Covid, una nuova scoperta sulla qualità dell’aria

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Non è la prima volta che i riflettori della ricerca cercano di far luce sul legame tra inquinamento e Covid-19. Aveva fatto scalpore in piena pandemia il position paper della Società italiana di medicina ambientale (Sima), secondo cui l’inquinamento era “un’autostrada per la diffusione di Covid in Pianura Padana”.

Ora una nuova ricerca – promossa dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – mostra come la qualità dell’aria incida sia sul rischio di infezione da Covid che sulla mortalità. Anche a conferma dell’importanza di un approccio One Health.

EpiCovAir

La nuova ricerca evidenzia il legame tra incidenza di infezioni da Sars-CoV2, mortalità per Covid-19 ed esposizione di lungo periodo (2016-2019) ad alcuni fra i principali inquinanti atmosferici nel nostro Paese, quali il biossido di azoto (NO2) e il particolato atmosferico (PM2.5 e PM10).

A far luce sul fenomeno è EpiCovAir, un progetto epidemiologico nazionale di ricerca su Covid-19 e inquinamento promosso da Iss e Ispra, in collaborazione con la Rete Italiana Ambiente e Salute (Rias). Le indagini hanno riguardato circa 4 milioni di casi di Sars-CoV-2 e 125 mila decessi registrati dal Sistema Nazionale di Sorveglianza Integrata Covid tra i 60 milioni di italiani residenti in 7.800 comuni durante le prime tre ondate epidemiche (da febbraio 2020 a giugno 2021). Parliamo per il campione di un’incidenza di 67 contagi su 1000 abitanti e un tasso di letalità di 31 decessi ogni 1000 persone contagiate.

Il caso del Nord Italia

Iniziamo col dire che il fenomeno che, a occhio, era sembrato all’inizio un’insolita coincidenza, è stato confermato dalla ricerca. La distribuzione geografica dell’infezione e dei decessi per Covid-19 mostra incidenza e letalità più alte nelle aree del Nord Italia, che sono anche quelle con livelli più alti di inquinamento atmosferico di lungo periodo. Questo vale particolarmente nella prima ondata dell’epidemia, mentre le distribuzioni dei casi e dei decessi per Covid sono più omogenee nella seconda e terza fase pandemica.

Le associazioni con l’inquinamento atmosferico, più forti tra gli anziani, rivelano che in Italia l’incidenza di nuovi casi cresce significativamente dello 0.9%, dello 0.3% e dello 0.3% per ogni incremento di 1 microgrammo per metro cubo (μg/m3) nei livelli di esposizione di lungo periodo a NO2, PM2.5 e PM10, rispettivamente.

Lo stesso vale per i tassi di letalità, che aumentano dello 0.6%, dello 0.7% e dello 0.3% ad ogni innalzamento di 1 μg/m3 nell’esposizione cronica rispettivamente agli stessi inquinanti.

Il commento dei ricercatori

Le analisi effettuate, spiegano gli autori, tengono conto di numerose variabili geografiche, demografiche, socio-economiche, sanitarie, così come della mobilità della popolazione durante la pandemia, grazie ai dati forniti da Enel X sui flussi di traffico per tutti i comuni italiani.

“I risultati – precisa Ivano Iavarone, coordinatore del Progetto – sono coerenti con le più recenti evidenze disponibili nella letteratura scientifica internazionale, e supportano la necessità di agire tempestivamente per ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici e il loro impatto sanitario, in linea con la recente proposta della Commissione europea di una nuova Direttiva sulla qualità dell’aria e di contrasto alla crisi climatica”.

Covid-19 sembra sotto controllo, ma “sotto questo punto di vista, e non potendo escludere futuri rischi epidemici – concludono i presidenti Iss e Ispra-Snpa Silvio Brusaferro e Stefano Laporta – sarà importante individuare strategie sinergiche e intersettoriali di prevenzione integrata che su scala europea, nazionale, regionale e locale accelerino l’implementazione di politiche improntate sui co-benefici, attraverso interventi strutturali in settori chiave quali i trasporti, l’industria, l’energia e l’agricoltura”.

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