Tiroide, nanosensori d’oro ‘a caccia’ del tumore

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La diagnosi del tumore della tiroide fa un salto di qualità, grazie a una tecnologia Made in Italy. Una recente ricerca condotta a Napoli nel campo dei biosensori ha portato infatti allo sviluppo di un dispositivo hi-tech in fibra e oro che potrebbe facilitare non solo la diagnosi ma anche l’individuazione delle terapie più appropriate per questo tumore, più diffuso nelle donne.

Ma come funziona il dispositivo? Si tratta di un nanosensore, descritto su ‘Biosensors and Bioelectronics’, che riesce a identificare e misurare la presenza di una particolare proteina, la tireoglobulina, nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato. E questo amplificando e analizzando la luce diffusa, un elemento caratteristico della composizione molecolare e della struttura del materiale stesso.

La valutazione della presenza della proteina nel liquido di lavaggio di agoaspirati ottenuti da linfonodi “sospettati” di metastasi è uno dei metodi che permette con certezza la diagnosi di estensione extratiroidea del tessuto tumorale.

I ricercatori

Lo studio porta la firma di un team composto dai ricercatori dei tre Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli – l’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia “Gaetano Salvatore” (Cnr-Ieos), l’Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” (Cnr-Scitec) e l’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti “Eduardo Caianiello” (Cnr-Isasi) – insieme a colleghi del Dipartimento di ingegneria dell’Università degli studi del Sannio e del Dipartimento di medicina clinica e chirurgia dell’Università di Napoli Federico II.

La proteina

La tireoglobulina è presente, in condizioni normali, esclusivamente nella tiroide: la sua identificazione nei linfonodi è spia la presenza di metastasi. Oggi per individuarla occorrono sofisticati metodi di dosaggio basati su apparecchiature che sfruttano specifici anticorpi, con tempi di rilevazione non immediati e non facilmente applicabili in sala operatoria in caso di dubbi diagnostici. Per questo spesso è il chirurgo a dover valutare, in base alla propria esperienza, l’estensione dell’intervento da effettuare.

Il nuovo sensore in fibra, basato sull’analisi della luce diffusa, permette invece l’identificazione, in tempo reale e con elevata sensibilità, della tireoglobulina nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato dei linfonodi della tiroide.

Il passo avanti

“Consentire il rilevamento sensibile e selettivo della tireoglobulina umana nel fluido di lavaggio dell’ago aspirato immediatamente prima dell’intervento chirurgico, o direttamente in sala operatoria – ha detto Paolo Macchia del Dipartimento di medicina clinica e chirurgia della Federico II di Napoli – sarebbe della massima importanza per ottimizzare e personalizzare i trattamenti dei pazienti con una procedura minimamente invasiva e senza ulteriori rischi”.

Il colore che fa la differenza

Il biosensore sviluppato sfrutta la diffusione di radiazione laser e consente l’identificazione della tireoglobulina grazie all’analisi del colore della luce che riflette (diffusione Raman). Il risultato è di particolare rilievo anche perché la proteina da identificare è presente in quantità minime nel campione.

“La diffusione Raman ha un potenziale enorme nella realizzazione di sensori in campo biologico e potrebbe avere applicazioni di grande utilità diagnostica, in quanto la luce diffusa da un oggetto porta con sé una ‘firma’ unica della composizione molecolare e della struttura del materiale stesso – ha sottolineato Anna Chiara De Luca, coordinatrice del Laboratorio di biofotonica presso Cnr-Ieos, tra gli ideatori dello studio – I segnali Raman sono così deboli che il loro uso è stato finora molto limitato al di fuori della ricerca: per amplificarli, abbiamo combinato tale tecnica con l’impiego di materiali metallici nanostrutturati che fungono da amplificatori di segnale, in modo da rivelare anche poche molecole”.

Il biosensore

Il dispositivo è costituito da un substrato Sers assemblato su chip o direttamente sulla punta di una fibra nel laboratorio di Polymer Optoelectronics & Photonics da Francesco Galeotti (Cnr-Scitec) attraverso l’uso di nanosfere di polistirene strettamente impacchettate e ricoperte d’oro. L’impacchettamento delle nanosfere, le loro dimensioni ed eventuali trattamenti chimici permettono di amplificare il segnale Raman in una maniera molto efficace e, assicurano i ricercatori, poco costosa.

“Il segnale Raman è poi ulteriormente amplificato dall’impiego di sfere d’oro nanostrutturate, chimicamente trattate in grado di catturare in maniera specifica la proteina, e coniugate con un Raman reporter, una piccola molecola con uno specifico segnale Raman”, hanno puntualizzato Marco Pisco, docente di ingegneria dell’Università del Sannio, e Andrea Cusano, coordinatore del Polo di optoelettronica e fotonica presso il CeRICT dello stesso ateneo.

Il biosensore può essere realizzato sia su chip sia su fibra, e quindi potrebbe essere utilizzato anche direttamente all’interno dell’ago durante il prelievo del campione. Se i risultati ottenuti a Napoli saranno validati in studi preclinici e clinici, il nuovo biosensore potrebbe essere utilizzato per lo screening, la diagnosi, la selezione della terapia e il monitoraggio della progressione del cancro della tiroide e delle eventuali recidive. Inoltre in futuro la tecnica potrebbe essere estesa all’identificazione di metastasi anche da altri tipi di tumori.

Questo studio conferma come l’ingegneria e il talento dei ricercatori italiani stiano disegnando la medicina di domani.

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