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Salute degli italiani (e Ssn) a rischio. L’Osservasalute

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L’importante è la salute. L’abbiamo capito in pandemia, ma ora che Covid-19 appare sotto controllo, la salute degli italiani vacilla sotto il peso di una serie di mali, vecchi e nuovi. E tutto sommato anche il Servizio sanitario nazionale non se la passa benissimo. Il nostro, lo sappiamo, è un Paese che invecchia – l’età media della popolazione supera i 46 anni – e si trova a fare i conti con malattie croniche e patologie degli anziani. Il tutto in assenza di un adeguato ricambio generazionale, con un record di madri over 35 e un Ssn che scricchiola sotto il peso di anni di sottofinanziamento. Cattivi stili di vita, poca attività fisica e mancanza di prevenzione non fanno che acuire i malanni cronici della sanità tricolore, con un impatto sulla salute del Paese che lascia poco spazio all’ottimismo.

E’ decisamente cupa la fotografia che arriva dal nuovo Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane giunto alla XX edizione e presentato oggi a Roma. L’Osservatorio opera nell’ambito di Vihtali, spin off dell’Università Cattolica, presso il campus di Roma. Nelle 628 pagine, frutto del lavoro di 225 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano (presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, Istat) spiccano alcuni elementi chiave: tra meno di 30 anni in Italia l’età media supererà i 50 anni. E il trend dei nuovi nati non fa ben sperare: nel 2021 sono stati poco più di 400 mila, 4.500 in meno rispetto al 2020. Insomma, le prospettive non sono rosee, come fa notare il direttore scientifico di Osservasalute Alessandro Solipaca.

Questione (anche) di soldi

La sanità “sta uscendo faticosamente dalla crisi generata dalla pandemia. Non siamo ancora in grado di stabilire quali ‘danni collaterali’ alla salute degli italiani abbia causato l’emergenza sanitaria. Quel che è certo – afferma Solipaca – è che non ci sarà un aumento consistente del finanziamento ordinario del Ssn, come testimonia lo stanziamento nel Def 2023 che prevede, per il 2025, 135 miliardi di euro e, per il 2026, 138 miliardi di euro”. Somme “che lasciano sostanzialmente invariata la quota di ricchezza nazionale allocata sulla sanità pubblica, il 6,2% del Pil”.

La tempesta perfetta

Per Walter Ricciardi, direttore di Osservasalute e ordinario di Igiene Generale e Applicata Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica Università Cattolica, Campus di Roma, nonché presidente del Mission Board for Cancer, Commissione europea, il pericolo è quello di “una tempesta perfetta: da un lato l’aumento dei fattori di rischio per diverse malattie legati sia alla demografia della popolazione, sia all’epidemiologia con un importante aumento delle malattie croniche, e dall’altro il deterioramento forte di un Ssn che riesce sempre meno a garantire anche i servizi essenziali. Si allungano le liste d’attesa, mentre i pronto soccorso sono sempre più affollati e sempre più in ritardo, loro malgrado, nel dare risposte tempestive ai cittadini”. E questo in tutta Italia, anche se il rapporto rileva diseguaglianze importanti sul fronte, ad esempio, delle morti evitabili.

Un Paese che spende poco in salute

Nel 2022 la spesa sanitaria pubblica si è attestata a 131 miliardi (6,8% del Pil), la spesa a carico dei cittadini a circa 39 miliardi (2% del Pil). A conti fatti nel 2020 la spesa sanitaria dell’Italia, a parità di potere d’acquisto, si è mantenuta significativamente più bassa della media Ue-27, sia in termini di valore pro capite (2.609 contro 3.269 euro) che in rapporto al Pil (9,6% contro 10,9%).

Il nostro Paese si colloca al tredicesimo posto della graduatoria dei Paesi Ue per la spesa pro capite, sotto Repubblica Ceca e Malta e molto distante da Francia (3.807 euro pro capite) e Germania (4.831), mentre la Spagna presenta un valore di poco inferiore a quello dell’Italia (2.588). Se guardiamo da un’altra prospettiva, in Europa Germania, Olanda, Austria e Svezia sono i Paesi con la spesa pro capite, a parità di potere d’acquisto, più elevata, prossima o superiore ai 4.000 euro. Per la spesa sanitaria rispetto al Pil, l’Italia occupa la decima posizione insieme alla Finlandia. Francia e Germania sono i Paesi con l’incidenza più elevata, superiore al 12%.

L’impatto di Covid

Il ricordo va sfumando, ma il peso della pandemia si avverte quando si osserva l’eccesso di mortalità registrato in Italia nel 2020 rispetto al periodo pre-pandemico, che è del +10,2% e tra i più elevati in Europa (anche se il dato, avvertono i ricercatori, potrebbe essere in realtà l’effetto di una sotto-notifica dei decessi Covid-19 negli altri stati membri), superato solo da alcuni Paesi come Spagna e Polonia (rispettivamente 11,0% e 13,2%). La media dei Paesi Ue-27 è pari a +5,7%.

Nel 2021 l’eccesso italiano (+3,6%) scende sotto la media europea (+7,0%), che rimane elevata a causa dell’impennata nell’eccesso di mortalità nei Paesi dell’Est-Europa (tra questi Bulgaria con +32,3% e Polonia con +21,6%). Comunque l’eccesso di mortalità registrato nei due anni di pandemia si è tradotto in una diminuzione della speranza di vita in quasi tutti i Paesi europei, con una perdita in media di 1,2 anni di vita attesa nel 2021 rispetto al 2019. Un impatto che si sente ancora in tutti gli Stati membri dell’Ue, ad eccezione di Lussemburgo (+0,1 anni), Malta e Svezia (stesso livello nel 2019 e nel 2021).

I primi nemici della salute

L’analisi della mortalità evitabile riconducibile ai servizi sanitari – che nel periodo 2018-2019 è pari a 63,98 per 100.000 mentre era 65,53 nel biennio 2016-2017- mostra che, nonostante la diminuzione complessiva del dato, è ancora molto alta la quota di decessi attribuibili ai tumori e alle malattie cardiocircolatorie. Il 70% dei decessi evitabili registrati negli ultimi 2 anni disponibili è dovuto ai tumori maligni del colon e del retto (19,13%), alle malattie cerebrovascolari (17,96%), ai tumori maligni della mammella (16,88%) e malattie ischemiche del cuore (16,03%). Questi decessi si sarebbero potuti evitare se le condizioni che li hanno causati fossero state intercettate per tempo con le campagne di screening. I valori più bassi si registrano nella PA di Trento (46,42 per 100.000) e i più alti in Campania (81,41 per 100.000).

Male la prevenzione e gli screening

Covid ha comportato una riduzione dell’offerta dei programmi di screening organizzati da parte delle Asl e dell’adesione da parte della popolazione, con il risultato che nel 2020 si osserva il rallentamento del trend in crescita della copertura dello screening mammografico che si andava registrando negli anni precedenti.

E ancora, nel periodo 2020-2021 il 47% della popolazione target femminile si è sottoposta a screening per il tumore della cervice uterina (Pap test e/o Hpv test), aderendo ai programmi offerti dalle Asl, ma una quota rilevante, pari al 30%, si è sottoposta a screening cervicale a scopo preventivo e nei tempi raccomandati per iniziativa spontanea. Nel Nord e nel Centro la quota di donne che si sottopone a screening per il tumore della cervice uterina nell’ambito di programmi organizzati è significativamente maggiore della quota di donne che lo fa su iniziativa spontanea (60% vs 25% nel Nord e 53% vs 32% nel Centro). Nelle regioni meridionali il dato di quante si  sottopongono a screening nell’ambito di programmi organizzati è fra le più basse (34%) e confrontabile con la quota di donne che lo fa su iniziativa spontanea.

Visite specialistiche in affanno

Le prime visite specialistiche effettuate nel 2021 ammontano a 23 milioni e 600 mila, un numero ancora inferiore all’anno pre-pandemico: nel 2019 erano circa 26 milioni e 700 mila. Per quanto riguarda invece le visite di controllo nel 2021 ne sono state erogate 25 milioni e 243.346, delle quali circa il 58% prescritte da un medico specialista; nel 2019 erano circa 32 milioni e 700 mila.

In Italia saremo sempre meno

L’età media della popolazione, che è pari a 46,2 anni nel 2022 si stima raggiungerà i 50,6 anni nel 2050. Inoltre, nei prossimi decenni proseguirà il calo della popolazione residente dovuto al protrarsi del regime di bassa fecondità e alla graduale diminuzione dei flussi migratori dall’estero. Si prevede, infatti, che la popolazione residente passerà dai 59,2 milioni di abitanti attuali ai 54,2 milioni di abitanti residenti nel 2050.

L’Italia inoltre è il Paese in Europa con la percentuale più alta di madri di 35-40 anni, il 35,4%, ovvero oltre una neo-mamma su tre.

Stile di vita da rivedere

Gli italiani sono sempre più in sovrappeso – il 12% della popolazione, quasi 6 milioni di adulti, è obesa e, complessivamente, il 46,2% dei soggetti ≥18 anni è in eccesso ponderale – e poco attivi, con più di un terzo delle persone (33,7%) che ha dichiarato di non fare sport o attività fisica nel tempo libero (30,3% degli uomini e 36,9% delle donne).

La sedentarietà contagia i più giovani. Infatti, tra il 2020 e il 2021 l’Osservasalute segnala un forte decremento della pratica sportiva tra i bambini e adolescenti di età 3-17 anni. In queste classi di età tra il 2020 e il 2021 si è osservato un vero e proprio crollo della pratica sportiva specialmente di tipo continuativo, diminuita di circa 15 punti percentuali (dal 51,3% al 36,2%) e compensata soltanto in parte dalla pratica di qualche attività fisica (dal 18,6% al 26,9%), svolta in modo destrutturato e, quindi, al di fuori delle palestre e dei centri sportivi interessati dalle chiusure. La sedentarietà è, infatti, aumentata dal 22,3% al 27,2%. Il diabete, poi, dilaga tra gli obesi (il 15,5% di loro ne soffre) e i sedentari (quasi il 12%).

La salute mentale peggiora

A perdere pezzi non è solo la salute fisica. Gli italiani appaiono più depressi: a partire dagli anni 2011-2012 le prescrizioni dei farmaci antidepressivi hanno registrato inizialmente un lieve aumento, pari a +1,8% dal 2013 al 2016, poi la crescita è stata più significativa, con i valori che tra il 2017 ed il 2021 hanno registrato un +10,4%. Nel 2021 il consumo di farmaci antidepressivi è stato di 44,6 DDD/1.000 ab die, facendo registrare un aumento del 2,4% rispetto al 2020.

L’ambiente e i suoi mali

Il Rapporto mette in luce che, nel 2020, nelle acque superficiali, sono stati trovati pesticidi nel 55,1% dei punti di monitoraggio (nel 2018 la percentuale era 77,3% e nel 2017 era 72,4%). La maggiore presenza di pesticidi è segnalata in Umbria (94,1%), Puglia (86,4%), Sicilia (81,6%), superano il 70% Piemonte, Lombardia e Veneto.

Le priorità

“Bisogna che la salute e la sanità diventino una priorità dei decisori – sottolinea Ricciardi – cosa che in questo momento non è. Bisogna anche che la popolazione diventi più consapevole di questa emergenza sanitaria, perché molto spesso i cittadini si rendono conto di questo deficit assistenziale solo quando hanno un problema di salute. Bisognerebbe cercare di garantire alla più grande opera pubblica del Paese, che è il Ssn, adeguati finanziamenti e supporto in tutte le regioni italiane”. Anche perchè l’Osservasalute non lascia dubbi: “Le disuguaglianze regionali in termini di assistenza sanitaria siano aumentate nel tempo, il che determina una sempre più forte spaccatura del Paese in cittadini di serie A e cittadini di serie B”, conclude l’esperto.

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