Le ‘Grandi dimissioni’ dei medici

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In America l’hanno definita Great resignation, una tendenza economica che vede i dipendenti dimettersi in massa dai posti di lavoro. Ebbene, le ‘Grandi dimissioni’ in Italia stanno impattando sulla sanità: nel 2021 gli ospedali pubblici hanno perso quasi 3mila medici e circa 2mila tra infermieri e operatori sociosanitari. Una fuga dal Ssn legata anche (ma non solo) all’effetto della pandemia.

Covid ha “fatto da innesco al fenomeno delle ‘grandi dimissioni’ in sanità, peggiorando le condizioni di lavoro all’interno degli ospedali, già difficili a causa della mancanza del turn over e degli organici assottigliati da anni di blocco di spesa sul personale”, afferma il presidente di Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere), Giovanni Migliore, intervenuto al convegno Great Resignation in sanità organizzato dalla Fondazione Scuola di Sanità pubblica della Regione Veneto all’auditorium di Venezia Mestre.

E certo a peggiorare le cose è anche il fenomeno delle aggressioni. L’ultima ai danni di una dottoressa dell’Istituto oncologico Veneto, accoltellata a Padova da un paziente. “Una storia di tristezza estrema”, ha detto il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici Filippo Anelli, chiedendo di “che sia rafforzata la sicurezza delle strutture sanitarie e che i medici non siano mai lasciati soli”.

I dati elaborati da Fiaso sono quelli dell’Inps, del Conto Annuale del Tesoro e dell’Onaosi. Nel 2021 ben 2.886 medici ospedalieri, il 39% in più rispetto al 2020, hanno deciso di lasciare la dipendenza dal Ssn per proseguire la propria attività professionale altrove.

Una fuga diffusa, ma non uniforme in tutte le aree del Paese. Secondo questi dati, la media nazionale dei medici che hanno lasciato il Ssn nello stesso anno è del 2,9%, ma in regioni come la Calabria si sale al 3,8%, e in Sicilia al 5,18%, mentre in Lombardia le dimissioni di medici dal Ssn crescono del 43%, triplicano in Liguria, salgono dal 2,04% al 3,29% in Puglia.

Il sistema rischia di trovarsi in affanno, se consideriamo anche i medici che vanno in pensione. “Ogni anno le aziende sanitarie e ospedaliere perdono medici, infermieri e operatori sanitari che si dimettono e scelgono di lavorare altrove nel privato. Si tratta soprattutto dei professionisti impegnati nei pronto soccorso”, continua Migliore.

A spingere le Grandi dimissioni sono condizioni di lavoro stressanti, pesanti turni di servizio con orari poco flessibili, week end occupati da guardie e reperibilità e il precariato che si protrae a lungo con stipendi inadeguati rispetto alla media europea.

“Tutte ragioni direttamente collegate con la carenza di personale – analizza il presidente Fiaso – Da tempo ribadiamo la necessità di superare il tetto di spesa per il personale, fermo al 2004, per poter procedere con investimenti nelle risorse umane: occorre assumere, anche i medici specializzandi dei primi anni, se necessario, con contratti libero-professionali, per rinforzare gli organici e garantire da un lato, migliori condizioni di lavoro per i dipendenti e dall’altro, un’assistenza più efficiente per i pazienti”.

Non basta popolare le corsie con nuovi medici e infermieri. Per disinnescare le Grandi dimissioni occorre  “una necessaria gratificazione economica, in particolare per chi lavora nei pronto soccorso delle aree più a rischio e più marginali. Ma per recuperare attrattività il servizio sanitario nazionale deve poter garantire agli operatori valorizzazione professionale e benessere organizzativo”.

Come? “Investendo risorse economiche nel fondo sanitario nazionale, arrivando almeno all’8% del Pil, e sbloccando i tetti di spesa che ci consentirebbero di assumere a tempo indeterminato i nostri professionisti: è questa la richiesta che rivolgiamo anche al nuovo governo”, conclude Migliore illustrando la strategia per frenare la fuga dei ‘camici bianchi’. Occorre fare presto, perché a pagare il prezzo delle Grandi dimissioni dei medici sono i cittadini.

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