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Fibrillazione atriale, una neurotrofina per riparare il cuore

fibrillazione atriale
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Aiutare il cuore a ripararsi da solo, ‘spegnendo’ la fibrillazione atriale grazie a una neurotrofina prodotta dal cuore stesso. E’ questa la via esplorata da un gruppo di ricerca tutto italiano, che ha pubblicato i risultati di uno studio clinico ad hoc su ‘Minerva Cardiology and Angiology’.

Nel mirino del team coordinato da Massimo Fioranelli, professore associato di Fisiologia dell’Università Guglielmo Marconi e composto da ricercatori dell’ateneo e dell’Università Sapienza di Roma, c’è la fibrillazione atriale.

Quando il cuore perde il ritmo

“Si tratta – spiega a Fortune Italia Fioranelli, che è anche responsabile del centro di Cardiologia della Casa di Cura Villa del Rosario di Roma – di una condizione caratterizzata da un ritmo cardiaco irregolare e veloce, che può portare a sintomi come palpitazioni, affaticamento e difficoltà respiratorie. Ma, soprattutto,  aumenta il rischio di ictus e altre complicanze cardiovascolari. E’ l‘aritmia più frequente dopo i 60 anni e bisogna dire che oggi, grazie alle tecnologie, è possibile diagnosticarla meglio”. Un’insidia piuttosto diffusa. Fra gli over 60 la fibrillazione atriale colpisce “il 5% della popolazione, parliamo di qualche milione di persone solo in Italia”.

Il BDNF

Attualmente, spiega lo specialista, le terapie antiaritmiche disponibili presentano delle limitazioni significative, rendendo la ricerca di nuovi approcci terapeutici una priorità.

Proprio per aiutare il cuore ad ‘autoregolarsi’, il gruppo di ricercatori ha testato la somministrazione di BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor), una neurotrofina prodotta da vari organi, che svolge un ruolo chiave nella sopravvivenza e nella crescita delle cellule nervose. Il capostipite di queste sostanze “è l’NGF che valse il Premio Nobel a Rita Levi Montalcini“, ricorda Fioranelli. “Qualche anno fa pensavamo che queste sostanze fossero prodotte solo nel cervello, poi abbiamo visto che non è così”.

Un piccolo cervello

Non si tratta di un modo di dire: “Il cuore ha dai 40mila ai 100mila neuroni. Non sono i 100 miliardi di neuroni del cervello o i 100 milioni dell’intestino ma – dice lo specialista – si tratta di un numero importante di cellule, dalle caratteristiche affascinanti”. Non solo: anche il cuore produce queste neurotrofine, che favoriscono lo sviluppo embriologico dell’organo. Studi precedenti hanno mostrato che queste sostanze stimolano le cellule staminali e la neurovascolarizzazione.

Il team ha valutato gli effetti della sostanza in pazienti affetti da fibrillazione atriale parossistica. “Avevamo osservato infatti – spiega Fioranelli – come alcuni pazienti che per altri motivi prendevano il BDNF, presentassero una riduzione degli episodi di fibrillazione atriale. Così abbiamo studiato una trentina di soggetti trattati con un basso dosaggio. I dati pubblicati sono relativi a 22 di essi”. Che sono stati esaminati prima e dopo la somministrazione.

I risultati sono interessanti. È stata infatti riscontrata, soprattutto nelle persone più anziane, “una netta riduzione della frequenza e della durata degli episodi aritmici”. Inoltre, il BDNF ha dimostrato di ripristinare la regolarità del ritmo cardiaco, migliorando la funzionalità generale del cuore.

L’ipotesi dei ricercatori è che la neurotrofina possa influenzare direttamente le cellule cardiache, modulando i canali ionici e i processi di segnalazione intracellulare coinvolti nella generazione del ritmo cardiaco.

Le prospettive

“Questi risultati – conclude lo specialista – aprono la strada a una nuova terapia anti-aritmica. Noi continueremo a indagare questo filone e analizzeremo anche l’effetto della sostanze sulle cardiomiopatie dilatative e nel post-infarto“. Con l’obiettivo di aiutare il cuore ad auto-ripararsi.

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