Cannabis, con il consumo quotidiano più rischi per le coronarie

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Hanno fatto scalpore le ‘confidenze’ del principe Harry, convinto che l’uso di cannabis l’abbia “aiutato a superare alcuni momenti difficili della vita. Alle rivelazioni del secondogenito di Carlo d’Inghilterra – arrivate nel corso di un incontro con Gabor Maté, esperto di traumi infantili –  fa da contraltare uno studio americano che ha indagato la correlazione fra l’utilizzo di marijuana e le potenziali conseguenze cardiovascolari. I risultati non sono tranquillizzanti.

Stando alla ricerca, presentata durante il convegno annuale dell’American College of Cardiology a New Orleans, il consumo quotidiano di cannabis aumenta del 34% la probabilità di coronaropatie negli anni successivi. Un impiego più sporadico, mensile o settimanale, lo accresce ma in maniera non significativa.

I cardiologi della Società Italiana di Cardiologia ricordano che“le droghe, di qualsiasi natura, sono state più volte associate a conseguenze cardiovascolari serie: questi dati mostrano che anche una sostanza ritenuta a torto ‘leggera’ può comportare un maggior rischio di coronaropatie e, nel tempo, contribuire alla comparsa di eventi come l’infarto o l’ictus”.

Lo studio

I ricercatori dell’Università di Stanford, in California, hanno analizzato i dati di 175.000 persone in 340 centri statunitensi, partecipanti all’All of Us Research Program dei National Institutes of Health. I ricercatori hanno valutato la correlazione fra l’utilizzo di prodotti derivati dalla cannabis al momento dell’ingresso dello studio e la frequenza di comparsa di coronaropatie negli anni successivi.

“I risultati dell’indagine indicano con l’utilizzo quotidiano un incremento del 34% del rischio di coronaropatie rispetto a chi non fa uso di cannabis, mentre il consumo sporadico mensile non è associato a un incremento significativo – puntualizza Pasquale Perrone Filardi, presidente Sic – Questi dati dimostrano che esistono danni correlati all’impiego di questa sostanza non ancora sufficientemente approfonditi, che invece è opportuno conoscere”.

Con “altre droghe, per esempio la cocaina, i danni cardiovascolari sono frequenti e gravi, tanto da aver comportato un incremento significativo nel numero di infarti in persone molto giovani, anche con meno di 40 anni – dice Perrone Filardi – queste nuove evidenze preoccupano, perché indicano che qualcosa di analogo potrebbe avvenire con l’uso di droghe ancora più diffuse come la marijuana o l’hashish derivati dalla cannabis. Del resto sappiamo che in cuore e vasi ci sono recettori per i tetraidrocannabinolo, il mediatore degli effetti psicoattivi della cannabis, che proprio interagendo con tali recettori sembra in grado di indurre infiammazione locale e quindi favorire la comparsa di placche aterosclerotiche che possono provocare coronaropatie”.

L’analisi genomica

Il team americano ha anche realizzato un’analisi genomica dei partecipanti, per capire se vi fosse un’associazione fra tratti genetici che predispongano all’uso problematico di cannabis e malattie cardiovascolari.

“I dati dimostrano che c’è un’associazione causale: le persone geneticamente predisposte a un disturbo da abuso di cannabis, in cui il consumo è quotidiano e c’è un’evidente dipendenza, hanno una maggiore probabilità di coronaropatie, a prescindere dall’impiego concomitante di tabacco o alcol – aggiunge Ciro Indolfi, past president Sic – Di recente erano già emerse correlazioni analoghe con un maggior rischio di problemi cardiovascolari come fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, ictus ed embolia polmonare. Ma anche importanti dati che indicano come l’utilizzo prolungato di prodotti della cannabis si associ a un maggior rischio di aterosclerosi a dieci anni, specialmente negli uomini”.

I nuovi dati che arrivano da Oltreoceano “preoccupano e impongono di diffondere una maggiore informazione sulle conseguenze dell’uso di queste droghe: chi fa utilizzo di cannabis – dicono Perrone Filardi e Indolfi – dovrebbe parlarne al proprio medico per monitorare la propria salute cardiovascolare, mettendo eventualmente in campo strategie di riduzione del rischio in caso di disturbo da abuso di cannabis”.

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