Fondi sanitari, business in crescita e rischi del ‘far west’ normativo

Sono schizzati in alto, in 10 anni, gli iscritti ai fondi sanitari in Italia. Se nel 2011 eravamo a quota 3,3 mln di iscritti, le stime di Itinerari Previdenziali riportano per il 2021 l’esistenza di 321 fondi sanitari e casse con oltre 15,6 milioni di iscritti. Un settore in forte crescita, che contribuisce a ridurre la spesa sanitaria a carico dei cittadini, non privo di criticità.

A puntare il dito su deregulation e scarsa trasparenza dei fondi sanitari è la Fondazione Gimbe, che – nel corso della recente audizione in Commissione Affari sociali per l”Indagine conoscitiva su forme integrative di previdenza e assistenza sanitaria’ – sottolinea la necessità di un riordino normativo del settore, cresciuto in questi anni in una sorta di far west.

Opacità del secondo pilastro

Ma cosa è successo? “A fronte di un netto aumento degli iscritti ai fondi sanitari e dell’espansione del cosiddetto “secondo pilastro”, il settore della sanità integrativa, che include le forme di welfare aziendale, è tra i meno trasparenti della sanità”, sostene Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. L’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi presso il ministero della Salute non è pubblicamente accessibile e solo dal 2018 il ministero pubblica un report ad hoc, “peraltro basato su un dataset molto limitato”.

L’avvio nel settembre 2022 dell’Osservatorio nazionale permanente dei fondi sanitari integrativi è sì un primo passo verso una maggiore trasparenza, ma “l’implementazione del nuovo cruscotto di dati sarà sperimentale fino al 2024, e solo dal 2025 sarà obbligatorio per i fondi sanitari fornire i dati richiesti, pena l’impossibilità d’iscriversi all’Anagrafe dei Fondi sanitari integrativi per fruire dei benefici fiscali”.

Gimbe

Insomma resta il nodo di “una normativa frammentata e incompleta, una deregulation che ha permesso da un lato ai fondi sanitari di diventare prevalentemente sostitutivi di prestazioni già incluse nei livelli essenziali di assistenza (Lea) mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di assumere il ruolo di gestori dei fondi in un ecosistema creato per enti non-profit, dirottando gli iscritti ai fondi verso erogatori privati”, sostengono da Gimbe.

Dove si erogano le prestazioni

Se i fondi sanitari convenzionati con una compagnia assicurativa sono aumentati dal 55% nel 2013 all’85% nel 2017, dall’altro l’erogazione delle prestazioni rimborsate dai fondi avviene quasi esclusivamente in strutture private accreditate, grazie agli accordi messi in campo dalle assicurazioni che gestiscono i fondi stessi.

Per Cartabellotta stando così le cose il sistema “sposta denaro pubblico verso l’intermediazione assicurativo-finanziaria e la sanità privata, trasformandosi progressivamente in uno strumento di strisciante privatizzazione. Un sistema su cui poggiano anche le prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del cosiddetto welfare aziendale, che usufruisce di ulteriori benefici fiscali”.

I numeri

Vediamo qualche cifra. Nel 2022 la spesa sanitaria intermediata da fondi e assicurazioni secondo i dati Istat-Sha ammonta a quasi 4,7 miliardi di euro. Cartabellotta sostiene che la spesa intermediata da fondi e assicurazioni sanitarie sia sottostimata, “in quanto la sua entità e composizione non sono quantificabili con precisione perché i dati, frammentati e incompleti, provengono da fonti multiple, in parte sovrapponibili”.

Le stime del Decimo Report di Itinerari Previdenziali riportano, complessivamente, una “marginalità” di quasi 500 milioni: nel 2022 a fronte di 2.862 milioni di euro di quote versate dagli iscritti, i fondi hanno erogato prestazioni per 2.370 milioni di euro.

“A normativa vigente i Fondi sanitari aumentano la spesa privata totale, senza ridurre quella a carico dei cittadini – sostengono da Gimbe –  e questo per tre ragioni. Innanzitutto, almeno il 30% dei premi versati non genera servizi per gli iscritti perché viene eroso da costi amministrativi, fondo di garanzia (o oneri di ri-assicurazione) e utili delle compagnie assicurative. In secondo luogo, perché inducono consumi di prestazioni inappropriate, in particolare sotto forma di “pacchetti prevenzione” privi di evidenze scientifiche, senza fornire un contributo sostanziale all’abbattimento delle liste di attesa. Infine, perché le prestazioni extra-Lea (odontoiatria, long term care) che gravano interamente sui cittadini vengono coperte solo parzialmente”.

Il mancato gettito

E ancora: a fronte di consistenti benefici fiscali concessi agli iscritti ai fondi sanitari (sino a 3.615,20 euro di deducibilità per contribuente) “è inaccettabile che non sia nota – dice Cartabellotta – l’entità del mancato gettito per l’erario conseguente alle agevolazioni riconosciute a Fondi sanitari e al welfare aziendale”.

La frattura Nord-Sud

Secondo i dati del Rapporto 2022 del think tank “Welfare, Italia”, i Fondi sanitari sono molto più diffusi al Nord (60% del totale) perché legati ai contratti di lavoro. “Va sfatata pertanto l’idea che nel Mezzogiorno possano integrare le prestazioni che lo Stato non riesce a offrire. Siamo di fronte a una frattura Nord-Sud che non si riesce a sanare”.

“Ecco perché è inderogabile un riordino normativo”. Cartabellotta pensa a un Testo unico in grado di restituire alla sanità integrativa il suo ruolo, ovvero rimborsare prevalentemente prestazioni non incluse nei Lea per riappropriarsi della funzione di supporto al Servizio Sanitario Nazionale.

“Le prestazioni sostitutive erogate dai fondi sanitari non dovrebbero più usufruire di detrazioni fiscali, perché alimentano business privati e derive consumistiche, e le risorse recuperate devono essere indirizzate al finanziamento della sanità pubblica. Infine – conclude – bisogna assicurare una governance nazionale dei fondi sanitari, oggi minacciata dal regionalismo differenziato, e garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione”. Proposte che, scommettiamo, faranno saltare sulla sedia più di un gestore.

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