Pharma tra sfide e innovazione, parla Johanna Mercier (Gilead)

Johanna Mercier Gilead Science
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Una nuova strategia per trattare l’Hiv, una cura per l’epatite C, un approccio innovativo alle terapie oncologiche, una terapia per Covid-19. Il portfolio della biofarmaceutica Gilead Sciences vanta oltre 30 farmaci innovativi, a cui si aggiungono 55 molecole attualmente in varie fasi di sperimentazione clinica per la prevenzione e il trattamento di patologie come Hiv/Aids, malattie epatiche, ematologiche, oncologiche e infiammatorie. Un impegno nell’innovazione che ha già permesso a Gilead di sviluppare farmaci che hanno trasformato la storia di patologie molto gravi, con una crescita del fatturato del 73% nel 2022. Fortune Italia ne ha parlato con la Chief Commercial Officer, Johanna Mercier.

Se l’obiettivo di Gilead Sciences è quello di portare ai pazienti 10 nuove terapie trasformative entro il 2030, nel 2022 dal punto di vista economico – nonostante la pandemia e le numerose altre sfide per il settore – il gruppo ha raggiunto risultati positivi importanti. Ce ne può parlare, e come ci siete riusciti?

E’ stato un imponente lavoro di squadra, iniziato nel 2019. Ma siamo davvero orgogliosi del fatto che nel 2022 abbiamo avuto la crescita più importante mai registrata dal 2015. E questo non è successo per caso. Tutto è iniziato con l’arrivo al timone del nostro Ceo, Daniel O’Day (insediatosi nel marzo 2019, ndr). Abbiamo presentato la nostra strategia nel gennaio del 2020, che doveva sostanzialmente basarsi sul primato nella virologia che Gilead ha avuto negli anni e che continua ad avere. Ma guardava anche al futuro e alla diversificazione del portfolio. Così abbiamo potuto riflettere sui nostri pilastri: uno è la virologia, con l’Hiv al centro, poi c’è l’infiammazione e il terzo pilastro è l’oncologia, con la terapia cellulare.

Nella terapia cellulare i dati sono incredibilmente potenti. Inoltre, le capacità di produzione sono davvero impressionanti e questo ci ha differenziato sul mercato, per essere certi che i pazienti ottengano ciò di cui hanno necessità quando ne hanno bisogno. La terapia cellulare è stata un pezzo importante del successo del 2022, e lo è stata anche in Europa, Italia compresa. Penso ci sia stata una buona accettazione di questa innovazione, più veloce di molti altri mercati.

D’altra parte, per continuare la trasformazione in oncologia era necessario costruire la pipeline. Abbiamo fatto molte acquisizioni proprio a questo scopo. Penso al farmaco sacituzumab govitecan contro il cancro del seno (Gilead è entrata in possesso di questo prodotto con l’acquisizione di Immunomedics, avvenuta nel 2020 per 21 miliardi di dollari, ndr). Questo farmaco potrà ora essere utilizzato anche per trattare pazienti con tumore al seno metastatico positivo al recettore ormonale e HER2 negativo. E penso che questo sia super eccitante, perché potenzialmente potrebbe essere utile anche contro altri tipi di tumore.

Cosa si aspetta per l’anno 2023?

Ho grandi aspettative per il nostro futuro in oncologia. Abbiamo già visto due indicazioni: carcinoma mammario triplo negativo metastatico, e tumore al seno metastatico positivo al recettore ormonale e HER2 negativo, in cui sacituzumab govitecan ha dimostrato di avere un impatto sulla sopravvivenza globale. Questo vuol dire che stiamo dando una speranza a queste donne, che cercano tempo per stare con le loro famiglie, con i loro figli, con i loro amici. La speranza che possiamo dare è incredibilmente importante.

Abbiamo costruito il nostro portfolio oncologico, sia dal punto di vista dello sviluppo della pipeline, che dell’impronta commerciale. È stato un bel viaggio e nell’ultimo anno tutti i pezzi si sono incastrati nel modo giusto. Siamo stati in grado di offrire ai pazienti novità in tutte le nostre aree terapeutiche e ne sono orgogliosa, pensando al numero di pazienti che possiamo aiutare. Quindi non credo che il 2022 sia stato un caso. Ora dobbiamo solo continuare su questa strada, certi che in questo momento abbiamo un’opportunità. E, soprattutto, abbiamo poco meno di 60 studi clinici in corso, molti in fase tre.

Abbiamo presentato dati importanti nel cancro al seno e stiamo lavorando sul tumore della vescica. Ma anche su quello del polmone non a piccole cellule. Abbiamo fatto molta strada, ma ritengo ci sia spazio per spostare l’asticella più in alto, grazie alle numerose innovazioni degli ultimi due anni. E sono convinta che sia una nostra responsabilità assicurarci di tentarle davvero tutte per aumentare l’efficacia delle terapie.

È interessante sentire una manager parlare di responsabilità. A proposito di sfide, pensa che la pandemia di Covid-19 abbia cambiato in qualche modo il settore farmaceutico? E se sì, come?

Penso che siamo tutti stati cambiati da Covid-19. Ma anche che ci siamo avvicinati ai clienti in modo leggermente diverso, sia che parliamo di studi clinici, sia dal punto di vista della commercializzazione. In pandemia è cresciuto il lavoro digitale, ora le cose sono cambiate: siamo tornati un po’ a come era prima, ma penso che il mix sia probabilmente la soluzione vincente.

Penso anche che Covid-19 abbia mostrato, non solo alle aziende farmaceutiche ma anche alle agenzie regolatorie, che è possibile accelerare determinati processi. Penso all’approvazione di farmaci, vaccini e antivirali come remdesivir. E penso che questo sia davvero importante. Non dovremmo mai dimenticarlo, perché consente di portare l’innovazione più rapidamente ai pazienti. Lo abbiamo fatto durante una pandemia, e mi rendo conto che non possiamo farlo per tutto. Ma mentre pensiamo ai farmaci innovativi, ai bisogni medici insoddisfatti, le persone muoiono. Abbiamo la responsabilità di continuare a sfidare i nostri sistemi, a sfidare noi stessi, per ridurre i tempi il più possibile: abbiamo imparato che è possibile, Covid-19 ne è la prova. Pensiamo al tumore al seno, il tempo che passa tra la diagnosi e l’inizio del trattamento è il peggiore che si possa vivere: sono i giorni più lunghi. Ecco, dobbiamo assicurarci di abbreviare al massimo questo lasso di tempo.

Non solo Covid-19: nel 2022 abbiamo avuto la guerra in Ucraina, la crisi energetica, quella delle materie prime. Abbiamo parlato di permacrisi. In che modo tutto questo ha impattato su Gilead o sul settore?

Proprio quando è iniziata la pandemia c’erano molte carenze e molta pressione sul sistema. La strategia di Gilead è stata quella di assicurarsi più fonti, sia per le materie prime, sia per la produzione. Così, siamo stati effettivamente in grado di non rimanere mai senza prodotti per il paziente. Un bel risultato, anche nel caso di remdesivir.

Abbiamo accennato alla guerra. Quali sono le prospettive per il pharma a livello europeo?

Quello che sta accadendo è drammatico. Posso solo dire che l’Europa è molto importante per Gilead, e per tutta l’industria farmaceutica. E la ragione è che ci sono bisogni medici insoddisfatti che devono essere affrontati. Penso ci sia davvero l’opportunità di dare risposte ai pazienti: lo stiamo già facendo.

Dopo Covid-19 probabilmente è cresciuta la fiducia nel nostro settore, e su questo c’è spazio per costruire. Penso ci sia l’opportunità di costruire fiducia, di lavorare tutti nella stessa direzione e assicurarci di garantire l’accesso ai farmaci ai pazienti che ne hanno bisogno, quando ne hanno bisogno. Torniamo così alla mission di Gilead: scoprire, sviluppare e fornire farmaci per bisogni medici insoddisfatti.

Gilead

In Italia dal 2000, Gilead ha sede a Milano e conta oltre 280 dipendenti. Non posso non chiederle come guarda il Gruppo al nostro Paese.

L’Italia è un mercato molto importante per Gilead: è sicuramente un mercato di punta nell’Unione Europea. Penso che sia anche un Paese in cui la ricerca è davvero importante, dove abbiamo un rilevante settore manifatturiero. Dopo aver avuto la possibilità di incontrare il team italiano e conoscere meglio la loro attività, penso anche che ci sia un reale impegno per raggiungere l’eccellenza. E un’opportunità per noi di condividere parte dell’ottimo lavoro fatto.

Questo è uno degli obiettivi che ho, quando visito le aziende affiliate: cercare di rimuovere le barriere in modo da poter andare più veloci, per raggiungere i pazienti quando ne hanno bisogno. Ma, allo stesso tempo, vedere cosa può essere importato o esportato, per condividere le best practices. L’Italia diventerà più importante, sul fronte dell’innovazione. E penso che su questo ci sia il supporto da parte del governo. Siamo impegnati a portare sul mercato dieci terapie trasformative entro il 2030. Quindi i Paesi che supportano l’innovazione sono quelli sui quali puntiamo.

Torniamo negli Stati Uniti, alle prese con un fenomeno importante per il mercato del lavoro: la Great Resignation. Il settore farmaceutico sembra escluso da questo trend. Come mai?

Nel picco di Covid c’era un turnover decisamente più elevato all’interno del settore farmaceutico. Penso che le persone si interrogassero su cosa stessero facendo, sul loro scopo. Beh, nel nostro settore tutto si è stabilizzato abbastanza rapidamente. Uno dei motivi, e non posso parlare per tutto il settore farmaceutico, è sicuramente la mission: perché facciamo quello che facciamo. I pazienti sono al centro di tutto il nostro impegno. Lo abbiamo fatto con più molecole contro Hiv e Hcv, ma anche più recentemente con remdesivir. Trasformare in sei mesi un prodotto, immetterlo sul mercato e salvare vite umane. E questo è stato incredibilmente potente. Ecco, ribadisco che non posso parlare per tutte le aziende farmaceutiche, ma credo che la mission sia il motivo per cui non c’è stata una Great Resignation nel pharma.

Cambiamo tema: il soffitto di cristallo. Quanto è difficile per una donna arrivare ai vertici del settore farmaceutico?

A essere onesti, penso di essere stato molto fortunata. Ho avuto maestri e sponsor incredibili nella mia carriera, uomini e donne che mi hanno spinto a sfidare lo status quo. Ma devo anche dire che ho un marito davvero incredibile, che mi sostiene e supporta. Ho due figli al college, ho avuto la possibilità di avere sia una vita personale che professionale. A volte non è facile, ma è incredibilmente gratificante.

Penso sia bello sfidare i codici. E sono convinta che la diversità all’interno del team sia davvero importante. Non solo di genere, ma anche di origine etnica, culturale. Le esperienze diverse arricchiscono, ed è così che costruisci una squadra davvero forte. Insomma, ho avuto incredibili opportunità e un supporto importante lungo la mia strada. Quindi direi che è così che credo di aver avuto successo. Ma so di non averlo ottenuto da sola: ho un team speciale, anche in Italia, che fa la differenza.

Qual è il messaggio che vuole dare alle giovani che pensano a una carriera nel pharma?

Se stanno cercando uno scopo, il settore farmaceutico è la scelta giusta. Qui noi possiamo fare la differenza, avere un impatto sulla vita di uomini e donne che hanno malattie potenzialmente letali e che hanno bisogno di farmaci innovativi, in grado di cambiare le loro vite. Quindi direi alle giovani generazioni che dovrebbero valutare le loro prospettive nel settore farmaceutico. Non solo: nel pharma c’è molto spazio per lo sviluppo, ci sono molte opportunità. Qui la ricerca è la chiave di tutto. Ecco, penso che questo possa essere un richiamo incredibilmente potente per le giovani generazioni.

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