italiana non sono cambiati, ma forse sono peggiorati: attese e burocrazia ostacolano l’accesso dei cittadini ai servizi sanitari. Il lascito della pandemia pesa sul Ssn, ma soprattutto sulla salute degli italiani, come mostra il “Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità”, presentato oggi da Cittadinanzattiva. “Un’iniziativa che ci consente di fare un punto sul nostro Ssn”, come ha detto in un videomessaggio il ministro della Salute, Roberto Speranza. 

“Questi due anni ci insegnano che il Ssn è essenziale nella costruzione della nostra capacità di dare cittadinanza alle persone – ha detto – Ora abbiamo un’opportunità, risorse che prima non c’era”. Dopo anni di tagli, oggi abbiamo 124 mld sul Fondo sanitario nazionale, ha rilevato il ministro. “Dobbiamo insistere insieme affinché le risorse continuino a crescere nei prossimi anni”, ha aggiunto Speranza, ricordando i finanziamenti del Pnrr e l’importanza di investire sugli uomini e le donne della sanità, ma anche sulla ricerca. 

Sfogliando il documento scopriamo che possono occorrere quasi due anni di attesa per una mammografia, circa un anno per una ecografia, una tac, o un intervento ortopedico. Così non stupisce che a rinunciare alle cure nel corso del 2021 è stato più di un cittadino su dieci. Mentre gli screening oncologici sono in ritardo in oltre la metà dei territori regionali e le coperture per i vaccini non Covid sono in calo. Buone notizie, invece, sul fronte della sanità digitale: qualcosa si è mosso, anche se il fascicolo sanitario elettronico è ancora poco utilizzato.

Il Rapporto di quest’anno fornisce una fotografia della sanità vista dai cittadini, unendo due analisi: una relativa alle 13.748 segnalazioni giunte, nel corso del 2021, al servizio PiT Salute e alle 330 sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato; l’altra finalizzata ad esaminare il federalismo sanitario per descrivere i servizi regionali dal punto di vista della articolazione organizzativa, della capacità di amministrare e di fornire risposte ai cittadini in termini di servizi e assistenza.

“Durante la pandemia – ricorda Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva – abbiamo fatto i conti con un’assistenza sanitaria che, depauperata di risorse umane ed economiche, si è dovuta concentrare sull’emergenza, costringendo nel contempo le persone a rinunciare a programmi di prevenzione e di accesso alle cure ordinarie. Ancora oggi abbiamo la necessità di recuperare milioni di prestazioni e i cittadini devono essere messi nella condizione di tornare a curarsi. Allo stesso tempo la pandemia ha evidenziato anche alcune priorità di intervento, prima fra tutte quella relativa alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale, oggetto di riforma con il Pnrr e di acceso dibattito. Tuttavia, occorrerà una lettura attenta dei contesti territoriali, individuando percorsi e non solo luoghi che favoriscano servizi più accessibili e prossimi ai cittadini, puntando molto sulla domiciliarità come luogo privilegiato delle cure, per avere maggiore attenzione alla qualità della vita”.

Della riforma dell’assistenza territoriale e della necessità di recuperare le prestazioni ordinarie sospese causa Covid, si parlerà anche nell’evento sulla campagna “Torniamo a curarci” di Cittadinanzattiva, in programma il prossimo 12 maggio all’interno di Exposanità a Bologna.

Le criticità della sanità. Liste di attesa per le cure ordinarie, ritardi nella erogazione degli screening e dei vaccini, carenze nell’assistenza territoriale sono i primi tre ambiti nei quali si sono concentrate, nel corso del 2021, le 13.748 segnalazioni dei cittadini.

Le liste d’attesa, tallone di Achille del Ssn in tempi ordinari, durante l’emergenza hanno rappresentato la principale criticità per i cittadini, in particolare per i più fragili, che di fatto non sono riusciti più ad accedere alle prestazioni. I lunghi tempi di attesa (che rappresentano il 71,2% delle segnalazioni di difficoltà di accesso) sono riferiti nel 53,1% di casi agli interventi chirurgici e agli esami diagnostici, nel 51% alle visite di controllo e nel 46,9% alle prime visite specialistiche. Seguono le liste d’attesa per la riabilitazione (32,7%) per i ricoveri (30,6%) e quelle per attivare le cure domiciliari (26,5%) e l’assistenza riabilitativa domiciliare (24,4%). Con la sospensione durante l’emergenza delle cure cosiddette non essenziali e non “salva vita”, si sono allungati a dismisura i tempi di attesa massimi di alcune prestazioni.

Il monitoraggio di Cittadinanzattiva mostra una situazione molto critica quasi ovunque, sconfortante anche l’esito delle verifiche relative ai percorsi di tutela per arginare il fenomeno delle liste bloccate. I percorsi risultano attivi solo in Basilicata, Marche, Trentino Alto Adige ed Umbria, nessuna misura sembra attivata in Liguria, Lombardia, Molise, Puglia, Sardegna e Toscana. Nessun dato è disponibile per le altre regioni, a conferma di quanto sia urgente introdurre misure di maggiore trasparenza sul blocco delle liste d’attesa.

Secondo le analisi di Corte dei Conti e Agenas-Sant’Anna di Pisa, per quel che riguarda la specialistica ambulatoriale si è assistito a una riduzione complessiva fra 2019 e 2020 di oltre 144,5 milioni di prestazioni per un valore di 2,1 miliardi; il volume dei ricoveri totali erogati (ordinari e in DH) nelle strutture pubbliche o private si è ridotto di circa 1.775.000 prestazioni (– 21%, 14,4% di quelli urgenti e – 26% degli ordinari). Le variazioni più marcate riguardano Calabria con un – 30,6%, Puglia con – 28,1%, Basilicata con – 27,1%, Campania – 25%. Nell’area oncologica, tra 2019 e 2020 c’è stata una riduzione di circa 5100 interventi chirurgici per tumore alla mammella (-10% a livello nazionale, con punte del 30% in Calabria; circa 3000 interventi in meno per tumore al colon retto (-17,7% a livello nazionale, la riduzione maggiore nella P.A. di Trento con un -39,6%); circa 1700 interventi chirurgici in meno per tumore alla prostata (in particolare in Basilicata -41,7%, in Sardegna -39,6% e in Lombardia -31,1%).

Nel 2021, l’11,0% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a visite ed esami per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio (Rapporto Bes Istat 2021). A livello regionale, permangono alcune situazioni particolarmente critiche, ad esempio in Sardegna dove la percentuale sale al 18,3%, con un aumento di 6,6 punti percentuali rispetto al 2019; in Abruzzo la quota si stima pari al 13,8%; in Molise e nel Lazio la quota è pari al 13,2% con un aumento di circa 5 punti percentuali rispetto a due anni prima.

Il 19,7% delle segnalazioni ricevute (sul totale di 13.748) riguarda proprio le difficoltà d’accesso alla prevenzione in particolare alle vaccinazioni Covid (75,7%), a quelle ordinarie (15,6%) e agli screening oncologici (8,7%). Nel 2021 medici di famiglia e pediatri hanno siglato accordi regionali e reso disponibile il loro ambulatorio per consentire le vaccinazioni ordinarie dei propri assistiti (92%). Meno frequente l’utilizzo delle farmacie comunali che sono oggetto di accordo regionale solo nel 45% delle regioni. Sono nel 30% delle regioni è stato possibile usufruire anche di luoghi alternativi per effettuare le vaccinazioni Covid e, durante la stagione autunnale/invernale, quelle antinfluenzale e antipneumococcica come: parrocchie, palestre, luoghi di aggregazione, scuole.

Nel 23% delle regioni Cittadinanzattiva ha evidenziato chiusure o rallentamenti delle sedute vaccinali: in particolare in Basilicata, Lombardia, Molise, Piemonte e Sardegna ci sono state criticità nell’avvio della campagna vaccinale antinfluenzale.

Per il 57% delle regioni si segnala la sospensione/ interruzione del normale svolgimento degli screening per tumore alla mammella, alla cervice, al colon retto.

C’è poi il tema dei costi e dell’accesso alle vaccinazioni: la spesa per vaccini è raddoppiata dal 2014 al 2020, passando da 4,8 a 9,4 euro pro capite. Ancora però 6 regioni non raggiungono la percentuale ottimale del 95% nella copertura dell’esavalente secondo l’ultimo dato del Ministero della salute (2019). Per il vaccino contro il morbillo, la copertura del 2020 mostra un generale peggioramento passando dal 94,5% al 92,7%. Le regioni più virtuose che superano il 95% sono solamente Lazio, Toscana e P.A di Trento, i punteggi peggiori si registrano in Abruzzo (62,16%) e nella P.A di Bolzano 77,12%.

Rispetto alla copertura vaccinale per la varicella, il dato è stabile (90,5% del 2019, 90,3 del 2020), meglio nel Lazio (95,2%), Veneto (93,4%) e P.A. Trento (92,7%). Le regioni che presentano percentuali inferiori sono: Abruzzo (55,6%), la PA di Bolzano (75,7%) e Valle D’Aosta (87,3%). In merito alla copertura per il vaccino antinfluenzale nella stagione 2020 – 2021, i dati mostrano ancora una sostanziale insufficienza in ogni regione (< 75%). In particolare sono la P.A di Bolzano, la Valle d’Aosta, e la Sardegna ad avere i dati di copertura più bassi. Le migliori risultano la Calabria (79) e l’Umbria (77,4%). Chi mostra i dati peggiori è la P.A di Bolzano (41,1%) e Valle d’Aosta (52,6%).

Caso Hpv: le ragazze undicenni che hanno effettuato il ciclo completo passano da un valore del 41,6% nel 2019 al 30,3% del 2020. I dati riferiti alla popolazione maschile segnalano tassi di copertura ancora molto bassi, 24,2% nel 2020 rispetto al 32,2% nel 2019.

Screening oncologici (i dati del 2019): sono 7 le Regioni che non raggiungono lo score ritenuto sufficiente secondo la Griglia LEA, ovvero 9: Calabria (2), Molise (3), Campania (3) Puglia (4), Sicilia (5), Basilicata (6), Lombardia (7). Solo l’Umbria mostra un miglioramento.
Nei due anni di pandemia, la riduzione del numero di persone esaminate (-35,6% cervice, -28,5% mammella, -34,3% colon retto) è piuttosto consistente per tutti e tre i programmi di screening con percentuali più contenute per lo screening mammografico.

Sanità territoriale: il 17,4% delle 13.748 segnalazioni ricevute dal PIT di Cittadinanzattiva fa riferimento all’assistenza territoriale, in particolare al rapporto con medici di medicina generale e pediatri di libera scelta (25,8%), di cui i cittadini lamentano lo scarso raccordo con gli specialisti e i servizi sul territorio, nonché la scarsa disponibilità in termini di orario, reperibilità e presa in carico.

A livello generale, è evidente il divario tra le varie Regioni e Provincie Autonome circa l’offerta di servizi Adi: nel 2020 hanno riportato una maggiore copertura l’Abruzzo (4,4% degli over 65 e 7% degli over 75), la Sicilia (4,0% e 6, 6%), il Veneto (3,8% e 6,2%), la Basilicata (3,7% e 6,1%), l’Emilia Romagna (3,6% e 5,8%). Le coperture più basse di ADI tra la popolazione anziana sono state riportate da: P.A. di Bolzano (0,5% tra gli over 65 e 0,7% tra gli over 75), Valle D’Aosta (0,5% e 0,7%), Calabria (1,0% e 0,7%), Puglia (1,9% e 3,1%), Lazio (2,2% e 3,7%).

In tema di assistenza territoriale nel Pnrr si punta moltissimo sulle Case della Comunità: se ne prevedono ben 1.350 (le vecchie Case della salute non raggiungevano le 500 unità), vale a dire in media una ogni 18.069 persone con patologia cronica. Inevitabili risultano le disparità territoriali: si va da Casa ogni 12.428 malati cronici in Calabria ad una ogni oltre 23mila malati cronici in Emilia Romagna, Liguria e Valle d’Aosta.

Analogamente, il Pnrr prevede 400 Ospedali di comunità, in pratica una struttura ogni 64.115 persone con patologia cronica. Anche in questo caso le differenze tra le Regioni sono rilevanti: la situazione migliore si registrerebbe in Basilicata (rapporto 1 a 47mila), la situazione peggiore (rapporto 1 a oltre 74 mila malati cronici) in Friuli-Venezia Giulia, Umbria, P.A. Bolzano e P.A. Trento.

C’è poi la salute mentale, da tempo trascurata e sotto finanziata dai governi di tutto il mondo. Ha ricevuto il colpo di grazia con la pandemia e il Pnrr vi dedica poca attenzione. Con il paradosso che proprio quando i disturbi mentali aumentano (e in Italia a farne le spese sono più che in passato i giovani tra i 18 e i 34 anni), i servizi sanitari a loro dedicati diminuiscono. Le problematiche segnalate dai cittadini al Pit Salute in tema di salute mentale (12,8% delle segnalazioni nell’ambito dell’assistenza territoriale) narrano della disperazione per la gestione di una situazione ormai diventata insostenibile a livello familiare (28%), della protesta per la scarsa qualità dell’assistenza fornita dai Dipartimenti di salute mentale (24%), delle difficoltà di accesso alle cure pubbliche (20%), nell’incapacità di gestire gli effetti collaterali delle cure farmacologiche (12%), nello strazio legato alle procedure di attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (8%).

Ebbene, in Italia si contano 126 Dipartimenti per la salute mentale e 1299 strutture territoriali: per 100mila abitanti, è la Toscana a registrare il valore più alto (7,5 strutture), seguita da Valle d’Aosta (5,7) e Veneto (4,4). Ben 15 le Regioni che presentano valori inferiori alla media nazionale (pari a 2,6). Per quanto riguarda il personale, la Liguria con 13,8 presenta il miglior rapporto medici/abitanti, seguita da Toscana e PA Trento (12,8 ciascuno). Anche in questo caso sono oltre la metà, ben 13, le Regioni che presentano dati inferiori alla media nazionale (pari a 9): maglia nera a Veneto (5,9) e Marche (6). Analogamente, il miglior rapporto psicologi/abitanti lo si registra in Valle d’Aosta (16), seguita da PA Trento (10,6); agli antipodi Basilicata (0,9) e Piemonte (1,3). La media nazionale è di 3,3 psicologi ogni 100mila abitanti.

Sanità digitale: prima dell’emergenza il livello di utilizzo della telemedicina superava di poco il 10%, durante l’emergenza ha superato il 30% per molte applicazioni. Il servizio più utilizzato è il Tele-consulto con medici specialisti (47% degli specialisti e 39% dei mmg), che raccoglie l’interesse per il futuro di 8 medici su 10. Seguono, in termini di utilizzo durante l’emergenza, la Tele-visita (39% degli specialisti e dei mmg) e il Tele-monitoraggio (28% e 43%).

I servizi di Telemedicina sono, invece, ancora poco utilizzati dai pazienti, non tanto per la mancanza di interesse, ma a causa dell’offerta ancora limitata. I pazienti dichiarano che la modalità più utilizzata per monitorare a distanza il loro stato di salute è una semplice telefonata oppure una videochiamata di controllo (23%). Molto meno utilizzati i vari servizi strutturati, come la Tele-visita con lo specialista (8%), la Tele-riabilitazione (6%) o il Tele-monitoraggio dei parametri clinici (4%).

Infine il monitoraggio realizzato dall’Agenzia per l’Italia Digitale mette in evidenza uno scarto tra attivazione ed utilizzo del fascicolo sanitario elettronico: mentre lo stato di avanzamento circa la realizzazione del Fse regionale raggiunge un valore tra il 90 e il 100% per tutte le regioni d’Italia, l’indicatore di utilizzo, da parte dei cittadini, dei medici e delle aziende sanitarie, come mostra la rilevazione svolta da Doxapharma e Crea Sanità, conferma che solo il 38% della popolazione italiana ha sentito parlare del Fse e solo il 12% è consapevole di averlo utilizzato almeno una volta.

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