Medicina generale in trasformazione, l’analisi di Scotti (Fimmg)

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Si rincorrono i rumors sulla riforma della medicina generale che il ministro della Salute Orazio Schillaci avrebbe in mente per tappare, una volta per tutte, le numerose falle organizzative del Sistema sanitario nazionale (Ssn). Non ultima quella che riguarda le carenze del personale e l’atavica congestione dei Pronto Soccorso, a cui i cittadini fanno ricorso in modo inappropriato anche perché non trovano sul territorio adeguate risposte alle esigenze di salute.

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Tra le ipotesi sul tavolo, a quanto si legge sulla Stampa, ci sarebbe da un lato una riforma della contrattualizzazione dei medici di medicina generale (Mmg) che potrebbero diventare dipendenti del Ssn, e dall’altro il rafforzamento della figura del medici di medicina generale attraverso percorsi formativi simili alla specializzazione che oggi riguarda le discipline ospedaliere. Finanche ad arrivare all’eventualità di riservare ai medici del territorio la possibilità di indirizzare i pazienti direttamente ad alcuni reparti ospedalieri. Bypassando così i pronto soccorso, che sarebbero quindi decongestionati.

Ma cosa c’è di vero? E che ne pensano i diretti interessati? Risponde a Fortune Italia il segretario generale della Fimmg Silvestro Scotti: “Ho incontrato il ministro Schillaci martedì scorso. Devo dire che l’ipotesi di nuovi inquadramenti contrattuali del Mmg non sono stati messi sul tavolo. Abbiamo invece parlato dell’opportunità di portare la medicina generale verso nuove dinamiche accademiche. Prevedendo obiettivi strutturali e non emergenziali. Che significa attuare percorsi formativi da sviluppare nel tempo per i nuovi laureati in Medicina e Chirurgia”. Che possano cioè specializzarsi in medicina del territorio, acquisendo skill formative ad hoc.

Perché di fatto “il corso di laurea in Medicina e Chirurgia è molto orientato alle specializzazioni ospedaliere. Mentre per far fronte alla necessità di medici sul territorio, che siano in grado di assistere la popolazione e anche di fare diagnosi sempre più precise così da decongestionare i pronto soccorso, occorre che le nuove leve siano orientate a scegliere anche la via della medicina territoriale e delle cure primarie”.

Naturalmente per attivare e attuare questo processo occorre tempo. E non è possibile che questa sia la misura che risolve il noto problema di come riempire di professionalità e competenze le Case della salute previste dal Pnrr. “L’importante è non mettere in competizione i medici, che già sono pochi, rispetto alle strutture in cui operare”, avverte il segretario della Fimmg. Che, rispetto all’idea di riservare alcuni posti letto di specialità ospedaliera per l’invio diretto dei pazienti da parte degli Mmg si dice assolutamente favorevole. “Si tratta del modello inglese, dove il general practitioner ha questa facoltà. Ma la possibilità di attuarlo anche in Italia presuppone la messa in opera di un’organizzazione sanitaria territoriale potenziata, che passi dall’analisi del problema alla diagnosi. Cosa fattibile solamente incrementando il personale, l’organizzazione e la disponibilità di strumentazioni diagnostiche adeguate. E naturalmente le conoscenze del Mmg”.

Il messaggio di Silvestro Scotti è chiaro: si può fare tutto, anche far compiere alla medicina territoriale quel salto di qualità che consenta di ottimizzare il flusso dei pazienti verso le strutture ad alta intensità di cura rendendo più appropriati gli accessi al pronto soccorso. Ma non alle condizioni attuali di carenza di personale e di pressoché assenza di strumentazioni diagnostiche.

Prosegue il segretario della Fimmg: “Il sogno sarebbe consentire un sistema di vasi comunicanti tra le specialità ospedaliere e la medicina territoriale. Nell’ipotesi di una specializzazione ad hoc a livello accademico, potremmo immaginare anche il riconoscimento di una serie di competenze che sono trasversali, per esempio a un internista e a un medico di medicina generale. Così che alcuni ospedalieri possano passare al territorio”.

Sul tavolo di Schillaci c’è anche l’ipotesi di un operatore socio-sanitario specializzato in grado di dare manforte al medico di medicina generale all’interno dell’ambulatorio.

Un’opzione che sarebbe molto apprezzata dalla medicina generale perché “permetterebbe di assistere più pazienti, pur mantenendo la qualità dell’assistenza sanitaria erogata”. Diverse le attività che sarebbero in capo a questa nuova figura professionale: la gestione dell’assistenza domiciliare di basso livello e la prevalutazione dei pazienti. Insomma, una sorta di triage di ambulatorio, così che il paziente arrivi dal medico di medicina generale già ‘screenato’ e il medico possa concentrarsi sull’affinamento della diagnosi, finanche all’invio al reparto specialistico in ospedale.

“Se riconosciamo una fibrillazione atriale ad esempio, sarebbe inutile oltre che dannoso dirigere il paziente al Ps dove ricomincerebbe l’iter diagnostico. Meglio al reparto più indicato per il trattamento”, esemplifica Scotti.

Il numero uno della Fimmg tiene a dare un’ultima battuta anche sulla ventilata, quanto non confermata, ipotesi di nuove forme contrattuali per i medici di medicina generale: “Creare divisioni all’interno di una categoria non è la soluzione dei problemi. Ce lo insegna l’esperienza del 118, quando alcuni medici furono resi dipendenti e altri restarono in convenzione. Oggi abbiamo una giungla contrattuale che non ha portato alla stabilità, né dal punto di vista lavorativo né in termini di efficienza del servizio”.

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