Inps, più dimissioni ma niente Great Resignation. È allarme salari

ufficio smart working lavoro

Le dimissioni aumentano, ma non abbastanza da parlare di Great Resignation, come quella che ha caratterizzato il mercato del lavoro americano degli ultimi anni. L’allarme sul lavoro italiano, però, è un altro: ci sono 3,3 mln di persone sotto la soglia del salario minimo.

In Italia nel 2021 le dimissioni sono passate da 950mila a 1,1 mln, secondo il XXI Rapporto Inps, che esclude che la fuoriuscita volontaria dal lavoro registrata in Italia lo scorso anno possa profilare una ‘fuga’ come quella segnalata dalle statistiche Usa.

Una fuga legata ad una riflessione indotta dal post Covid a favore di uno stile di vita meno focalizzato sul lavoro, parcellizzato, ripetitivo e vincolato, dopo una fase di riflessione e cambiamento favorito dalla pandemia.

“Senza ricorrere a interpretazioni troppo suggestive” si registra un’accelerazione della fisiologica mobilità di un mercato del lavoro in corso di adattamento, spiega l’Inps, ma che l’incremento non si sia tradotto in un fenomeno radicali di revisione e riduzione dell’offerta di lavoro “è evidente anche dall’analisi dei tassi di ricollocazione che restano alti”, spiega l’Istituto di previdenza.

In una parola chi lascia il lavoro, almeno in alcuni settori, lo ritrova: nel settore dei trasporti, costruzioni e metalmeccanico infatti il tasso di ricollocazione supera il 70%. Non la stessa cosa si può dire per i settori alloggio-ristorazione, terziario professionale dove i saldi di ricollocazione sono “negativi”. Complessivamente, comunque, circa il 4-5% dei ricollocati trova spazio nell’ambito del lavoro somministrato.

Il vero problema: gli stipendi

L’allarme sul lavoro è un altro, e non riguarda le dimissioni: ci sono 3,3 mln di persone sotto la soglia del salario minimo, 23,8% a meno di 9 euro l’ora, al di sotto dunque della soglia che la politica indica come un auspicabile salario minimo.

Le retribuzioni superano di poco i 1500 euro lordi al mese, e questo nonostante si tratti di lavoratori coperti dalle tutele della contrattazione nazionale. Sul lavoro povero, tema caldissimo al centro del dibattito politico sociale, ci sono “segnali preoccupanti”, annota l’Inps.

Il contratto, dunque, non sembra possa più costituire la garanzia a buste paga adeguate se si considera, come registra ancora l’Inps che, con riferimento a ottobre 2021, in 257 contratti nazionali, che coinvolgono 4,5 mln di dipendenti, il 10% delle retribuzioni mensili effettive si sia collocato al di sotto della soglia di 1.500 euro.

All’interno del perimetro contrattuale infatti si registrano “variazioni importanti”: se infatti, dice l’Inps, la retribuzione media giornaliera per i dipendenti a full-time è pari a 98 euro, in 6 tra i contratti principali è inferiore a 70 euro mentre nell’industria chimica è pari a 123 euro.

E se la retribuzione media annua nel 2021 per i full time ammonta a 24.097 euro, quasi in linea con il 2019 e poco più di quanto registrato nel 2020, c’è da considerare il “consistente aumento”, +16,2% , di quanti hanno lavorato per frazioni ridotte dell’anno guadagnando una media di 7.870 euro di retribuzione annua.

Non vanno meglio i dati degli ultimi 15 anni (2005-2021) che parlano di un “raddoppio” del numero di quei lavoratori con buste paga inferiori ai 1.000 euro, da 439mila a 905mila dello scorso anno, e di quel 28% di lavoratori , rispetto ai 18% del 2005, che guadagnano meno di 5.000 euro annui.

Anche all’interno di questo universo lavorativo, comunque, la situazione appare poco omogenea: per i dipendenti a part-time la retribuzione media giornaliera è pari a 45 euro, ma risulta inferiore a 40 euro al giorno per i dipendenti di alcuni comparti artigiani come il metalmeccanico, il sistema moda e l’acconciatura/estetica.

La situazione, dunque, conferma all’ l’Inps come “la distribuzione dei redditi si sia polarizzata in modo vistoso e la decrescita salariale sembrerebbe derivare essenzialmente dalla parcellizzazione della prestazione lavorativa, anche per effetto della eccessiva flessibilizzazione introdotta dalle riforme sul mercato del lavoro”.

Una situazione retributiva “decisamente frastagliata”, prosegue l’Inps, che registra un forte aumento delle disparità sul mercato del lavoro e un’accelerazione del coefficiente che ne calcola le diseguaglianze, l’indice Gini che nel 2021 sale a 46 dai 44 del 2019.

Per contro l’1% dei lavoratori più ricchi concentra nelle sue mani il 6,4% del reddito totale percepito dal lavoro dipendente e guadagna un ulteriore aumento di un punto percentuale della loro quota sulla massa retributiva complessiva.

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