Hippocrates Holding: storia di un ‘unicorno’ italiano. Parla Tavaniello

Davide Tavaniello
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Credere nelle proprie idee ma anche capacità di execution: è la ricetta di Davide Tavaniello, manager under 40 proveniente dal mondo delle banche di investimento, co-founder e amministratore delegato di Hippocrates Holding, un ‘unicorno’ italiano che a febbraio ha fatto un aumento di capitale da 250 mln e detiene il format e il brand ‘Lafarmaciapunto”, primo retail in Italia per numero di farmacie di proprietà.

Iniziamo con fare un po’ di storia. Come nasce l’idea di fondare una rete di farmacie?

È nato tutto un po’ per caso, quasi da startup della Silicon Valley. Nell’agosto 2017 stavo leggendo un articolo di giornale mentre aspettavo Rodolfo Guarino, che insieme a me ha fondato Hippocates. C’era un’intervista a Matteo Renzi che parlava del Ddl Concorrenza e della liberalizzazione del mercato delle farmacie. La cosa mi incuriosì. Ne parlai con Rodolfo e da lì iniziammo a lavorare insieme per studiare il mercato della farmacia. Alla fine ci convincemmo che sul mercato avrebbe potuto esistere un operatore indipendente dalle logiche distributive, per portare avanti anche un posizionamento differente rispetto ai grandi operatori già attivi.

Lei era un outsider del settore, provenendo dal mondo delle banche di investimento.

Esatto. Avevo alle spalle 10 anni in Ubs nell’ambito del supporto alle aziende impegnate in operazioni di finanza straordinaria. Questo mi ha aiutato molto nella fase iniziale di creazione del gruppo e della rete necessaria per creare una massa critica importante, dove le competenze fondamentali erano quelle di M&A (mergers and acquisitions) per riuscire a comprare farmacie di qualità in breve tempo. Con l’obiettivo di raggiungere una dimensione utile a essere significativi nel comparto di riferimento. La comprensione delle logiche del mercato retail mi è stata utile nei successivi passi di sviluppo dell’azienda. Oggi, invece, mi occupo dell’operatività aziendale e ho abbandonato le acquisizioni, che segue prevalentemente Rodolfo.

Dall’idea iniziale, quali sono stati gli step principali che hanno portato all’Hippocrates Holding di oggi?

Abbiamo costituito la società a marzo 2018, con un primo aumento di capitale di 53 milioni totalmente versati entro il mese successivo. L’operatività effettiva è iniziata a maggio di quell’anno.

Investimenti istituzionali o privati?

La raccolta proveniva da circa 35 famiglie dell’imprenditoria italiana, con l’obiettivo di investire in un arco temporale di tre anni. E’ interessante il fatto che dalla famiglia Marzotto a quella Stevanato, solo per citarne alcune, tutti gli investitori non erano già presenti nel settore del farmaco. Ma hanno creduto in questo progetto.

Torniamo alle tappe dello sviluppo dell’azienda.

Quei 53 milioni furono investiti in un anno, invece che in tre. Il secondo anno facemmo un ulteriore aumento di capitale di 65 milioni e dopo un altro anno e mezzo fummo approcciati da un fondo di private equity interessato ad acquistare la maggioranza dell’azienda. Iniziò così un processo che ci portò a scegliere come partner Antin Infrastructure, che ha logiche di investimento di lungo periodo. Siamo con loro da febbraio 2021. Al tempo avevamo 150 farmacie. Oggi siamo a 320 esercizi di proprietà e abbiamo una pipeline volta ad arrivare a 400.

Quali sono state le criticità che avete incontrato dalla fondazione a oggi e come le avete superate?

Quando si parte da zero in fase iniziale è molto difficile attrarre le competenze manageriali che rimarranno con l’azienda durante tutto il suo percorso di crescita. Ad esempio, le prime linee di manager sono quasi completamente cambiate rispetto all’inizio. Ci sono fasi in cui bisogna prendere decisioni e avere il coraggio di fare cambiamenti anche quando ci sono relazioni personali consolidate.

Hippocrates Holding è un network di farmacie italiane. Di che tipo di network si tratta?

Noi abbiamo la proprietà delle nostre farmacie, con la relativa licenza per la distribuzione del farmaco in una determinata area. Il personale della farmacia è tutto nostro dipendente diretto. L’obiettivo è un posizionamento alto che punta a rafforzare il rapporto tra il farmacista e il paziente, esaltando il ruolo del farmacista all’interno della comunità.
In alcuni casi il farmacista che era titolare della farmacia acquisita rimane con noi come direttore tecnico. In altri casi decide di ritirarsi e nominiamo direttamente un nuovo direttore.

Diamo qualche numero: fatturato, ricavi e farmacie di Hippocrates Holding?

Abbiamo chiuso l’anno a 286 farmacie già nostre. Nel 2023 arriveremo a 386. In ogni periodo in cui osserviamo la nostra azienda, oltre alle farmacie che sono già di nostra proprietà ce ne sono già altre 60-70 che entreranno. Con un ingresso medio di 10 farmacie al mese. Ciò si traduce in un fatturato medio di 1,6 milioni a farmacia, ricavi armonizzati 2022 superiori a 500 milioni di euro. Nel 2023 ci dovremo avvicinare ai 700 milioni.

C’è chi sostiene che in Italia le catene siano arrivate a un primo livello di maturità. E che il loro sviluppo non sarà più guidato solo dall’aumento delle affiliazioni/acquisizioni, ma soprattutto dalla realizzazione dei servizi resi al cittadino. Lei che ne pensa?

Sicuramente ci sarà una componente di crescita organica di iniziative sulla parte di servizi. Al contempo il mercato è ancora poco consolidato. Se prendiamo tutte le farmacie detenute a titolo di proprietà da gruppi di farmacie, siamo ancora sotto il migliaio. Considerando che in Italia ci sono quasi 20 mila farmacie, c’è ancora molto spazio.
Probabilmente con il tempo arriveremo a un 30-40% di farmacie in catena.

Alcuni parlano di Hippocrates come di un unicorno: troppo ottimisti o hanno ragione?

Un po’ di ragione ce l’hanno. Se guardiamo le valutazioni a cui è stata venduta l’azienda e considerando che dal 2021 a oggi l’abbiamo raddoppiata in termini dimensionali, credo siamo ben oltre l’unicorno.

Le reti di farmacie sono una (o l’unica?) strada che i titolari possono intraprendere per competere alle forze di mercato e ai marketplace, restando indipendenti e continuando a svolgere un compito sociale importante all’interno del Ssn. Concorda con questa affermazione?

Credo che da parte delle farmacie ci sarà l’esigenza di affiliarsi. Chi in modo leggero, chi vendendo la proprietà. Con l’aumento dell’inflazione, l’aumento dell’energia e del costo della produzione da parte dell’industria le farmacie indipendenti sono sottoposte a grandi pressioni. I margini probabilmente diminuiranno e questo aumenterà la competizione dei gruppi. Ciò sarà più vero per le farmacie medio-piccole, che potrebbero ragionare quindi in termini di valutazione dell’affiliazione e vendita.

Come valuta le politiche industriali italiane?

Quando ci siamo affacciati a questo mercato abbiamo ballato un po’, con i diversi tentativi volti a tornare indietro rispetto alle liberalizzazioni. La pandemia ha fatto comprendere l’importanza della farmacia e del fatto che anche operatori come noi possiamo dare un contributo molto positivo.

Oggi mi sembra che la situazione sia diversa rispetto a quella dei nostri esordi e ci sia maggiore visibilità di medio-lungo periodo, che consente a tutti di lavorare dalla stessa parte del tavolo per creare valore per questo settore e per i cittadini.

La prospettiva che vedo è rosea. Per la prima volta abbiamo un sottosegretario alla Salute che è anche farmacista (Marcello Gemmato, ndr), in grado di comprendere le dinamiche del nostro settore. Compresa la possibilità di riportare la distribuzione diretta del farmaco in farmacia, per poter avere un monitoraggio e un controllo da parte del farmacista sulla compliance da parte del paziente.

Se potesse chiedere qualcosa al governo e ai ministeri competenti in tema di sviluppo industriale ed economico delle imprese, ma anche dell’Italia, quali sarebbero le due principali?

Una è molto specifica del nostro settore. Quando passò il Ddl Concorrenza, nella legge di Bilancio dello stesso anno fu inserito un importo che le società di capitale devono riconoscere – lo 0,5% del fatturato – all’ente di previdenza dei farmacisti (Enpaf). In realtà stiamo contribuendo a questo ente senza avere un ritorno. È un po’ come un’ulteriore tassa. Se invece potessi utilizzare quell’importo per supportare delle progettualità aziendali, credo avrebbe più senso.

L’altro elemento che aiuterebbe è la digitalizzazione della prescrizione. Oggi è un po’ nebulosa la regolamentazione delle “app”. La differenziazione tra il mondo della farmacia online che ha il bollino del ministero della Salute per poter vendere i farmaci Otc (da banco) e l’uso delle app che si occupano dell’ultimo miglio, dell’home delivery.

Quali sono invece le difficoltà che lei, come giovane imprenditore, ha dovuto affrontare?

All’inizio il tema fu quello di rendersi credibile agli occhi degli imprenditori rispetto alle scelte operate. Altro elemento è la scelta dei giusti compagni di viaggio con cui condividere le normali criticità del business.

Ha dovuto rinunciare a qualcosa per raggiungere i traguardi di oggi?

Mi pesa l’aver rinunciato a tanto tempo con la mia famiglia e i miei figli. Che però mi hanno sempre sostenuto in modo significativo. Inevitabilmente quando si vuole costruire qualcosa bisogna lavorare tanto e fare molti sacrifici. Oggi la mia vita è un po’ più bilanciata rispetto all’inizio. Ma io amo questo lavoro, lo faccio con grande passione.

Cosa significa successo, per lei?

Successo per me è darsi degli obiettivi e avvicinarsi al raggiungimento degli stessi in un arco temporale definito. Mi ero dato degli obiettivi e ho anche superato le mie aspettative. Se lei mi chiede se avrei mai pensato di trovarmi dove sono oggi a guidare un’azienda con questo fatturato e questo numero di persone direi di no. Tutto questo ha a che fare con la parola “successo”, che è una parola con tante sfaccettature. Il mio successo personale è avere i miei due figli.

Cosa si sente di consigliare ai giovani che hanno un’idea imprenditoriale?

Bisogna avere il coraggio di portare avanti le proprie idee, non fermarsi di fronte alle prime difficoltà. E ricordare che la differenza è fatta dalla capacità di execution. Perché di idee belle e valide ce ne sono moltissime, geniali. Che poi si perdono lungo la strada.

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