Malattie croniche e rare, la cura è un labirinto per 24 mln di italiani

labirinto della cura
Aboca banner articolo

Quello degli italiani che fanno i conti con le malattie croniche o rare è un numero che un po’ fa paura. Se consideriamo che ormai, come certifica l’Istat, siamo meno di 59 milioni di persone – per la precisione 58.997.201 residenti – quasi un italiano su tre ha almeno una patologia cronica. Parliamo di 22 milioni di persone, di cui 8,8 milioni circa con una forma grave. A loro si aggiungono i circa 2 milioni di pazienti con malattie rare. Ben 24 mln di cittadini, che ogni giorno richiedono l’opera di oltre 8 milioni di caregiver non riconosciuti.

Per loro la cura può diventare un labirinto, tra mancata diagnosi, liste d’attesa chilometriche e servizi declinati in modo differente a seconda del luogo di residenza. Gironi danteschi che non risparmiano i caregiver, come mostra il XXI Rapporto di Cittadinanzattiva sulle politiche della cronicità. Insomma, sono milioni gli italiani “Nel labirinto della cura”, un report realizzato a partire dalle interviste a 97 associazioni aderenti al CnAMC (Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici e rari) di Cittadinanzattiva e a 3.552 pazienti con patologia cronica e rara, familiari e loro caregiver.

Uscire dal labirinto

“Per decidere dobbiamo prima conoscere. Quindi avere una fotografia che restituisca dei dati è fondamentale. Purtroppo però, nonostante il lavoro prezioso svolto finora da Cittadinanzattiva e non solo, difficilmente le problematiche e quindi le proposte per uscire dal labirinto cambiano di anno in anno. E’ come se ci fosse una cronicità persino dei problemi”, dice la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi, dell’Interguppo malattie rare.

Un labirinto che “è la rappresentazione opposta rispetto alla linearità del percorso di cura che dovrebbe essere assicurato ai pazienti e alle loro famiglie – come spiegato da Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva – Una condizione che non garantisce il dovuto equilibrio fra servizi sanitari e sociali per chi soffre di una patologia cronica o rara né a chi lo assiste, né tanto meno prevede il coinvolgimento dei pazienti in questo disegno”.

Tra le proposte conclusive del rapporto di Cittadinanzattiva c’è quella di lavorare sugli screening neonatali. “Con la riforma del titolo V della Costituzione e l’autonomia differenziata si potrebbe andare verso un ampliamento del divario a livello regionale, uno dei temi centrali quando si parla di malattie rare. Dunque siamo un po’ preoccupati”, è stato il commento di Boschi. “Avere una sanità che funziona incide sulle nostre vite ed è ingiusto che questo dipenda dalla sorte di dove si nasce o si vive. Così come è ingiusto che chi ha la possibilità economica di accedere al privato piò curarsi, mentre chi no deve mettersi in lista d’attesa. Il fattore tempo non è mai secondario“.

Un momento dell’incontro al ministero della Salute per discutere sul XXI Rapporto di Cittadinanzattiva sulle politiche della cronicità

Difficoltà fin dalla diagnosi

Come snodando il filo d’Arianna, i problemi iniziano fin dal primo momento, quello di dare un nome alla propria malattia. Oltre il 76,3% imputa i ritardi nella diagnosi alla scarsa conoscenza della patologia da parte del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta; il 62,9% alla sottovalutazione dei sintomi o il 51,5% alla sovrapposizione di sintomi comuni ad altre patologie; il 43,3% alla mancanza di personale specializzato sul territorio; il 39,2% al poco ascolto da parte del personale medico; il 20,6% alle liste di attesa troppo lunghe per visite ed esami.

Il labirinto si ingarbuglia nella presa in carico, quando al paziente dovrebbero essere forniti tutti i servizi di natura sanitaria e sociale di cui ha necessità: i nodi più intricati sono lo scarso coordinamento fra l’assistenza primaria e quella specialistica (62,9%), la mancata continuità assistenziale (53,6%), la carenza di integrazione tra aspetti clinici e socio-assistenziali (37.1%); le liste di attesa lunghe o addirittura bloccate (26,8%); il mancato coinvolgimento del paziente/caregiver nel piano di cura (24,7%).

“Oltre a tutto ciò oggi c’è anche un tema di personale medico e credo che su questo la legge di bilancio abbia dato un segnale sbagliato. Sui pensionamenti la norma è tornata indietro, ma il danno è fatto, perché il segnale che è stato dato è di non prevedibilità di quello che accadrà nei prossimi anni e quindi molti medici hanno preferito andare in pensione adesso. In un contesto in cui il sistema sanitario è già in crisi e mancano i medici”, aggiunge Boschi.

Manovra, salta emendamento medici: “Era ad personam, sciopero a fine gennaio”

Cure a domicilio? Un’impresa

Un momento critico è poi quello delle cure a domicilio: il 47,8% dei pazienti lamenta un numero di giorni o ore di assistenza erogati inadeguato; il 41,3% ha avuto difficoltà nella fase di attivazione/accesso; il 30,4% segnala che mancano alcune figure specialistiche e di assistenza, in particolare di tipo sociale (aiuto nella preparazione dei pasti, vestirsi, gestione delle pratiche burocratiche, ecc.); il 23,9% parla di sospensione/interruzione del servizio (mancanza di fondi, mancanza personale, ecc.).

L’esperienza di Covid-19, ha ricordato Boschi, per quanto drammatica ci ha insegnato che “è possibile avere terapie a domicilio che prima ritenevamo impensabili. Non dobbiamo tornare indietro”.

Tra riabilitazione e protesi

Chi effettua la riabilitazione ambulatoriale (tre pazienti su quattro del campione di riferimento) segnala come criticità per il 52,6% il numero insufficiente di cicli garantiti dal SSN; il 36,3% la mancata erogazione della riabilitazione dal Ssn; il 26,3% la mancanza di équipe multiprofessionali; il 22,5% l’assenza di strutture sul territorio.

Ci sono poi pazienti che necessitano di protesi, ortesi, e ausili. Si segnalano (per il 48,6%) come particolarmente critici i tempi di autorizzazione o di rinnovo; a seguire, con la metà delle segnalazioni (tra il 18 e il 19%), la differenza di prezzo tra il dispositivo previsto dal nomenclatore tariffario e quello effettivo e la non presenza nel nomenclatore stesso di presidi, protesi e ausili necessari.

Il momento dell’invalidità

Nella richiesta di invalidità civile e handicap, i cittadini hanno riscontrato come principali difficoltà la sottovalutazione della patologia da parte dei componenti della commissione medica (per il 41,1% dei pazienti); i tempi eccessivamente lunghi per la visita di accertamento (lo dice il 38,1%); l’estrema variabilità della valutazione per la stessa patologia (30,5%).

Le disuguaglianze territoriali e sociali

La difforme o addirittura mancata applicazione sui territori del Piano nazionale della cronicità e dei diversi Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA) sono gli ambiti, da un punto di vista normativo, nei quali si registrano le maggiori disuguaglianze a livello di territori. Per quanto riguarda la presa in carico, a detta delle associazioni le regioni maggiormente rispondenti alle esigenze dei pazienti sono nell’ordine: Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Lazio, Liguria, Puglia, Abruzzo, Campania, Marche, Umbria, Sardegna e Sicilia; a seguire le altre.

Rispetto alla esistenza di un Pdta per la patologia, il 47,4% delle organizzazioni fornisce una risposta affermativa; il 38,1% fornisce una risposta negativa e il 14,4% non sa. Inoltre, solo nel 32,2% dei casi si tratta di PDTA nazionali, nel 58,7% dei casi sono di livello regionale, nel 26,1% aziendali e nel 2,6% distrettuali. A livello territoriale, la Toscana è la regione con un maggior numero di Pdta, seguono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio e Piemonte.

Nella pratica quotidiana, questo comporta una serie di difficoltà che i pazienti vivono in misura diversa a seconda del territorio in cui vivono e della condizione socio-economica: il 34,6% segnala difficoltà nello svolgere o continuare a lavorare a causa della propria patologia; il 30,4% disagio nel comunicare agli altri la patologia e le sue implicazioni; il 29,6% problemi economici; il 28,3% mancanza di un supporto psicologico.

“La promozione della salute dei cittadini e il superamento delle disuguaglianze socio sanitarie sono possibili soltanto attraverso l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza introdotti nel 2017 e mai entrati in vigore – afferma Tiziana Nicoletti, responsabile del Coordinamento delle associazioni dei malati cronici e rari. In attesa di verificare l’implementazione del Decreto Tariffe, alcune prestazioni – come gli screening neonatali estesi per la diagnosi di altre malattie genetiche come la Sma, gli esami diagnostici per la celiachia, prestazioni di diagnosi e cura per la fibromialgia come anche per la Sindrome di Sjogren – non sono ancora entrate nei Lea e di conseguenza sono erogate soltanto in alcune regioni, o in alcuni territori o asl, con la conseguenza di un accesso alle cure non uniforme da parte dei cittadini”.

Il problema dell’accesso: non solo regionale

Il problema dell’accesso alle cure tuttavia, è non uniforme non solo a livello regionale ma anche locale. “Credo che un passo fondamentale sia quello di coinvolgere la Conferenza Stato-Regioni”, sostiene Silvia Tonolo, presidente Associazione nazionale malati reumatici (Anmar). “Dovrebbero fare da trade union. Anche la Costituzione garantisce che debba esserci una uniformità delle cure. Spesso gli assessori della salute si occupano anche del sociale e non si capisce allora come mai nella stessa persona non si riescano a incrociare due aspetti che si intrecciano tra loro. I costi indiretti per esempio, cioè quelli per lo spostamento che un paziente è costretto a fare per curarsi, nessuno li considera?”.

Liste di attesa e costi privati

Per ciò che attiene le liste di attesa, il 76% dei pazienti con malattia cronica e rara le riscontra nella prenotazione delle prime visite specialistiche; il 68,7% per gli esami diagnostici; il 62,4% per le visite di controllo e il follow-up; il 60% per il riconoscimento invalidità civile e/o accompagnamento; il 51% per il riconoscimento handicap; il 48,8% per l’accesso alla riabilitazione; il 44,4% per gli screening istituzionali (es., prevenzione tumori utero, mammella, colon retto); e a seguire con percentuali inferiori per gli altri ambiti dell’assistenza.

A causa di lunghe attese e della mancata copertura da parte del Ssn di alcune prestazioni, i cittadini sono costretti a pagare di tasca proprio: il 67,8% lo fa per visite specialistiche effettuate in regime privato o intramurario; il 60,9% per l’acquisto di parafarmaci (es. integratori alimentari, dermocosmetici pomate); il 55,4% per esami diagnostici effettuati in regime privato o intramurario; il 46,7% per la cosiddetta prevenzione terziaria (diete, attività fisica, dispositivi…); il 44,6% per l’acquisto di farmaci necessari e non rimborsati.

La questione caregiver

In Italia non esiste nessun riconoscimento legislativo che identifichi tutele e agevolazioni dedicate a chi quotidianamente si prende cura, a tempo pieno e non, di un familiare; soltanto tre regioni hanno emanato delle misure strutturate regionali di varia natura: Emilia Romagna, Lazio, Lombardia. In attesa di una legge nazionale che finalmente riconosca questa figura, garantendo diritti e risorse, Cittadinanzattiva ha condotto una survey da giugno a ottobre 2023, con l’obiettivo di raccogliere informazioni e approfondire bisogni specifici al fine di implementare azioni civiche e di proseguire attività di advocacy istituzionale per dare voce a tutte queste persone.  Sono state raccolte 170 storie rappresentative dei circa 8,5 milioni di caregiver.

Ebbene, il 71,8% sono donne tra i 51 e i 65 anni. Il 57% risulta occupato e si prende cura nell’80% dei casi di un genitore che soffre per il 42,4% di una malattia cronica. Il 56,5% ha dovuto abbandonare gli studi o il lavoro: una conseguenza quasi scontata se si pensa che più di due su tre (34,7%) dedicano oltre 20 ore alla cura del familiare. Tanti anche gli anni di assistenza: il 29,4 % è un caregiver da 1 a 4 anni, il 26,5% da 5 a 10 anni.

Gli ambiti in cui incontrano maggiori difficoltà nell’assistenza ai familiari sono per il 62,4% la cura della sfera emotiva e per il 52,9% la gestione degli aspetti burocratici, amministrativi e finanziari. Per una piena tutela dei loro diritti, il 61,2% ritiene necessario il riconoscimento della figura del caregiver, il 40,6% l’affiancamento di operatori esperti come aiuto nel lavoro di cura e il 40% chiede un supporto psicologico.

Le otto proposte

Ecco allora una serie di proposte concrete per guidare i cittadini fuori dal labirinto della cura:

Individuare i bisogni prioritari di ogni territorio per l’elaborazione dei piani di salute territoriale che si attui attraverso il potenziamento della prevenzione, della sanità territoriale e delle cure primarie; le scelte devono essere il frutto di un confronto costante con le organizzazioni civiche e le associazioni di pazienti.

Accrescere l’attenzione verso le condizioni di fragilità, di tipo sociale, economico e psicologico, garantendo lo stesso grado di assistenza a tutti i cittadini e il passaggio da una medicina concentrata solo sul singolo a una medicina di comunità.

Aggiornare con cadenza periodica e ravvicinata, finanziare e monitorare i Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) su tutto il territorio. Applicare il decreto di nomina della nuova commissione Lea.

Prevedere verifiche sistematiche e periodiche sul recupero delle liste di attesa rendendo trasparenti le informazioni sui modelli organizzativi applicati, sulle tempistiche e sui criteri di priorità.

Individuare e attuare modalità per affrontare la carenza del personale sanitario e far sì che questo sia sempre più pronto a fornire risposte adeguate alla comunità.

Aggiornare il Piano Nazionale della Cronicità e monitorare il raggiungimento degli obiettivi previsti.

Dare piena attuazione alla sull Screening neonata esteso; emanare i provvedimenti attuativi previsti dal Testo Unico sulle malattie rare, n. 175 del 2021; monitorare la realizzazione del Piano Nazionale Malattie rare.

Approvare in tempi brevi una normativa nazionale che riconosca il ruolo e i diritti del caregiver familiare.

“In un momento di importanti difficoltà di ordine economico, sia per il sistema Paese che per i singoli cittadini, occorre invece mettere a frutto tutte le risorse per disegnare un Servizio sanitario che sia vicino alle persone, che sappia coniugare i bisogni sociali e quelli sanitari, e che lo faccia partendo dalle esigenze dei cittadini e dei territori. È una sfida – ha concluso Mandorino – che non possiamo perdere”.

Il commento di Marco Mattei, capo Gabinetto ministero della Salute

“Non posso dimenticare di essere stato medico di medicina generale, direttore di distretto, direttore del dipartimento del territorio, direttore sanitario. Tutti questi ruoli mi hanno permesso di conoscere le malattie rare e croniche con i miei occhi e da varie angolazioni”, è stato il commento di Marco Mattei, capo Gabinetto al ministero della Salute che ha portato i saluti del ministro della Salute Orazio Schillaci.

“Purtroppo capita che non si riconosca una malattia: non la riconosce il clinico e quindi tarda la diagnosi, oppure non la riconosce il medico legale e quindi nega o concede in maniera difforme l’invalidità. Avere l’applicazione della legge 104 non è uguale per tutti. Averla applicata con il comma 1 ha un valore, con il comma 3 un altro. Sembra una sfumatura, ma cambia la vita del paziente e dei familiari. E quel comma diventa una croce per cose apparentemente ‘banali’: per parcheggiare, per uscire. Per lavorare”, ha concluso Mattei, assicurando la massima attenzione del dicastero su temi chiave per i pazienti, come i Lea e il Piano nazionale cronicità.

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.