Donne e lavoro, il ‘caso Franchi’ visto da manager e ricercatori

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A 48 ore dalle dichiarazioni di Elisabetta Franchi su donne e lavoro, non si placano le polemiche piovute sulla stilista emiliana, che rischiano di avere anche un riflesso economico sul marchio. A proposito di donne e lavoro, in un Paese dove la natalità è ai minimi storici, Fortune Italia ha voluto chiedere un parere a Riccarda Zezza, Ceo di Lifeed e coautrice del libro ‘Maam – Maternity as a Master’, e ad Alessandro Rosina, docente di Demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica.

Elisabetta Franchi, dalle stelle alle stalle

Franchi, 53 anni e 23 di carriera, con 1.100 store multimarca e 87 monomarca presenti nelle più importanti città del mondo, vanta un fatturato da 123 milioni in epoca pre-Covid (2019), l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana (e quasi 3 milioni di follower su Instagram).

È stata anche celebrata in una docu-serie su Discovery+ e in diversi programmi televisivi; inoltre ha ricevuto il premio EY come ‘imprenditore dell’anno’ per “il suo coraggio, tenacia e costante impegno per un brand all’insegna della qualità, artigianalità e di fama internazionale”.

Non solo elogi. Franchi è stata spesso anche oggetto di critiche negli ultimi anni. Contrariamente alla maggioranza degli altri grandi marchi di moda, dopo l’inizio della guerra in Ucraina la stilista ha deciso di tenere aperti i suoi 15 negozi monomarca in Russia. A novembre dello scorso anno è stata denunciata dalla Cgil per gli straordinari imposti ai lavoratori della fabbrica a Granarolo. La vertenza sindacale è ancora aperta.

Il caso

Da sabato sera Franchi è al centro di una nuova bufera mediatica, che non accenna a placarsi. L’imprenditrice tra le altre cose ha dichiarato di aver spesso puntato su uomini, e di assumere donne in ruoli apicali solo dopo gli “anta”, perché “se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello”. Così sono “libere e tranquille e lavorano h24”.

Anche sul ruolo della donna nella società e nella famiglia, Franchi sembra avere le idee chiare: “Sono emiliana e nonostante sono così emancipata, noi donne abbiamo un dovere che è nel nostro Dna, i figli li facciamo noi, il camino lo accendiamo noi”.

La stilista ha sottolineato come la maternità sia un costo importante che grava sulle spalle delle aziende: “Mi parlate di lavoro femminile ma io da imprenditore, quando il marito la mette incinta, devo pagare gli assegni familiari, io devo pagare la formazione di chi la sostituisce, io devo fare il reintegro. Allora sai che ti dico: operaia te vuoi andare incinta, la botta te la do io!”.

Mamme italiane over 40 prime in Europa

Ma assumere donne dopo gli ‘anta’ basta a evitare i rischi paventati da Franchi? “Ormai le donne fanno figli anche dopo i 40 anni. Quindi gli imprenditori non sono ‘al sicuro’”, avverte Zezza. E in effetti i dati sembrano confermarlo: secondo la fotografia scattata da Eurostat nel 2017, l’Italia era il Paese in Europa con il più alto numero di donne che fanno figli tra i 40 e i 50 anni, secondo solo alla Spagna (8,8%) per la percentuale di mamme che fanno il primo figlio dopo i 40 anni (8,6%). Per non parlare del tasso di fecondità del nostro Paese: dalla metà degli anni ’80 è sotto 1,5 (oggi a 1,24), valore più basso della media Ue che si attesta a 1,53. Nel 2020, inoltre, le nascite sono scese a 404mila, ovvero 550mila in meno rispetto agli attuali cinquantenni.

Italia e natalità, l’analisi di Alessandro Rosina

Siamo il Paese dove la formazione della famiglia avviene più tardi rispetto agli altri Stati Ue – commenta Alessandro Rosina, docente di demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica – Facciamo figli più tardi sia per le difficoltà dei giovani a entrare nel mondo del lavoro, sia per i problemi di conciliazione tra lavoro e famiglia”.

“Per questo – aggiunge Rosina – la dichiarazione di Franchi lascia parecchio spiazzati. Soprattutto in un Paese come il nostro, con un tasso di natalità e con una valorizzazione dei giovani così bassi, e che avrebbe bisogno di politiche che invece consentano ai giovani di entrare nel mondo del lavoro in maniera solida e di fare carriera più velocemente, ma anche alle donne di conquistare posizioni diverse e portare sensibilità nuove nel mondo. Tutte queste resistenze sono quindi incomprensibili. Ancora di più se arrivano da una donna imprenditrice”.

I giovani oggi si trovano davanti a un mondo contraddistinto da un grado di complessità e di incertezze molto elevato. “La speranza è che possano incontrare politiche sociali e di welfare solide. È chiaro che le preoccupazioni valgono anche per tedeschi o francesi, ma lì i giovani riescono a realizzare molto meglio i propri progetti di vita. L’età in cui si ha il primo figlio in Francia è di 3 anni in media più bassa rispetto a quella italiana. È chiaro che per un giovane diventa importante – insiste l’esperto – vivere in un contesto in cui da un lato ci siano delle politiche adeguate, abitative così come quelle del lavoro e di conciliazione tra lavoro e famiglia, e dove siano previste soluzioni che consentano ai giovani e alle loro scelte di vita di integrarsi positivamente con la valorizzazione del capitale umano all’interno delle aziende”.

“La soluzione non può essere di certo quella di non assumere più giovani o donne in età fertile. Se questo è il messaggio che viene lanciato, i giovani stessi se ne andranno negli altri Paesi, come per altro già avviene”, conclude Rosina.

Per Riccarda Zezza non dobbiamo guardare il dito ma la luna

Sul caso Elisabetta Franchi, Zezza pensa invece che “stiamo guardando al dito (la stilista) anziché alla luna (il mondo del lavoro nel nostro Paese)”.

“Lei ha espresso alcune sue opinioni personali, che è libera di avere” spiega Zezza. “Probabilmente c’è anche un fondo di verità in quello che ha detto: in Italia è difficile far lavorare le mamme. Ed è difficile perché è il Paese che non supporta la maternità, non i singoli imprenditori. Questi ultimi, però, vengono chiamati a risolvere o a intervenire sui problemi strutturali del Paese, come l’assenza di condivisione parentale o di servizi per le famiglie. Inoltre qui manca una cultura che consenta alle donne di avere dei figli e contemporaneamente lavorare. La verità è che Franchi ha detto qualcosa che moltissimi imprenditori pensano, ma preferiscono tacere. Da parte dell’opinione pubblica c’è stata una reazione di pancia e lei ha pagato per la sua visibilità e per la sua schiettezza”.

Secondo Zezza, Franchi come imprenditrice e noi come Paese “dovremmo vergognarci perché siamo ancora fermi a questo punto. Basti pensare che l’Italia occupa la posizione 114 nel Global Gender Gap Report stilato dal World Economic Forum. All’ultimo posto (156) c’è l’Afghanistan: ci dividono solo 40 punti. Dovremmo stupirci del fatto che non siamo ancora tutte in piazze a protestare”.

“Le aziende possono fare molto, fermo restando che sono chiamate a risolvere un problema che è però causato a monte da una classe politica disinteressata e non all’altezza” chiarisce Zezza. “L’intervento delle aziende resta importante anche se sussidiario rispetto a quello politico, che manca”.

Stacanovismo non fa rima con produttività

Sulla questione dello stacanovismo richiesto ai dipendenti dagli imprenditori come Franchi sul lavoro, secondo Zezza “il nostro Paese è uno dei pochi in Europa in cui si lavora fino a tardi e dove si dà per scontato che si sia sempre disponibili e online, anche fuori dagli orari prestabiliti. Non c’è nemmeno bisogno di arrivare in Finlandia, già in Germania, che non è di certo un Paese poco produttivo, le persone alle 16:30-17.00 vanno a casa”.

“La vera domanda da porci è – continua – le donne non riescono a lavorare perché noi siamo ‘maleducati’ dal punto di vista lavorativo o il Paese è lavorativamente ‘maleducato’ perché non lavorano abbastanza donne? A me sembra ce l’Italia abbia preso un’impronta da famiglia monoreddito, ovvero si è organizzata attorno all’idea che uno della coppia lavora a oltranza (solitamente l’uomo), mentre l’altra sta a casa (la donna) e corre quando la scuola chiama”.

“Questo sistema si può disinnescare cambiando il punto di vista sulla maternità, sulla paternità e sulla vita in generale” conclude la dirigente. “Quello su cui lavoro da dieci anni è proprio l’idea di vedere questi eventi della vita come momenti di sviluppo delle proprie competenze e non come delle anomalie. Il cambiamento del paradigma ce l’hai quando rompi lo schema. Il non essere in ufficio H24 per 7 giorni a settimana permette di fare qualcosa che ricarica, migliora le competenze e riporta poi al lavoro con molta più energia. Scientificamente parlando è provato”.

Le reazioni social

Intanto i social non hanno dubbi. Dall’attore Alessandro Gassmann, che ha twittato: “Mi auguro che tutte le clienti under 40 della #Franchi cessino di acquistare i suoi prodotti, perché troppo occupate in altro”, alla giornalista di La7 Myrta Merlino che ha definito le parole di Franchi “misere”. “Avremmo bisogno di sorellanza – ha aggiunto – progresso, femminismo nei fatti. Forza ragazze. Vogliamo e siamo altro. Non molliamo anche quando altre #donne sono il nostro limite”, fino alla deputata del Pd Marianna Madia, che ha scritto su Twitter: “Una somma di stereotipi sciocchi su donne, uomini, giovani, lavoro e impresa. Per fortuna la nostra società è nel complesso più avanti di così, anche se le carenze di welfare sono ancora davvero troppe”. A proposito di lavoro H24, poi, lo stilista Brunello Cucinelli ha dichiarato: “Nessuno dovrebbe lavorare dopo le 17:30”.

La versione dei fatti della stilista

La rettifica della stilista non è tardata ad arrivare. In un’ intervista al Corriere della Sera ha dichiarato di non accettare “strumentalizzazioni: sono una donna imprenditrice a capo di un azienda da 131 mln di fatturato e che ha tirato avanti anche la famiglia, con grande fatica. Come può essere contro le donne chi ha al suo interno l’80% di forza lavoro femminile?”.

“Ho cercato di dare una risposta all’assenza di donne nelle posizione gerarchiche nella moda – continua Franchi – la conclusione è che donne dirigenti nel nostro ambiente non ne esistono, perché nel momento in cui una trentenne si assenta per maternità non ritrova la posizione che aveva lasciato. E questo perché da noi lo Stato non riesce a dare il sostegno che c’è altrove”.

L’imprenditrice emiliana ha fornito la sua versione anche sulla polemica riguardante le 24 ore di lavoro che pretenderebbe nella sua azienda. “La gente pensa che il lavoro della moda sia tutto un lustrino: è una realtà durissima, in cui bisogna stare sul pezzo e prendere al volo un aereo. Io stessa sono una madre che, dopo tre giorni dal taglio cesareo, era in azienda: è stata una violenza”. Guardando al futuro, spera che le cose possano cambiare. “Siamo in un’epoca in cui difendere gli uomini può essere un passo falso, ma in cui le donne vanno sostenute: mi auguro di trovare più dirigenti donne in futuro, ad oggi non ne vedo”.

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