Robot, versioni micro rilasciano i farmaci dove servono

Provate un po’ a far arrivare quantità sufficienti di principio attivo di un farmaco esattamente nelle cellule in cui deve esprimere al massimo il suo potenziale. Ci sono aree del corpo umano in cui l’accesso ai medicinali diventa davvero complesso e questo comporta difficoltà a curare la patologia, a meno di non programmare quantitativi di farmaco che potrebbero portare ad effetti collaterali sistemici.

In un prossimo futuro, forse, per risolvere problemi di questo tipo potrebbero pensarci navicelle ultrapiccole, veri e propri microrobot capaci non solo di funzionare da trasportatori per rilasciare principi attivi dove necessario, ma anche di svolgere interventi chirurgici senza bisturi, direttamente sulle cellule. A realizzare, almeno in teoria ma già con qualche prova sperimentale su modelli animali, questa sorta di copia di film di fantascienza di qualche decennio fa, sono gli ingegneri dell’Università del Colorado Boulder, coordinati da Jiin Lee.

Sulla rivista scientifica Small gli esperti descrivo infatti il loro modello di robot semovente, capace di viaggiare all’interno di liquidi biologici come il sangue e potenzialmente in grado di rilasciare farmaci nei “santuari” inaccessibili del corpo, laddove far giungere le cure è davvero complesso.

Le caratteristiche di questi specifici microbot (robot minuscoli), che ovviamente non sono gli unici in fase di studio, sono impressionanti, ovviamente in chiave di ultrapiccolo. Pensate che ogni navicella trasportatrice arriva ad essere larga solo 20 micrometri, ben meno di un pelo umano, e riesce a viaggiare a circa 3 millimetri al secondo. Sul fronte fisico, ogni micronavicella trasporta una piccola bolla d’aria intrappolata, che, una volta esposta ad ultrasuoni, vibra e quindi favorisce l’avanzamento del robot. 

Viste le dimensioni, siamo di fronte ad un vero e proprio missile velocissimo che si muove nell’organismo e potrebbe rappresentare un possibile device futuro per la cura di patologie complesse come la cistite interstiziale. Specie nella forma refrattaria, questa patologia è legata ad un’infiammazione cronica, davvero difficile da spegnere. Alla base del quadro ci sarebbe una sorta di “debolezza” progressivamente sempre più grave della parete interna della vescica, quella che sta a contatto con l’urina che si raccoglie in questo naturale contenitore del liquido biologico.

Verrebbero quindi a mancare le strutture protettive, per cui basta che l’urina contenga dei composti potenzialmente “aggressivi” per la parete dell’organo per scatenare un processo infiammatorio. Ed è proprio l’infiammazione cronica il target terapeutico di colpire, influendo direttamente sull’urotelio, il tessuto di rivestimento interno della vescica e del tratto urinario. Alla fine, il quadro clinico è caratterizzato dal dolore nella zona della pelvi.  Il medico può proporre una serie di trattamenti.

Ma risolvere la situazione è difficile. I micro robot potrebbero consentire proprio questo. Nello studio sugli animali i piccolissimi robot sono stati “caricati” di un cortisonico, il desametasone, per farlo giungere nella zona vescicale. Anche se inizialmente si sono dispersi nei vari organi, una volta giunte a contatto con l’epitelio della vescica le navicelle sono riuscite a rilasciare lentamente il farmaco, coprendo un tempo ampio di somministrazione.

La speranza è che questi meccanismi possano essere poi replicati nell’uomo, per offrire una copertura terapeutica sempre più significativa e prolungata per la patologia. Attenzione però ci vorrà del tempo. Bisogna arrivare a rendere le navicelle completamente biodegradabili, e quindi in grado di sparire autonomamente nell’organismo senza che ci siano residui. Al momento siamo solo di fronte a veri e propri tentativi per aprire la strada al futuro, che non è dietro l’angolo. Ma che si annuncia davvero interessante. Grazie ai microrobot. Quando saranno capaci di aggirarsi, con obiettivi presici, nell’organismo. E ci aiuteranno a curarci!

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