Medicina e nuove tecnologie per rispondere alle sfide globali

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Non solo un modo per celebrare il ritorno di un talento, ma anche un’occasione per riflettere sull’impatto delle nuove tecnologie sulla salute globale e lo sviluppo sostenibile. Il Campus Bio-Medico di Roma, con il sostegno di Intesa Sanpaolo riporta in Italia uno degli ingegneri biomedici più influenti a livello globale: il ‘guru dell’AI’ Leandro Pecchia. Che in occasione della cerimonia per il nuovo ruolo, ha tenuto un ‘keynote speech’ (scherzando racconta di come dopo una lunga esperienza nel Regno Unito per lui sia diventato difficile parlare in italiano) sull’importanza della tecnologia al servizio dell’ingegneria biomedica. E viceversa: perché si tratta di due mondi che si intrecciano e che possono rappresentare la chiave del futuro.

“La pandemia ha dimostrato che lavorare in contesti a basso reddito ci prepara ad affrontare sfide ed emergenze anche in quelli ad alto reddito”, ha sottolineato Pecchia. “Nel mio ruolo di innovation manager per il Covid-19 nel dipartimento delle emergenze dell’OMS, ho spesso beneficiato dell‘esperienza maturata in Africa, dove le risorse sono sempre limitate ed è necessario trovare soluzioni sicure ed efficaci anche se la supply chain fallisce. Questo mi ha aiutato a capire che dobbiamo essere in grado di applicare le nostre competenze ovunque, per essere pronti alle sfide future che supereranno la sola dimensione clinica. Basti pensare a quelle del cambiamento climatico: che ci impongono ora di lavorare sull’impatto ambientale di dispositivi medici ed ospedali”.

Durante l’incontro dal titolo ‘Ingegneria biomedica per la salute globale e per lo sviluppo sostenibile’ sono intervenuti, tra gli altri, Elisa Zambito Marsala, responsabile Valorizzazioni del Sociale e Rapporti con le Università Intesa Sanpaolo, Eugenio Guglielmelli, Rettore UCBM e Andrea Rossi, amministratore delegato e direttore generale UCBM. Che a Fortune Italia, con parole diverse ma con un messaggio unico, hanno detto: “Oggi siamo al centro di un momento storico di progresso per la sanità. Ed è (anche) merito di sistemi sempre più intelligenti”. Perché la domanda è chiara: se il binomio tra Intelligenza Artificiale e dispositivi medici è possibile, i reali benefici sono soltanto clinici?

“Per Intesa Sanpaolo è un onore poter sostenere la ricerca all’interno di un Campus che rappresenta un punto di riferimento e un’eccellenza del nostro Paese. Lo facciamo attivamente attraverso le cattedre, ma anche con master, percorsi professionalizzanti e supporto ai talenti“, ha affermato Elisa Zambito Marsala, responsabile valorizzazioni del sociale e rapporti con le Università Intesa Sanpolo. “La ricerca è motore di progresso sostenibile e quindi pilastro fondamentale per lo sviluppo della società. In un Paese avanzato l’Università è una delle istituzioni cardine, e sostenere progetti di inclusione, ricerca e innovazione incide sulla sua qualità a livello internazionale. Ciò è fondamentale per comprendere come il Paese viene visto dal resto del mondo”.

Gli aspetti relativi alla promozione delle attività di innovazione e ricerca scientifica, nonché allo sviluppo delle competenze e della formazione del territorio, ha spiegato Zambito Marsala, sono entrati a pieno titolo nel Piano d’Impresa di ISP 2022-2025. “Siamo consapevoli che, come grande Gruppo Bancario, esercitiamo un notevole impatto sul contesto sociale. Per questo vogliamo agire non solo in funzione del profitto, ma anche con l’obiettivo di creare valore di lungo periodo per la Banca, le sue persone, i suoi clienti, la comunità e l’ambiente”.

Andrea Rossi tiene a precisare come il rapporto tra il Campus bio-medico e il gruppo bancario sia nato proprio da un rapporto finanziario. “Intesa Sanpaolo è da anni la nostra banca di riferimento”, ha detto. “E’ stato facile instaurare una stima reciproca e il desiderio di realizzare molto di più insieme. Facile perché Intesa non è soltanto una grande banca: è attiva nell’ambito culturale, scientifico e sociale. Adesso, l’obiettivo comune è portare un rinnovamento in ambito scientifico per favorire lo sviluppo. L’ingegneria biomedica è un ramo fondamentale dell’ingegneria perché consente, ad esempio attraverso l’intelligenza artificiale nei dispositivi biomedici, di fare la differenza nella cura dei pazienti. In altri termini: grazie a questo finanziamento, Intesa Sanpaolo sta aiutando le persone a curarsi meglio“.

Ma i benefici, lo spiega bene ancora Rossi, non sono soltanto clinici. Un tema di cui la sanità si lamenta spesso è la mancanza di dialogo tra la comunità scientifica e le istituzioni. Rossi non crede che ciò sia vero. “Il dialogo, la sensibilità e la comprensione da parte delle istituzioni non mancano. Certo, si può e bisogna fare di più perché abbiamo una grande esigenza: attraverso la ricerca scientifica il nostro Paese può fare quel salto di qualità che lo porterebbe a camminare di fianco, se non a superare altri Paesi europei”.

“In Italia – aggiunge – ci sono i più grandi ricercatori e docenti: figure che fanno bene il loro mestiere e hanno grandi intuizioni, ma che spesso sono incentivate ad andare all’estero. Quello di oggi è un esempio di inversione di tendenza. Pecchia è un docente italiano, formato in Italia, che è poi andato fuori e ha fatto una bellissima carriera. Grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo è di nuovo Italia per dare il suo contributo al panorama scientifico del nostro territorio. È una bella storia che abbiamo il compito di far diventare la storia di tanti e tante. E attraverso la sua esperienza e la sua testimonianza è evidente la necessità di utilizzare sempre più algoritmi basati sull’IA, visti i benefici clinici e i vantaggi economici per i pazienti e per i medici. Che si riflettono sul beneficio più importante: come da titolo del convegno, la salute globale e lo sviluppo sostenibile”.

Anche il rettore del Campus, Eugenio Guglielmelli, è convinto che quello di Pecchia possa essere un segnale per smuovere il sistema-Paese. “Siamo in un momento storico per l’evoluzione dell’ingegneria biomedica. Che è un settore giovane, ma ha i livelli di produzione scientifica e di fattore di impatto più elevati, dati dalla connessione diretta con il mondo della chirurgia e della medicina”.

Il dato interessante quando si parla di ingegneria biomedica e di intelligenza artificiale, secondo Guglielmelli, “è che non si tratta semplicemente di fornire soluzioni nuove per le cure e per l’assistenza. Ciò che emerge è una comprensione sempre più approfondita di come funzionano i sistemi biologici, non solo quelli umani ma anche animali e vegetali. È il cosiddetto ‘One Health’, che trae origine dal fatto che la salute delle persone è direttamente legata a quella degli animali e con lo stato dell’ambiente nel quale tutti viviamo e che nessuno, specialista, agenzia o nazione, può affrontare da solo le problematiche del mondo globalizzato di oggi“.

Pensare a una salute “sempre più contestualizzata”, che porta i medici a casa dei pazienti, “dal monitoraggio a una cartella clinica che diventerà il nostro fascicolo comprensivo di tutti i dati della nostra esperienza”, continua Guglielmelli, “sarà essenziale per una medicina sempre più preventiva e cure sempre più personalizzate“.

“Le tecnologie in stretta sinergia con i medici e gli operatori sanitari possono diventare quegli strumenti che ci permettono di operare a distanza in situazioni di qualunque tipo: c’è stata l’emergenza durante la pandemia, quando era difficile visitare in casa un malato, ma pensiamo a un campo militare, a un Paese in via di sviluppo. In quest’ottica di sviluppo delle tecnologie applicate in ambito scientifico anche il tema del mantenere e attrarre talenti è rilevante. I ricercatori più bravi vogliono e meritano di essere leader. Non è una questione legata soltanto a una dignitosa remunerazione, ma anche alla necessità di essere integrati in strutture che fanno ricerca avanzata. Dobbiamo impegnarci affinché le persone competenti impieghino le loro energie sul nostro territorio”, ha dichiarato il rettore.

“Poi, trovare soluzioni più sostenibili per un’accessibilità molto più ampia (che non sia solo in Europa, Stati Uniti e Giappone, i tre Paesi che hanno l’80% dell’impatto sul settore sanitario), è una sfida notevolissima. Essere tra gli atenei che hanno figure capaci di essere in prima linea con soluzioni da sperimentare direttamente sul campo è fondamentale come opportunità di crescita, non solo del settore dell’ingegneria biomedica, ma anche dell’impatto su tutto il settore industriale“, ha concluso.

 

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