Peste suina, i rischi per salute ed economia

cinghiali
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I recenti casi di peste suina che hanno colpito diversi cinghiali, prima in Piemonte e Liguria e negli scorsi giorni a Roma nel parco dell’Insugherata, hanno fatto balzare questa malattia infettiva agli onori della cronaca. Non tanto per affetto verso questi ungulati le cui carni allietano le nostre tavole a suon di ragù per pappardelle, quanto per le possibili ripercussioni sulla salute. Umana da un lato e dei cugini di allevamento, cioè dei suini destinati a diventare prosciutti e salsicce, dall’altro.

Ma come stanno le cose? Innanzitutto, come riporta il ministero della Salute, è bene sottolineare che la malattia non è trasmissibile all’uomo. Prima buona notizia. Diverso il discorso del contagio da animale ad animale.

Il responsabile della peste suina è un virus, del genere Asfivirus, in grado di infettare solo i suidi, cioè cinghiali e suini di allevamento. Ed è un’altra buona nuova: nessun rischio per i nostri animali da compagnia come cani e gatti. Tornando agli effetti sul bestiame, come è possibile che il virus arrivi fin dentro gli allevamenti?

Come spiega a Fortune Italia l’Associazione nazionale medici veterinari (Anmvi) “la peste suina africana (Psa) ha sostanzialmente tre vie di trasmissione: per contatto diretto tra animali infetti, per ingestione di carni e derivati infetti o di rifiuti alimentari contaminati, o attraverso oggetti contaminati come sule delle scarpe e veicoli”.

Cosa significa nella pratica? Che il virus della Psa può arrivare all’interno degli allevamenti di suini ragionevolmente in modo accidentale attraverso gli indumenti del personale o attraverso i veicoli zootecnici. Infatti è assai improbabile, se non impossibile, che un cinghiale (infetto) possa venire a contatto diretto con gli animali da allevamento.

Spiega Anmvi: “Ciò che si sta facendo per contrastare il diffondersi del virus in allevamento è la creazione di barriere di biosicurezza”. Tradotto, significa sanificare i possibili mezzi di trasmissione del virus (abbigliamento e veicoli) che possano portare involontariamente l’agente patogeno dall’esterno.

Nell’ottica di limitare la possibilità di trasmissione del virus nell’ambiente è importante però l’adozione di semplici regole di igiene anche da parte di cittadini e turisti.

Come ricorda il ministero della Salute: gettare sempre residui di carne fresca o stagionata di suino in contenitori chiusi. In questo modo si eviterà il contagi, qualora questi rifiuti siano infetti e vengano a contatto con i cinghiali che in alcuni contesti urbani arrivano a grufolare fin dentro i cassonetti dell’immondizia.

Quanto agli allevamenti suini, l’attenzione resta molto alta. Scongiurare infezioni e il conseguente abbattimenti dei capi è l’obiettivo numero uno. Perché il mercato di carne suina è molto importante per il nostro Paese.

Secondo l’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), ente pubblico sottoposto alla vigilanza del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, l’export di carne di maiale vale 1,8 miliardi di euro, pari al 4,1% del export agroalimentare italiano (dati 2020).

E, soprattutto, nel nostro Paese ci sono ben 32.500 allevamenti per un totale di 8,8 milioni di capi allevati, principalmente in Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Senza contare le realtà che compongono l’industria della trasformazione, molto orientata alla produzione di salumi Dop e Igp, che insieme generano un fatturato di circa 1,6 miliardi di euro.

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