Melanoma metastatico: il successo dell’immunoterapia spiegato da Ascierto

Paolo Ascierto all'Asco
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L’immunoterapia cronicizza il melanoma metastatico. Quella del melanoma è una delle più importanti case history di successo di tutta l’oncologia. Fino a una decina di anni fa, una persona con melanoma metastatico poteva contare al più su una manciata di mesi di vita. Oggi un paziente su due è ancora vivo a 7,5 anni, come dimostra lo studio Checkmate 067, condotto con una doppietta di immunoterapici, nivolumab e ipilimumab e presentato al congresso americano di oncologia (Asco) in corso a Chicago.

Un risultato senza precedenti, dovuto all’immunoncologia, una branca che ha rivoluzionato il trattamento del tumore, ‘appaltandolo’ alle difese immunitarie del paziente, stordite e messe Ko in vari modi dal tumore.

Il melanoma è stata la palestra utilizzata dagli scienziati di tutto il mondo per studiare l’immunoterapia e imparare ad utilizzarla nel modo più efficace possibile, variando la sequenza dei farmaci e imbastendo associazioni tra diversi immunoterapici e tra immunoterapia e terapie a target. Sono terapie che hanno cambiato per sempre la storia naturale di tanti tumori, non solo del melanoma, ma anche di polmone, vescica, colon. E la lista di va allungando ogni giorno.

“I risultati dello studio Checkmate 067 – commenta a Fortune Italia da Chicago la massima autorità mondiale del settore, il professor Paolo Ascierto, direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie nnovative del ‘Pascale’ di Napoli – consolidano ulteriormente l’efficacia della combinazione nivolumab-ipilimumab in prima linea, con il 48% dei pazienti metastatici ancora vivi a 7,5 anni e dimostrano che l’effetto ‘memoria’ di ipilimumab perduri nel tempo, con un’efficacia che si mantiene a lungo termine, anche dopo la fine del trattamento”.

E mentre si sperimentano nuove sequenze e associazioni con i farmaci già a disposizione, si studiano nuove ‘vie’ biologiche da sfruttare nella lotta al cancro e per vincere la resistenza del tumore alle immunoterapie classiche (come gli anti-PD-1 e gli anti CTLA-4). Come quella volta ad inibire un nuovo checkpoint immunitario, il LAG-3, “una sorta di ‘freno’ – spiega Ascierto – utilizzato dal tumore per eludere la risposta alle terapie immuno-oncologiche ‘classiche’ come il nivolumab (un anti-PD-1). Il relatlimab, un nuovo anti-LAG-3, è stato testato in uno studio su 714 persone con melanoma metastatico o non operabile. Dopo un follow up di oltre 19 mesi, la combinazione relatlimab-nivolumab ha mostrato una risposta nel 43,1% dei pazienti, contro il 32,6% del nivolumab, in monoterapia. La riduzione del rischio di morte è stata del 20%”.

Relatlimab ha già ricevuto l’approvazione dell’Fda lo scorso marzo, ora si attende il via libera dell’Ema. E intanto, dallo scorso gennaio è rimborsata in Italia la combinazione ipilimumab-nivolumab, la prima scelta nei pazienti più ‘difficili’, quelli con metastasi cerebrali da melanoma e con forme mucosali e uveali (occhio).

Ma la grande sfida del futuro è quella dei biomarcatori, cioè riuscire ad individuare dei ‘segni’ all’interno del tumore, che consentano di capire quale paziente sia in grado di rispondere meglio a quale terapia, combinazione o sequenza, per personalizzare sempre di più il trattamento e andare a colpo sicuro contro il tumore, con le armi più affilate.

“Dobbiamo continuare a studiare – afferma Ascierto – per trovare soluzioni per quel 50% di pazienti che non risponde alle terapie oggi a disposizione. E intanto anche valutare come cambia la risposta al trattamento dei vari gruppi di pazienti, donne e uomini, pazienti con LDH elevato o basso, pazienti con 3 o più siti metastatici; come la dieta possa influenzare la risposta all’immunoterapia”. Una ricerca dell’MD Anderson Cancer Center, ad esempi, ha dimostrato che una dieta ricca di fibre aumenta la risposta all’immunoterapia.

“E non bisogna avere paura di utilizzare tanti farmaci insieme, perché ormai abbiamo imparato a gestirne le tossicità e perché c’è un obiettivo su tutto da portare a casa: salvare la vita al paziente. Ma abbiamo anche bisogno di biomarcatori – ammette Ascierto – per capire con quali pazienti osare di più con la terapia; questo sarà il challenge del futuro. Un interessante studio tedesco (NivoMela) sta trattando tutti i pazienti che abbiamo uno specifico profilo genetico detto ‘MelaGenix’ (messo a punto dalla NeraCare di Francoforte), per vedere se il test PRC su questo pannello di geni sia in grado di orientare la terapia”.

E bisogna lavorare anche per trovare nuove terapie per i pazienti che abbiano fallito la prima linea di trattamento, perché in seconda linea non ci sono farmaci da proporre. “Servono nuovi checkpoint inibitori (quello più interessantieallo studio, oltre al LAG-3 è il TIGIT) – conclude Ascierto – nuove combinazioni (ad esempio di tre immunoterapici insieme o con terapie a target), che offrano una chiave alle resistenze al trattamento. Un’altra frontiera è la terapia cellulare con TIL (tumour-infiltrating lymphocytes), prodotta dalla Iovance, da somministrare in associazione all’Interleuchina-2 che ha dato il 40% di risposta nei pazienti che avevano già fallito il trattamento. Infine sono al vaglio infine anche le performance di alcuni virus oncolitici”.

Insomma la lotta contro il melanoma non si arena con la prima linea e le speranze di trovare nuove soluzioni per quel 50% che ancora oggi non ce la sono sempre più concrete.

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