Censis, ecco come è cambiata la casa dopo la pandemia

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Italiani popolo di santi, poeti e navigatori. E di proprietari di case. Il primo Rapporto Federproprietà-Censis sugli italiani e la casa – realizzato con il contributo scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) e in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) – restituisce una fotografia a colori sullo stato della proprietà immobiliare nel nostro Paese.

L’istantanea? In Italia, possedere una casa è considerato un costitutivo della società. In quanto “bene, rifugio e specchio della propria identità”. Ma, come ha spiegato a Fortune Italia il presidente di Sima Alessandro Miani, c’è di più. Perché una casa, anche se nessuno si sofferma a pensarci, “può fare la differenza sulla salute personale, collettiva, e quindi sull’ambiente”. E lo abbiamo riscoperto soprattutto dopo la pandemia.

Il 70,8% è proprietario della casa in cui vive. Il 20,5% è in affitto e l’8,7% ha un appartamento in usufrutto o a titolo gratuito. Il 28% delle famiglie proprietarie possiede altri immobili di proprietà. Il 5,9% delle famiglie italiane è in una condizione di deprivazione abitativa.

“La proprietà non è una prerogativa solo dei benestanti”, ha sottolineato Miani. “Nel quinto delle famiglie più povere, il 55,1% è proprietario dell’abitazione in cui vive e la percentuale aumenta via via fino all’83,9% tra le persone più abbienti. Tuttavia, diventare proprietari equivale a una specie di riscatto sociale: c’è una tendenza soprattutto tra i più giovani a voler acquistare un appartamento. Si tratta però di un desiderio che spesso rimane tale, a causa della difficoltà legata all’accesso al credito e all’instabilità lavorativa“.

Neanche troppo tempo fa con uno stipendio fisso era possibile accedere a un mutuo e poi comprare una casa. Adesso, non solo comprare ma anche affittare risulta complicato. Lo sanno bene gli studenti fuori sede (a cui si aggiunge il disagio del numero di posti letto pari ad appena l’8% del totale) o i cosiddetti ‘lavoratori nomadi’.

Nello specifico, una soluzione innovativa per gli studenti, come rimarcato anche da Miani, è quella dell’housing sociale: avviato dal Piano nazionale di edilizia abitativa, che prevede un sistema integrato di fondi immobiliari con al centro il Fondo Investimenti per l’Abitare gestito da Cdp Immobiliare. L’obiettivo: mobilitare fino a 4 mld di euro sui territori, con la partecipazione di investitori terzi, tramite 29 fondi immobiliari locali per la realizzazione di 20.000 alloggi e 7.500 posti letto in 110 comuni. Anche con la creazione di nuovi spazi però, il prezzo degli affitti resta comunque alto.

Secondo i recenti dati di Immobiliare.it
, a novembre nelle città con 250 mila abitanti, in media, il prezzo delle case in affitto al mq è stato di 15,2 euro. Lo 0,6% in più rispetto al mese di ottobre e il 9,2% in più rispetto al 2021 nello stesso periodo. Complici, ça va sans dire, lo scenario socio-economico e l’inflazione.

“Oggi è difficile per tutti. Le fasce più deboli, che non si possono permettere di acquistare casa ma magari col proprio Isee hanno accesso alle case popolari sono una parte sempre più crescente. A queste si sta aggiungendo anche una fascia intermedia costituita da quelle persone che hanno un Isee troppo alto per accedere all’housing popolare, ma troppo basso per richiedere un mutuo o dare garanzie per andare in affitto verso abitazioni di altro tipo. Anche per questa ragione, Cdp sta investendo sull’housing sociale“, ha affermato Miani.

La casa è un rifugio sicuro, e non è un modo di dire. Stando all’indagine Censis per il 91,9% degli italiani la casa è “tana”. Soprattutto dopo l’esperienza della pandemia, dove nolenti o volenti siamo stati costretti a chiuderci tra le mura domestiche.

L’89,7% si sente tranquillizzato dal fatto di essere proprietario dell’abitazione in cui vive. Per l’83,1% l’appartamento riflette anche la propria identità e la propria personalità. E il 54,5% vorrebbe aiutare figli o nipoti ad acquistare la prima casa, perché l’immobile di proprietà resta la pietra angolare della sicurezza economica e esistenziale.

“Questo è vero. Avere una casa dà certezze anche di tipo economico. Ma è importante riflettere su come dopo Covid-19 gli italiani abbiano profondamente modificato il loro concetto di casa e la percezione della propria abitazione, al punto da trasformarla in centro multifunzionale di servizi alla persona. La casa è oggi anche ufficio, scuola, università, cinema, e talvolta succursale di un ospedale“, ha dichiarato il presidente di Sima. “E questo è fondamentale perché il nuovo modo di pensare la casa ha portato a una riformulazione della progettazione della stessa”.

Se il 41,7% degli italiani continua a stare in casa per lavorare da remoto, addirittura il 78,0% vi trascorre gran parte del tempo libero. In casa gli italiani fanno sport (il 43,7%, il 60,0% dei giovani), cucinano (l’89,3%, il 94,8% dei giovani) e coltivano parte delle loro relazioni sociali (l’84,5%, il 90,9% dei giovani). Al 17,7% degli italiani (il 23,6% tra gli anziani) capita di curarsi in casa o di ricevere assistenza a domicilio.

“Passando tanto tempo in casa” ha detto Miani, “gli italiani sono diventati più attenti anche alla qualità dell’aria che respirano all’interno”. Per la precisione lo è il 54%. Mentre l’84,4% dei cittadini dichiara di impegnarsi a rendere la casa più sostenibile con il controllo dei consumi energetici e altre pratiche quotidiane. “Sono dati che lasciano ben capire come ormai la casa sia sempre più intesa quale strumento per il bene comune in un’alleanza pubblico-privata“, ha commentato il presidente.

È risaputo che ciò che respiriamo può incidere in maniera importante sulla nostra salute e sulla qualità della vita. Fuori e dentro dallo spazio di casa. L’Italia è tristemente tra i Paesi membri dell’Unione europea a registrare i numeri più alti per morti attribuibili all’inquinamento, in particolare quello atmosferico: sono il 13,2% dei decessi annui, tra le percentuali più alte dell’Ue.

“In passato siamo stati anche primi. E i costi sanitari diretti indicati sono stati pari al 10% del Pil nazionale. Per l’Istituto Superiore di Sanità, ciò che respiriamo all’interno degli ambienti confinati (quindi anche posti di lavoro o mezzi di trasporto), incide per il 40% sui decessi. Abbiamo due esigenze: da un lato monitorare la qualità dell’aria. E poi urge una particolare presa di coscienza sulla necessità di risparmio. Non possiamo però puntare tutto sulla riqualificazione energetica degli edifici. Per le nuove costruzioni, bisogna puntare su ferramenti che siano in grado di creare uno scambio di aria tra interno e esterno, magari pre-filtrandola”, ha affermato Miani.

“Quello che noi vorremmo portare all’attenzione del Governo, per questa o future leggi di bilancio, è creare una sorta di fondo o comunque per i privati una sorta di incentivi fiscali e smetterla di investire su – ad esempio – i monopattini elettrici. Che impattano sulla qualità dell’aria nelle città in maniera irrisoria. Sarebbe utile invece invertire la tendenza dell’inquinamento utilizzando le superfici esposte degli immobili, rivestirle con nanotecnologie fotocatalitiche al biossido di titanio, scientificamente validate e in grado di ridurre significativamente l’inquinamento atmosferico. Facilitando, inoltre, una transizione energetica nei tempi più giusti. La casa può diventare uno strumento di benessere personale, ma anche e soprattutto comune. E tutto questo si riflette sull’ambiente”, ha concluso.

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