Tempo, ecco come il cuore detta i ritmi del presente

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Un attimo, a volte, vale un’eternità. E poi ci sono anni che scorrono senza che nemmeno ce ne accorgiamo, se non quando ci volgiamo indietro. Strana sensazione, il tempo. In un’epoca che, grazie alle connessioni pressochè costanti, vede sempre di più la rapidità se non addirittura l’istantaneità come regola di vita e di rapporti, anche in ambito professionale, viene da chiedersi quale valore diamo a la tempo.

Ma soprattutto, a prescindere dall’orologio che ci ricorda appuntamenti, riunioni, call con gli occhi incollati allo schermo del computer, viene da chiedersi come davvero riusciamo a misurare l’attimo fuggente, quello che libera in noi sensazioni uniche e, appunto, quanto dura il presente? Per sapere cosa accade e come il corpo ragiona, non guardate cronometri, diavolerie informatiche o altro. Ma provate a chiedere le risposte al vostro cuore.

Sarà il cuore a definire come percepiamo il tempo e come la sensazione degli attimi che scorrono, i secondi che si dilatano fino a diventare sensazioni indelebili oppure che corrono spasmodicamente, senza lasciarci il tempo di ragionare.

Se per un attimo riuscite a calarvi nella dimensione quasi bucolica del battito cardiaco come segnapassi della percezione momentanea nel tempo, sappiate che non si tratta solamente di uno sfogo antropologico. A definire questa sorta di nuova misurazione dell’esperienza del tempo dettata dalla frequenza cardiaca è una ricerca condotta dagli esperti dell’Università Cornell, apparsa su Psychophysiology.

L’indagine mostra che il cuore può essere un cronometrista più che affidabile, e soprattutto segnala come la stessa esperienza del tempo, momento per momento, sia sincronizzata e cambi con la durata di un battito cardiaco. E’ il cuore, insomma, a dettare i ritmi del presente, a dilatarli abnormemente o a farli trascorrere senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

Lo studio parte da un’osservazione fisiologica. Anche se il segnatempo “cuore” si muove regolarmente in condizioni di riposo e tranquillità, gli intervalli tra i battiti non sono mai del tutto sovrapponibili. Esiste insomma una variabilità, che definisce una sorta di allungamento dei ritmi e di quegli impercettibili prolungamenti che gli studio hanno definito “rughe” temporali.

L’indagine ha analizzato questa variabilità in giovani sani, attraverso l’elettrocardiografia e quindi la misurazione finissima dell’attività elettrica. Collegando lo strumento rilevatore al computer si sono poi analizzati gli spazi differenti tra un battito e l’altro. Ed ecco, sono apparse le invisibili (e impercettibili) rughe del tempo.

Quando il battito cardiaco che precedeva un tono era più breve, il tono veniva percepito come più lungo. Quando il battito cardiaco precedente era più lungo, la durata del suono sembrava più breve. E non pensate che il cuore, come un perfetto cronometro automatico, autoregoli i propri ritmi.

C’è una chiara responsabilità del cervello in questo percorso, se i partecipanti alla ricerca hanno iniziato a concentrarsi sui suoni, con evidente impegno del cervello, la frequenza cardiaca si è modificata. E con essa la percezione del tempo. Insomma. anche se non siamo coscienti, il nostro corpo registra il tempo. Ed anche se quando ragioniamo in tempi minimi, con intervalli inferiori al secondo troppo brevi per pensieri o sentimenti coscienti, il cuore riesce comunque a regolare la nostra esperienza del presente. Ascoltiamolo.

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