Parto e gravidanza, come cambiano i rischi per le donne

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Ogni due minuti nel mondo una donna muore di parto o per complicanze legate alla gravidanza. Emorragia, problemi di pressione elevata, infezioni legate alla gravidanza e complicanze dovute ad aborti praticati in condizioni di non sicurezza sono tra le cause principali che portano a questo risultato.

I numeri dei decessi delle donne in stato interessante però presentano forti variazioni a seconda dei Paesi considerati. Con le aree più povere della Terra e quelle in cui insistono conflitti e instabilità sociale a registrare le condizioni peggiori. Il 70% della mortalità materna nel 2020 si è verificata nelle aree sub-sahariane, mentre il tasso di questo tipo di decessi è più che doppio rispetto alla media mondiale in ben nove Paesi afflitti da situazioni di crisi umanitarie: 551 decessi materni su 100 mila nascite, rispetto a 223 su 100 mila.

In questo scenario, l’Italia si distingue virtuosamente per essere uno dei Paesi migliori per quanto riguarda le condizioni materne tra gravidanza e parto, facendo registrare solo 8,6 decessi ogni 100 mila parti, ma con differenze regionali talvolta significative. Dati, quelli diffusi dalle Nazioni Unite nel report “Trends in maternal mortality”, che potrebbero essere fortemente ridotti, giacché si tratta di morti prevenibili ed evitabili garantendo accesso a un’assistenza sanitaria di maggiore qualità alle future madri.

Tra le criticità principali da affrontare per ridurre l’incidenza della mortalità materna, dicono gli esperti delle Nazioni Unite, vi è il sottofinanziamento dell’assistenza sanitaria primaria e la carenza di operatori sanitari specializza. Finanche quella di farmaci e dispositivi medicali ad hoc per gestire le emergenze durante il parto.

“Anche in Italia la mortalità materna sarebbe evitabile se ci fosse maggiore competenza presente su tutto il territorio”, dice a Fortune Italia il presidente della Società italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo), Nicola Colacurci.

“Intendo dire che nel nostro Paese è presente una certa disomogeneità strutturale e di organico quando si parla di punti nascita. Come Sigo ci stiamo battendo perché la maternità veda riconosciuto il suo valore di evento unico e complesso. Evento che però oggi ha un Drg fissato 10 anni fa, quando la sicurezza e il percorso ottimale di gravidanza e parto no n erano una priorità. Oggi nei punti nascita ci deve essere un rapporto di uno a uno tra ostetrica e partoriente, almeno due medici sempre presenti e un collegamento con i centri trasfusionali così da poter gestire le emergenze. Condizioni che non sono garantite in tutti i punti nascita d’Italia e ragione per cui, specialmente nel Sud il tasso di mortalità materna è più elevato che al Centro-Nord”.

Tornando ad allargare la visuale oltre i confini nazionali, il report Un evidenzia come la mortalità materna sia un fenomeno non sempre caratterizzato da un trend in miglioramento. Il che lascia perplessi se i dati di Paesi avanzati sono analoghi a quelli in cui l’assistenza sanitaria lascia più a desiderare: tra il 2016 e il 2020 le aree Europa-Nord America e quella America Latina-Caraibi hanno registrato un incremento di questi eventi del 17 e del 15% rispettivamente.

Ma ci sono anche numeri incoraggianti che aprono alla speranza e all’evidenza che questi scenari si possano migliorare. Come accaduto in Australia-Nuova Zelanda e nel Centro-Sud dell’Asia dove i decessi materni sono diminuiti del 35 e del 16% rispettivamente.

Per favorire un’analoga inversione di tendenza anche nei Paesi più disagiati sanitariamente parlando è necessario il sostegno delle nazioni in cui si è riusciti a ridurre grandemente il tasso di mortalità materna. Come in Italia.

Illustra Colacurci: “La nostra società scientifica collabora insieme all’associazione ‘Medici con l’Africa’ che opera in sei Paesi di questo continente. L’obiettivo è formare i professionisti della salute e studiare dei percorsi diagnostico-terapeutici specifici per la maternità, a basso costo e attuabili anche in questi Paesi. Fondamentale anche accrescere la cultura relativa al ruolo della donna, che spesso non ha alcun ruolo sociale qualora non riesca a mettere al mondo dei figli”.

Un punto, quest’ultimo, confermato anche dal report delle Nazioni Unite che mette in luce come un terzo delle donne non accede nemmeno a quattro degli otto controlli pre-nascita raccomandati, né riceve assistenza nel periodo post-nascita. Ancora, circa 270 milioni di donne non hanno accesso ai metodi di pianificazione familiare moderna, non avendo di fatto il controllo sulla propria salute riproduttiva.

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