Il valore del cibo made in Italy e i rischi legati alla guerra

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Il cibo è diventato la prima fonte di ricchezza dell’Italia, con un valore di 575 miliardi di euro nel 2021, oltre un quarto del Pil nazionale. Ma in questi ultimi mesi, dopo i fasti di inizio 2022, anche questo settore si trova a fare i conti con gli effetti – pesanti – della guerra in Ucraina.

La filiera alimentare segna un +7% rispetto al 2020, e questo nonostante le difficoltà legate alla pandemia. L’analisi della Coldiretti, diffusa in occasione di Cibus 2022, segnala un record storico (+21,6%) per le esportazioni alimentari Made in Italy nel 2022.

Il comparto agroalimentare, nell’insieme, vede impegnati 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio.

A preoccupare sono però gli effetti della guerra in Ucraina, con i rincari energetici, la carenza di materie prime e l’impennata dell’inflazione che stanno interessando i consumi in tutto il mondo.

I dati della ricerca

I principali Paesi importatori dei nostri prodotti sono la Germania, che segna un aumento nel bimestre dell’11,1%, gli Stati Uniti, al secondo posto, la cui crescita è stata del 21,9%, e la Francia, che chiude il podio con il 17,9%.

Una crescita eccezionale di domanda arriva dal Regno Unito con un +39,5%, nonostante la Brexit, mentre preoccupa il crollo del 29,5% in Cina dovuto probabilmente anche alle conseguenze della pandemia e dalla politica ‘zero Covid’ messa in atto dal governo cinese.

Alla base del successo del Made in Italy alimentare – spiega Coldiretti – c’è un’agricoltura che è diventata la più green d’Europa e vanta nel biologico 80mila operatori, oltre al maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg riconosciute (316)526 vini Dop/Igp e 5.333 prodotti alimentari tradizionali, a cui va aggiunta Campagna Amica, la più ampia rete dei mercati di vendita diretta degli agricoltori.

La Penisola – continua la Coldiretti – è il primo produttore Ue di riso, grano duro e vino e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea, come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivia, sedano e finocchi. Anche per quel che riguarda la frutta, l’Italia primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e pere fresche, alle ciliegie, alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne.

In 10 anni un campo di grano su cinque in meno

In Italia pesa il deficit di grano: importiamo il 64% del nostro fabbisogno per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui abbiamo bisogno per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti.

“L’Italia – ha commentato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi un terzo la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati. È importante intervenire per contenere il caro energia e i costi di produzione con misure immediate per salvare aziende e stalle e strutturali per programmare il futuro”.

“Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali – ha aggiunto – con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali”.

Quanto pesa la guerra

Secondo la Fao, i prezzi alimentari mondiali hanno raggiunto i “livelli più alti di sempre” a marzo spinti dalla guerra in Ucraina, che “causa shock” nei mercati dei cereali e dell’olio vegetale. L’aumento ha interessato principalmente i prezzi dei cereali, che “hanno registrato un aumento del 17,1% rispetto a febbraio, trainato dai forti aumenti del grano e di tutti i cereali minori, principalmente a causa della guerra in Ucraina”.

“C’è in atto una doppia tendenza – dice a Fortune Italia Carlo Gaudio, presidente di Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) – Da un lato ci sono i dati molto confortanti del comparto agroalimentare relativo al primo trimestre del 2022, che derivano da una voglia di rinascita sia da parte degli imprenditori che dei lavoratori del settore, dopo due anni di pandemia. Dall’altro – aggiunge – da febbraio, con lo scoppio della guerra in Ucraina, si sono aggiunti degli effetti negativi, come l’aumento dei prezzi e l’impennata inflazionistica, che sono stati immediati e che hanno in parte ridimensionato il successo dell’export. I rincari energetici e la difficoltà di approvvigionamento di materie prime fondamentali per l’agricoltura come i concimi, hanno portato tante aziende in crisi. Più del 10% delle aziende agricole hanno difficoltà tali da essere indotte alla chiusura. Il 30% circa di queste sta lavorando in crisi e o addirittura in perdita”.

La principale preoccupazione per le aziende agricole è costituita al momento dai rincari delle materie prime e degli strumenti necessari al lavoro: “Abbiamo rincari che vanno dal 10-15% degli imballaggi – spiega Gaudio – al 70% dei contenitori in plastica, al 75% delle cassette di legno fino ai fertilizzanti che hanno superato il 170%. Si tratta di aumenti così cospicui e così immediati, tali da produrre una crisi acuta delle aziende più fragili”.

Gli aumenti – si legge sempre nel rapporto Coldiretti – riguardano anche i concimi (+170%), i mangimi (+90%), il gasolio (+129%), con incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro in media, che arrivano a oltre 47mila euro per le stalle da latte e fino a 99mila euro per gli allevamenti di polli, secondo lo studio del Crea.

Nel complesso, l’impennata dei costi per l’insieme delle aziende agricole – precisa la Coldiretti – ha un impatto che supera i 9 mld di euro.

Lievitano anche i costi legati al trasporto su gomma, che registra un aumento del 25%, al quale si aggiunge – continua la Coldiretti – la preoccupante situazione dei costi di container e noli marittimi, con aumenti che vanno dal 400% al 1000%.

Come superare la crisi

“Serve responsabilità da parte dell’intera filiera alimentare con accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore anche combattendo le pratiche sleali nel rispetto della legge che vieta di acquistare il cibo sotto i costi di produzione“, afferma il presidente della Coldiretti Prandini, che sottolinea “la necessità di risorse per sostenere il settore in un momento in cui si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza che deve spingere il Paese a difendere la propria sovranità alimentare”.

“In qualità di presidente di un ente nazionale di ricerca, vorrei lanciare un appello alle Istituzioni – dichiara invece Gaudio – In periodi difficili come questo, è importante non disperare e, anziché diminuire, occorre aumentare gli investimenti in ricerca e in nuove tecnologie. Questo perché la digitalizzazione delle aziende e la ricerca nelle energie rinnovabili, nei biocarburanti, nel fotovoltaico e nell’agricoltura di precisone – continua – possono dare un grande aiuto nella risoluzione dei gravi problemi che affliggono le aziende in crisi, portare nuove energie, immettere nuovi prodotti sul mercato, e soprattutto mantenere la produzione a costi più bassi. Insomma, il valore della ricerca nei momenti di crisi acquista ancora più importanza“.

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