Tumore del polmone, i benefici di terapie a target e immunoterapia

Filippo De Marinis
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Per il tumore del polmone, uno dei big di killer di questo e del secolo precedente, dall’Esmo 2022 arriva la conferma della validità dei farmaci introdotti nell’ultimo decennio, immunoterapia e terapie a target, che hanno scardinato il dogma del ‘male incurabile’ applicato al polmone. 

Le mutazioni del gene EGFR in particolare sono l’esempio concreto di come le terapie a target abbiano rivoluzionato la prognosi di questi tumori. “La mutazione EGFR – ricorda il professor Filippo de Marinis, direttore della Divisione di Oncologia Toracica dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano e Principal Investigator dello studio Adaura per l’Italia –  è presente nel 15% dei tumori polmonari dei fumatori e fino al 50% di quelli del non fumatori; un paziente su tre con NSCLC viene diagnosticato in uno stadio che consente di accedere alla chirurgia per asportare radicalmente la neoplasia, ma la recidiva è frequente anche nella malattia agli stadi iniziali; storicamente metà dei pazienti con malattia in stadio I-II e tre quarti di quelli in stadio III presentavano una recidiva a 5 anni”.

La presenza di questa mutazione nei soggetti con tumore del polmone, fino a 10 anni fa significava dunque una prognosi negativa, in quanto questa mutazione inficia rapidamente i vantaggi dell’atto chirurgico, accorciando drasticamente l’aspettativa di vita: solo il 5% di questi pazienti sopravviveva a 5 anni.

Ma l’avvento delle terapie a target mirate contro questo gene mutato ha ribaltato la situazione, trasformando la presenza delle mutazioni EGFR da fattore prognostico negativo, a vantaggio netto quanto a possibilità terapeutica. E lo dimostrano bene i dati dello studio Adaura, del quale sono stati presentati all’Esmo di Parigi i risultati a 4 anni. Lo studio ha valutato l’efficacia di osimertinib, un anti-EGFR di terza generazione, nei pazienti con adenocarcinoma del polmone (NSCLC) in stadio Ib e II-IIIa (cioè con interessamento metastatico dei linfonodi prossimi al tumore o più distanti, a livello del mediastino); il farmaco veniva somministrato subito dopo l’intervento chirurgico (in ‘adiuvante’) nei pazienti con mutazione di EGFR riscontrata nel tessuto tumorale asportato, preceduto o meno da qualche ciclo di chemioterapia.

I risultati a due anni avevano evidenziato un vantaggio dell’83% su recidive e sulla sopravvivenza globale nei pazienti trattati con osimertinib, rispetto ai controlli; vantaggio che si conferma anche a 4 anni, con una riduzione del rischio di recidiva o di morte del 77%. “Si tratta di un risultato importantissimo – afferma il professor de Marinis – che arriva quasi in contemporanea all’autorizzazione di questo farmaco in fascia H da parte dell’Aifa, che lo ha reso così disponibile ai pazienti”. 

Tradotto in mesi di vita guadagnata, senza la ricomparsa del tumore, significa garantire a questi pazienti una mediana di sopravvivenza di 65,8 mesi (cinque anni e mezzo), contro i 22 mesi dei controlli. Lo studio Adaura è stato disegnato per una somministrazione del farmaco (si assume in compresse una volta al giorno) per tre anni consecutivi, ma ci si comincia ad interrogare, anche alla luce di questi risultati, se non sia il caso di proseguirne la somministrazione fino a 5 anni o addirittura fino a progressione. Per questo sarà però necessario attendere i risultati di un nuovo studio, attualmente in fase di progettazione. 

Ma c’è di più. I risultati di un’altra analisi dello studio Adaura dimostrano che a 4 anni il 90% dei pazienti con tumore in stadio II-IIIA trattati osimertinib non sviluppa metastasi cerebrali (contro il 75% dei controlli), un dato importante perché le ripetizioni cerebrali sono molto frequenti nel tumore del polmone e i pazienti EGFR-mutati hanno una prognosi particolarmente sfavorevole.

“I risultati a 4 anni di Adaura – commenta ancora de Marinis – dimostrano che osimertinib non solo continua a prolungare la sopravvivenza libera da malattia nei pazienti con tumore polmonare EGFR-mutato, in fase precoce, dopo l’intervento chirurgico, ma riduce anche il rischio di recidiva a livello del sistema nervoso centrale. Questi dati supportano dunque il suo impiego in adiuvante, cioè subito dopo l’intervento chirurgico, come standard di cura per questi pazienti, indipendentemente dal ricorso o meno della chemioterapia nel post-operatorio. Grazie all’approvazione Aida, anche nel nostro Paese si assisterà dunque ad un vero e proprio cambio di paradigma, che porta la medicina di precisione ad una popolazione di pazienti, con l’obiettivo della cura”.

Anche l’immunoterapia si conferma una superstar del trattamento del tumore del polmone, sul lungo termine. E ad annunciare alla platea internazionale dell’Esmo gli importanti risultati a 5 anni di due studi clinici, sono state due grandi ricercatrici italiane, a conferma del prestigio e dei risultati raggiunti dalla ricerca tricolore. La sopravvivenza a lungo termine, finora solo ipotizzata, diventa realtà anche nei pazienti con tumore polmonare metastatico, tra i più difficili da trattare. I risultati a 5 anni di due studi di fase III che hanno utilizzato il pembrolizumab (un immunoterapico anti-PD 1) in associazione alla chemioterapia nel trattamento in prima linea del tumore polmonare non a piccole cellule metastatico, confermano il beneficio di sopravvivenza e la durabilità della risposta.

Il Keynote-189 focalizzato sulla forma ‘non squamosa’ di tumore del polmone NSCLC ha dimostrato che l’associazione pembro-chemioterapia prolunga la sopravvivenza a 5 anni del 40%, rispetto alla sola chemioterapia (tasso di sopravvivenza globale a 5 anni del 19,4%, contro l’11,3% della sola chemioterapia), arrivando a più che raddoppiare la mediana di sopravvivenza (22 mesi contro 10,6 mesi). “Prima di questi studi fondamentali – commenta Marina C. Garassino, professore di medicina, University of Chicago, Hematology/Oncology, e investigatore principale dello studio KEYNOTE-189 – il tumore del polmone aveva un tasso di sopravvivenza a cinque anni del 10%, uno dei più bassi tra tutti i tumori. Questi risultati evidenziano un significativo miglioramento nella sopravvivenza a cinque anni dei pazienti trattati con pembrolizumab più chemioterapia e confermano il ruolo dei regimi a base di pembrolizumab come standard di cura nel tumore del polmone non a piccole cellule metastatico”.

Nella forma ‘squamosa’ invece, valutata dallo studio Keynote-407, l’associazione pembro-chemio ha portato la sopravvivenza a 5 anni al 18,4%, rispetto al 9,7% della sola chemioterapia, riducendo cioè il rischio di morte del 29% e portando la mediana di sopravvivenza a 17,2 mesi, contro gli 11,6 mesi ottenuti con la sola chemioterapia.

“In questo studio – afferma Silvia Novello, Ordinario di Oncologia Medica all’Università degli Studi di Torino e Responsabile Oncologia Polmonare all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano – pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia ha migliorato significativamente la sopravvivenza globale a cinque anni, raddoppiandola rispetto alla sola chemioterapia, con un’importante riduzione del rischio di morte. Il trattamento immuno-chemioterapico si conferma dunque un caposaldo della terapia di prima linea del carcinoma polmonare”.

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