Jessica Nardin (Novartis): Sanità efficiente con nuovi modelli di governance | VIDEO

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A 23 anni arriva a Bruxelles, nel cuore delle istituzioni europee, restando quattro anni per lavorare come Policy Advisor per un deputato italiano al Parlamento Ue. Nel 2016 Jessica Nardin torna in Italia e passa dall’altra parte della scrivania, dai portatori di interesse, il Public Affairs, “tra coloro che vogliono raccontare a istituzioni e decisori i punti di vista di aziende e player”. Dal 2019 Nardin è Public Affairs & Sustainability Manager della sede itliana di Novartis, azienda multinazionale svizzera che opera nel settore farmaceutico. Già nella lista 40 Under 40 Fortune Italia del 2022, le abbiamo posto alcune domande per capire quali sono, per lei e per il settore che rappresenta, i temi rilevanti che il nuovo esecutivo – dopo le elezioni del 25 settembre – dovrà farsi carico per rilanciare il Paese.

Dottoressa Nardin, siamo ormai da un po’ in campagna elettorale e a parte gli slogan si parla poco di temi concreti e problemi urgenti di un Paese che si dibatte tra effetti nefasti della pandemia e della guerra in Ucraina. Quali sono secondo lei i temi più importanti che vorrebbe vedere dibattere dalle forze politiche?

L’impressione che si ha è di avere un certo scollamento tra il momento storico senza precedenti che stiamo vivendo tra pandemia, guerre alle porte dell’Europa in Ucraina, crisi energetica e i temi e i toni della campagna elettorale. Se tra 100 anni qualcuno leggesse questi programmi elettorali penserebbe che siano stati scritti in tempi di ordinaria amministrazione, quando ‘è sufficiente’ proporre questo o quell’intervento, questa o quella misura a seconda delle diverse sensibilità politiche. Invece questa ‘tempesta perfetta’ che scuote le fondamenta delle nostre società e dei nostri sistema-Paese richiederebbe una tensione ideale, una spinta riformatrice ben più vigorosa. Un esempio su tutti riguarda il tema della salute pubblica. È vero che in ogni programma troviamo una sezione dedicata alla salute e alla sanità, ma il fatto che sia considerata un tema a sé stante, da poter gestire in maniera scollegata da tutte le altre politiche come abbiamo fatto finora, è la prova che non abbiamo appreso fino in fondo la lezione del Covid. E che dunque  non stiamo cogliendo l’occasione che ci è stata offerta per riformare radicalmente il modo in cui promuovere e tutelare la salute pubblica, che poi è la salute di ciascuno di noi. La salute dovrebbe permeare, attraversare ogni politica (Health in all policies): non si può parlare di salute sganciandola dalle politiche sociali, dalle politiche ambientali, dalle politiche industriali – basti pensare alla strategicità dell’industria delle Life Sciences, che ha dimostrato di poter svolgere in un momento di grande difficoltà come quello del Covid. Perché la sanità non riguarda solo ‘i pazienti’. Il governo della sanità pubblica e il nostro prezioso Ssn riguarda tutti, anche chi oggi ha la fortuna di essere in salute e quella salute vuole e deve vederla tutelata e promossa, nell’interesse individuale e di sistema, attraverso un servizio sanitario nazionale moderno ed equamente accessibile.

Restando in tema sanità, quali potrebbero essere a suo avviso delle vere azioni riformatrici per migliorare la sanità pubblica nel nostro Paese?

La Missione 6 del Pnrr contiene già molte delle riforme necessarie per far fare al nostro Servizio sanitario nazionale un balzo in avanti di 15, 20 anni. Sono tutte riforme necessarie – quella dell’assistenza territoriale, che garantirà al paziente un continuum assistenziale che va dal proprio domicilio all’ospedale, passando per Case di comunità e Ospedali di comunità, gli investimenti in digitalizzazione, quelli per l’ammodernamento degli ospedali e quelli per la ricerca biomedica e il trasferimento tecnologico. Da sole però queste riforme non saranno sufficienti, neanche se saranno implementate nel rispetto degli standard più ambiziosi e qualitativi. Perché, oltre alle riforme dei processi e delle infrastrutture, sarà necessario anche assicurarsi che il nostro Paese sia in grado di accogliere la spinta di innovazione culturale e scientifica che continuerà ad arrivare dalla ricerca e dalle imprese, rendendo questa innovazione accessibile a tutti nel minor tempo possibile, in ogni parte del Paese. Tutto questo sarà possibile solo riformando gli attuali modelli di governance, ormai obsoleti, che non riescono più a essere al passo con la velocità a cui marcia l’innovazione scientifica.

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Il Pnrr è da un lato il segnale più evidente delle pesanti difficoltà che dobbiamo superare nei prossimi anni e dall’altro anche l’occasione irripetibile per cambiare l’Italia. Crede che il nostro Paese sarà capace di elaborare progetti seri con questi oltre 200 miliardi?

Per la prima volta dal Dopoguerra il nostro Paese non ha più un problema di risorse, ma al contrario ce ne sono a sufficienza. La sfida oggi è di avere idee, contenuti, progettualità, che possano veramente cambiare il volto del Paese e consentire di recuperare un gap anche di competitività che si porta dietro 15, 20, 30 anni rispetto ai propri partner europei. Non ci sarà un altro Pnrr nei prossimi 20, 30, 50 anni: l’Italia deve fare all in di tutte le capacità, le migliori risorse del Paese che devono essere messe a disposizione di questo grande piano riformatore. Come ha ricordato il presidente Draghi nel suo ultimo discorso a Rimini, chiunque sarà alla guida del prossimo Governo non potrà perdere la scommessa del Pnrr. È vero, l’Italia non ha mai brillato per la sua capacità di spendere risorse provenienti dalla Ue, ma questa è l’occasione per recuperare anni, decenni di ritardo su moltissimi fronti – penso alla ricerca, all’innovazione, all’ambiente, all’industria ma anche alla sanità stessa – e colmare il gap di competitività che ci rallenta rispetto anche ai nostri partner europei. Sarà possibile farlo attraverso una collaborazione leale, solo se pubblico e privato decideranno di camminare insieme in questo percorso. Amministrazioni centrali, regionali e locali hanno bisogno del patrimonio di competenze, di tecnologia, di know how che solo le imprese possono mettere a disposizione per realizzare gli obiettivi che si pone il Pnrr, pena la mancata erogazione delle risorse. I player privati, dal canto loro, saranno ben felici di dare il proprio contributo per il miglioramento generale del sistema. E a beneficiarne, in ultima istanza, saremo noi cittadini. Il valore creato da partnership strategiche tra pubblico e privato tornerà a noi cittadini in un percorso finalmente virtuoso, sotto forma di servizi più efficienti e capillari, di accesso ad una sanità più equa e moderna, di città più vivibili e sostenibili. Più facile a dirsi che a farsi, forse sì, ma non vedo altre opzioni sul tavolo.

Anche in questa competizione elettorale si parla di giovani spesso in termini generici, lavoro ai giovani, trattenere in Italia giovani ricercatori, far tornare in Italia giovani che per farsi valere nei loro campi professionali sono stati costretti ad emigrare all’estero. Che cosa suggerirebbe lei alle forze politiche per fare qualcosa di concreto in questo campo?

La realtà è che non basta andare su Instagram e Tik Tok per parlare ai giovani, non basta azzeccare la campagna social per arrivare a catturare davvero la loro attenzione. I ventenni che incontro oggi hanno un disperato bisogno di sapere che ‘ne vale la pena’, che studiare, formarsi, impegnarsi servirà a cambiare il loro futuro e quello del loro Paese. Se facessi il politico mi chiederei se “a questo bisogno, la politica sa rispondere o no?”. Il numero impressionante di NEET, i ragazzi tra i 15 e 34 anni che non lavorano, non studiano, non si stanno formando (in Italia sono oltre 3 milioni) ci dice che forse è in questa direzione che varrebbe la pena costruire. Io credo che bisogna ripartire da lì. Bisogna andare nelle università, nelle scuole. raccontando alle ragazze che hanno tutte le capacità di intraprendere un percorso di studio e di carriera STEAM (e che non è detto che siano portate solo per le materie umanistiche), dando ai giovani prospettive serie di inserimento nel mondo del lavoro e garantendo l’impegno della politica per la creazione di un Paese che sia solida e qualificata. La politica deve rassicurare i giovani che sta lavorando per consegnare loro un Paese a prova di futuro.

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