Ingiustizie e favoritismi sul lavoro, ecco quando funzionano

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Chi ama la saga di Ugo Fantozzi non potrà non ricordare le disparità tra dipendenti tipiche delle aziende di un tempo, con le sottolineature umoristiche della grande commedia italiana. Ma il personaggio indimenticabile di Paolo Villaggio non era lontano dalla realtà, seppur estremizzato in chiave comica. E, soprattutto, molte delle sue esperienze da travet fanno parte ancora oggi della vita d’ufficio di molte persone.

A partire da palesi ingiustizie sul lavoro che a volte vengono perpetrate, sulla scorta di favoritismi che danno davvero fastidio. E’ un giocare una partita con un campo scosceso, un provare a segnare con porte più piccole rispetto all’avversario, un combattere ad armi impari. Eppure, se parliamo di organizzazioni, forse non sempre il favoritismo è una ‘patologia’ in ambito professionale.

Anche se proprio non sopportiamo che esistano prediletti o i classici “raccomandati” sul luogo di lavoro che riescono a superare gli altri nel processo di crescita in virtù di prerogative non propriamente oggettive. A provare a disegnare i pregi dei favoritismi, concentrando il potenziale valore di questa sostanziale ingiustizia solamente ad alcuni modelli organizzativi, è un’originale ricerca coordinata da Haoying Hu, che lavora presso lo Stevens Institute of Technology.

Lo studio prova a vedere la situazione non soltanto come un’astratta gara che parta da improprie diseguaglianze tra dipendenti dello stesso livello, ma piuttosto sul fronte dei risultati. E porta a capire, stando a quanto pubblicato su Personnel Psychology, che il superiore che tratti diversamente i propri favoriti in fabbrica o in ufficio a volte possa ottenere esiti lavorativi migliori, anche di fronte ad un’ingiustizia così evidente.

E non soltanto dai propri fidi, che traggono vantaggio dalla disparità di giudizio, ma anche da chi subisce questa scelta a priori e sicuramente ingiusta. Il commento di Hu in questo senso è fin troppo chiaro. Secondo l’esperto, “il favoritismo è un’arma a doppio taglio: può essere dannoso per le dinamiche di squadra, ma nelle giuste circostanze può anche aiutare le organizzazioni ad avere successo”.

Per giungere a questa conclusione, che apparentemente vede fare a pugni l’etica sul lavoro con l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione, gli esperti guidati dallo studioso hanno preso in esame oltre 200 equipe professionali, per un totale di più di 1.100 persone, in aziende cinesi di diversi ambiti lavorativi. Ed è proprio valutando le differenze tra i diversi team che è arrivata la sorpresa.

Quando l’organizzazione è risultata costruita nel tempo ed ormai definita, con una strutturazione precisa in termini di autorità e competenze da parte di alcuni collaboratori, il favoritismo è apparso profondamente negativo perché capace di alterare meccanismi benl oliati e rapporti di subordinazione precisi. Al contrario, però, quando ancora non esisteva un preciso modello organizzativo nella struttura operativa, la presenza di un capo che ha scelto i propri “pupilli” anche superando impropriamente scale gerarchiche a colpi di scelte legate al favoritismo, ha comunque comportato risultati migliori. Sia per il coordinamento dall’alto, sia per il team di lavoro.

Non pare proprio esistere il bianco ed il nero, almeno quando si parla di atteggiamenti improntati al favoritismo ed alla raccomandazione. Forse bisogna piuttosto pensare a sfumature di grigio, per quanto questa possa farci alterare. Lo studio degli esperti guidati da Xu dice proprio questo e pone le sue basi nella teoria LMX (Leader-Member Exchange), che valuta proprio le relazioni tra superiori e dipendenti.

Quando pensate alla vostra organizzazione, quindi, ragionate anche sui risultati di questa indagine. Se nel team esiste già una precisa gerarchia, la scelta dei propri favoriti può far esplodere la struttura per i conflitti che può creare. Ma se non esiste un ben definito ordine gerarchico, il leader almeno inizialmente potrebbe anche muoversi (ovviamente se lo ritiene) con pregiudizi legati a tematiche non propriamente di valore professionale, ma puntando sui propri favori per favorirne l’ascesa.

In questi casi, per quanto appaia moralmente inaccettabile, grazie ad un favoritismo che può apparire sfacciato e profondamente ingiusto si definisce una struttura in grado di ridurre i conflitti e favorire l’efficienza. A patto, ovviamente, di giustificare scelte che non sono esclusivamente di merito con i risultati ottenuti. Ovvero: per scoprire se le scelte hanno un impatto positivo o negativo, il leader deve sempre monitorare gli esiti delle sue scelte, sostanzialmente non proprio giuste. E comportarsi di conseguenza. Per il bene della sua organizzazione.

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