Invecchiamento, la ricetta made in Italy per contrastarlo

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Se anche una inarrestabile come Elisabetta II inizia a mostrare segni di cedimento, in realtà esiste una strategia per assicurarsi di invecchiare al meglio. Questa è la buona notizia, mentre la cattiva è che bisogna darsi da fare, ‘armandosi’ di tuta e scarpe da ginnastica, ma anche facendo attenzione a ciò che portiamo in tavola.

La ricetta arriva da uno studio tutto italiano che ha individuato tipologia e quantità di attività fisica che, supportate da dieta personalizzata, permettono agli anziani di prevenirne i danni e favorire un invecchiamento di successo. I risultati dello studio Sprintt sono pubblicati sul ‘British Medical Journal’. Ebbene, secondo gli specialisti dell’Università Cattolica e della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs un intervento basato su esercizi aerobici, di forza, di equilibrio e su un programma alimentare individuale riduce del 22% il rischio di disabilità motoria negli over 70. Il primo passo per una longevità migliore.

Lo studio è stato condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze geriatriche e ortopediche della Cattolica, Campus di Roma e della Fondazione Policlinico Gemelli guidati da Roberto Bernabei, Francesco Landi ed Emanuele Marzetti nell’ambito dello studio Sprintt, un progetto europeo finanziato nel 2014 dalla Innovative Medicines Initiative (IMI-Joint Undertaking), una partnership pubblico-privata tra Commissione Europea e Federazione Europea delle Industrie Farmaceutiche.

Ma cosa è emerso? Nell’arco di un periodo di osservazione di 3 anni, la combinazione di esercizi aerobici (come camminare), di forza, flessibilità ed equilibrio, insieme a una consulenza nutrizionale personalizzata, ha ridotto del 22% il rischio di sviluppare disabilità motoria in anziani residenti in comunità con le tipiche caratteristiche dell’invecchiamento: fragilità fisica e diminuita muscolatura (sarcopenia), spiegano Bernabei, Landi e Marzetti.

Il fatto è che la fragilità è connaturata all’ invecchiamento, è il primo segno della diminuita capacità ad opporsi ad eventi negativi. Dalla fragilità si passa alle limitazione funzionali ed alla disabilità motoria a determinare un invecchiamento “patologico”, che poi è l’opposto del ricercato invecchiamento di successo.

Mentre la maggior parte delle persone non si aspetta di godere di perfetta salute in età avanzata, molti sperano che la propria condizione fisica permetta loro di lavorare fino a che ne abbiano voglia, uscire e socializzare, essere indipendenti e capaci di badare a se stessi. In realtà i costi economici della disabilità motoria in Italia e in Europa sono aumentati negli anni fino a raggiungere diversi punti del Pil. Dal report Istat del luglio 2021, si evince che in Italia sono circa 3 milioni e 860mila gli anziani con gravi difficoltà nelle attività di base della vita quotidiana, pari a oltre il 28% della popolazione di 65 anni e più. Le persone con gravi difficoltà nelle funzioni motorie e nelle attività di base sono più concentrate tra le donne che risiedono nelle regioni del Mezzogiorno rispetto agli uomini e alle donne che vivono al Centro o al Nord. Si stima che in Italia circa 1 milione e 400mila anziani (10,1%) viva con una forte riduzione dell’autonomia nelle attività essenziali della vita quotidiana, a fronte di una media Ue pari all’8,5%. Ecco perché è importante sviluppare delle strategie sicure ed efficaci per combattere la fragilità ed i suoi rischi ed al contempo preservare la mobilità nelle persone anziane per non incorrere in un ulteriore declino delle capacità funzionali e per promuovere un invecchiamento di successo.

I risultati dello studio Sprintt sono stati ottenuti in 1.519 uomini e donne (età media 79 anni) con “fragilità fisica e sarcopenia” reclutati tra il 2016 e il 2019 in 16 centri clinici di 11 Paesi europei. In tutto, 760 partecipanti hanno effettuato l’intervento combinato di attività fisica con supporto tecnologico e nutrizione e 759 hanno partecipato a un percorso di seminari sull’invecchiamento in salute (si tratta dei soggetti di controllo). Tutti i 1.519 partecipanti sono stati monitorati fino a 36 mesi.

Il gruppo trattato ha ricevuto 2 volte alla settimana sessioni di attività fisica di moderata intensità presso il centro di studio e fino a 4 volte alla settimana a casa. Le attività proposte comprendevano sessioni di camminata a passo sostenuto, esercizi di rinforzo muscolare prevalentemente degli arti inferiori, esercizi di equilibrio ed esercizi di flessibilità. Tutte le attività erano personalizzate. La quantità di attività fisica praticata è stata misurata periodicamente attraverso un actimetro posizionato sulla coscia per 7 giorni. Questa informazione è stata utilizzata dagli istruttori per monitorare i progressi di ciascuno e personalizzare la prescrizione del tipo e dell’intensità di attività fisica.

Tutti i partecipanti hanno poi ricevuto consulenze nutrizionali personalizzate, corredate da piani dietetici individuali, per ottimizzare il consumo di calorie e proteine con la dieta.
I partecipanti del gruppo di controllo hanno ricevuto una volta al mese una formazione sull’invecchiamento sano e un breve programma di esercizi di stretching per la parte superiore del corpo o tecniche di rilassamento.

Tra i partecipanti che all’inizio dello studio presentavano una maggiore compromissione della funzione fisica (punteggio alla SPPB di 3-7), la disabilità motoria si è verificata nel 47% di quelli assegnati all’intervento attivo e nel 53% dei controlli.

La funzione fisica è migliorata maggiormente nel gruppo di intervento che nei controlli sia a 24 mesi che a 36 mesi. Le donne nel gruppo di intervento hanno perso meno forza muscolare e meno massa muscolare in braccia e gambe rispetto alle donne del gruppo di controllo, mentre nessuna differenza significativa tra intervento e controllo è stata osservata negli uomini.

In un’analisi separata condotta nei partecipanti con una migliore capacità motoria di base,   l’intervento non ha modificato il rischio di sviluppare disabilità motoria e ha avuto effetti marginali sulle prestazioni fisiche. I ricercatori concludono che l’intervento testato “può essere proposto come una strategia per preservare la mobilità nelle persone anziane a rischio di disabilità”.

La ricerca conferma i benefici dell’attività fisica strutturata negli anziani che vivono in comunità, dice Thomas Gill, professore alla Yale School of Medicine nell’editoriale di presentazione dell’articolo pubblicato a sua volta sul British Medical Journal. Gill riconosce che può essere impegnativo tradurre nella pratica clinica i risultati degli studi anche quando progettati in maniera rigorosa, ma sostiene che le evidenze ottenute da Sprintt, insieme a quelli di un altro grande studio statunitense, il Life Study, “forniscono prove convincenti che la capacità di muoversi in maniera indipendente può essere preservata negli anziani fragili residenti in comunità attraverso l’attività fisica, con il camminare come modalità principale”.

Curiosamente anche lo studio Life è stato coordinato da un ricercatore italiano, il professor Marco Pahor della Univeristy of Florida. Un elemento che mette in luce l‘eccellenza del nostro Paese – noto nel mondo per la longevità dei suoi abitanti – nella ricerca sull’invecchiamento in salute. 

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