La vitamina K e il segreto dell’immortalità

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Che la vitamina K fosse fondamentale nei processi di coagulazione del sangue, e quindi indispensabile nei processi di riparazione delle ferite e di protezione dalle emorragie è cosa nota. Che servisse anche a prevenire la morte delle cellule è invece la novità emersa dalle ricerche di un team dell’università canadese di Ottawa.

Secondo il lavoro scientifico pubblicato sulla rivista Nature, la vitamina K proteggerebbe le cellule dai danni provocati dal ferro a carico delle membrane cellulari che portano la cellula alla morte. Questo processo di morte cellulare, chiamato ferroptosi, avviene a seguito dell’ossidazione delle membrane da parte del ferro. Processo che invece è inibito dalla vitamina K.

In particolare i ricercatori hanno scoperto che la forma completamente ridotta di vitamina K (idrochinone della vitamina K) funziona da potente antiossidante intrappolando i radicali liberi dell’ossigeno che si formano all’interno delle membrane cellulari.

Un po’ come il coenzima Q10, il cui nome è noto anche al grande pubblico perché presente in numerosi cosmetici con proprietà anti-aging, la vitamina K essendo lipofila riesce a inserirsi all’interno della struttura delle membrane cellulari e a inattivare i radicali liberi. Evitando quindi che essi possano degradare le membrane stesse. Mantenendo la separazione degli ambienti intracellulari circondati dalle membrane così come la separazione dell’ambiente interno alla cellula da quello esterno, la cellula è in grado di mantenere le proprie funzionalità e quindi la propria vitalità.

Al di là dei processi biochimici svelati dagli esperimenti dei ricercatori, questa scoperta è molto importante per le applicazioni che essa potrebbe avere in campo medico. Secondo quanto noto nel settore di ricerca relativo alle malattie degenerative tra cui il morbo di Alzheimer, una delle cause della malattia sarebbe proprio la morte cellulare causata dal ferro. E le nuove evidenze scientifiche canadesi appena pubblicate potrebbero rappresentare la base per capire come poter trattare le malattie degenerative interessate da ferroptosi proprio con la vitamina K nell’ambito della prevenzione della malattia o della sua progressione.

Altra importante valenza di questa scoperta riguarda la comprensione dei processi di coagulazione. I ricercatori infatti hanno identificato un enzima, la cui identità era stata postulata ma è rimasta sconosciuta per più di mezzo secolo. E hanno anche dimostrato che questo enzima, chiamato Fsp1, è responsabile della via di riduzione della vitamina K insensibile al warfarin, che è uno dei più comuni farmaci anticoagulanti utilizzato nella pratica medica. Chiarendo così il meccanismo molecolare responsabile del fatto che la vitamina K costituisce l’antidoto per il sovradosaggio di warfarin.

Specifica poi il team di ricerca: l’attività protettiva della vitamina K nei confronti dei danni ossidativi dell’ossigeno si esplica attraverso entrambe le forme in cui essa può essere presente nel nostro organismo.

Ad agire da scudo contro i radicali liberi sarebbero infatti sia la vitamina K1 (fillochinone), che assumiamo principalmente con l’alimentazione attraverso gli ortaggi a foglia verde, sia la vitamina K2 (menachinone) prodotta a livello intestinale dalla flora batterica a partire dalla vitamina K1 nonché presente in alimenti come burro, uova e formaggio.

Questa estate quindi, oltre a proteggerci con le creme solari dai radicali liberi prodotti dai raggi Uv, ricordiamoci che possiamo fare molto per la salute delle nostre cellule anche con l’alimentazione.

Cerchiamo la vitamina K1 nelle fonti alimentari che ne contengono di più, come lattuga, spinaci, cavoli e broccoletti. E se proprio non siamo amanti delle crucifere, possiamo anche ripiegare sui legumi, e su frutti di stagione come mirtilli, fragole e fichi. Tenendo presente che solo il 10% di quella contenuta in questi alimenti viene assorbita dal nostro corpo. Bando quindi a lesinare nel consumare insalate e frutta fresca. Oltre a essere buona, fa anche bene.

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