Covid in calo in Italia, l’attesa per l’Oms

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In molti di Covid-19 non vogliono più nemmeno sentir parlare, anche perché il virus ha rallentato la sua corsa e l’impatto dell’infezione, in generale, appare essersi attenuato. In attesa che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) decida se inoltrare parere positivo alla fine dello stato di emergenza sanitaria internazionale, dal monitoraggio della Cabina di regia arrivano buone notizie: l’incidenza settimanale in Italia è in lieve diminuzione e i numeri degli ospedali sono buoni. Ma vediamo cosa sta accadendo.

Contagi in Italia

L’incidenza è di 35 casi ogni 100.000 abitanti (28 aprile-4 maggio), contro 39 ogni 100.000 abitanti nella settimana precedente. Nel periodo 12-25 aprile l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è tornato a salute, ed è pari a 1,10 (range 0,91-1,31), al di sopra della soglia epidemica.

L’indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero è invece in diminuzione e sotto la soglia epidemica: Rt=0,91 (0,85-0,96) al 18 aprile contro Rt=0,96 (0,91-1,02) al 18 aprile.

Gli ospedali

Il tasso di occupazione Covid in terapia intensiva è stabile all’1,1% (rilevazione al 4 maggio) contro l’1% (27 aprile), mentre nelle aree mediche a livello nazionale si scende leggermente al 4,4% (4 maggio) contro il 4,7% (27 aprile). Come abbiamo detto in passato, sono questi i dati da tenere d’occhio, considerato il calo nel ricorso ai tamponi.

La situazione internazionale

“Il trend attuale della pandemia ha permesso il ritorno alla normalità nella maggioranza dei Paesi, ma allo stesso tempo persistono alcune criticità in merito all’evoluzione del virus che rendono difficile il poter prevedere le dinamiche future di trasmissione del virus o la sua stagionalità”, ha avvertito il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, aprendo nelle scorse ore la riunione del Comitato per l’emergenza Covid. La tendenza alla diminuzione dei decessi Covid-19 “è proseguita. Per ciascuna delle ultime 10 settimane, il numero di decessi settimanali segnalati è stato il più basso da marzo 2020”.

Ma se il mondo è stanco di sentir parlare di pandemia, il Dg è stato particolarmente cauto. “Questo virus – ha affermato – è qui per restare e tutti i Paesi dovranno imparare a gestirlo insieme ad altre malattie infettive”. Nel frattempo “la sorveglianza e il sequenziamento genetico sono diminuiti in modo significativo in tutto il mondo, rendendo più difficile rintracciare varianti note e rilevarne di nuove”.

La nuova variante

Proprio in tema varianti arrivano le segnalazioni di una new entry: Xbb.2.3, già ribattezzata Acrux, da Alfa Crucis, un sistema appartenente alla costellazione della Croce del Sud ed è una delle stelle più luminose in cielo. Xbb.2.3 è stata individuata per la prima volta in India, e poi negli Stati Uniti, ma è arrivata anche in altri Paesi.

Lo studio sulle proteine E ed M

Nel frattempo la ricerca su Covid-19 non si è fermata. Un team internazionale guidato dall’Università di Padova ha pubblicato su ‘Cell Death and Disease’ uno studio che evidenzia il ruolo delle proteine E e M – fino a oggi ancora poco caratterizzate – nei meccanismi di proliferazione cellulare dei coronavirus, aprendo nuove prospettive di contenimento e cura delle epidemie da diversi tipi di coronavirus.

“In particolare, la proteina E è caratterizzata da un basso tasso di mutazione – spiega  Tito Calì, del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova e correspondig author della ricerca – Il nostro studio si è focalizzato quindi sulle proteine E ed M di Sars-CoV-2, ed è emerso che esse giocano ruoli diversi nel meccanismo di produzione delle particelle virali all’interno della cellula”.

Non solo. “Abbiamo inoltre prodotto, purificato e testato specifici anticorpi piccolissimi chiamati nanobodies, in grado di modulare l’attività della viroporina E andando così a modificare il meccanismo patologico che, nella cellula, permette la proliferazione del virus”.

Dunque la proteina E, spiega Marisa Brini del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e co-autrice dello studio, “potrebbe essere un importante candidato terapeutico non solo per lo sviluppo di nuovi vaccini, ma anche per la gestione clinica di Covid attraverso regimi farmacologici mirati”.

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