Cure lontano da casa: 4,25 mld di euro dal Sud al Nord (e ai privati)

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Non è la prima volta che ci occupiamo di migrazione sanitaria. Un fenomeno, quello degli italiani costretti a spostarsi in cerca di cure, frenato solo dalla Pandemia, che però è subito riesploso. Nel 2021, secondo l’ultimo report di Fondazione Gimbe, dobbiamo immaginare un fiume da 4,25 miliardi che ha risalito la Penisola verso le regioni del Nord. 

Destinazione: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che assorbono il 93,3% del saldo attivo (mentre il 76,9% delle passività gravano sul Centro-Sud). Ma anche le strutture della sanità privata: delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali erogate in mobilità infatti, oltre 1 euro su 2 va nelle casse del privato. Per la precisione 1.727,5 milioni di euro (54,6%), rispetto a 1.433,4 milioni (45,4%) delle strutture pubbliche.

Come cambia la spesa

Insomma, i viaggi degli italiani in cerca di cure sono aumentati: il dato era di 3,33 miliardi nel 2020. Il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. Per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, siamo di fronte a “un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese. Un gap diventato ormai una “frattura strutturale”, destinata ad essere aggravata dall’autonomia differenziata”.

In pratica, sempre secondo Cartabellotta, si finirà per legittimare normativamente il divario Nord-Sud in termini di salute. Così, in occasione dell’avvio della discussione al Senato del DdL Calderoli, Gimbe ribadisce che “la tutela della salute deve essere espunta dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie”. Ma perchè? Vediamolo con l’aiuto del report.

Un gap che crescerà

Non ce lo dicono solo i numeri della mobilità sanitaria: il gap tra Regioni del Nord e del Sud è sempre più ampio, come dimostrano anche i dati sugli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (Lea).  Le maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto potenzieranno le performance di queste Regioni e, al tempo stesso, indeboliranno ulteriormente quelle del Sud, anche quelle a statuto speciale, sostiene il presidente Gimbe.

Un esempio fra tutti: una maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale, rischia di provocare una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose.

A fronte di tutto ciò, le Regioni del Sud non avranno alcun vantaggio: essendo tutte (tranne la Basilicata) in Piano di rientro o addirittura commissariate come Calabria e Molise, non avrebbero nemmeno le condizioni per richiedere maggiori autonomie in sanità. “Risulta ai limiti del grottesco la posizione dei presidenti delle Regioni meridionali governate dal Centro-Destra, favorevoli all’autonomia differenziata. Una posizione autolesionistica – dice Cartabellotta – che dimostra come gli accordi di coalizione partitica prevalgano sugli interessi della popolazione”.

Dove vanno gli italiani per le cure

Nel 2021 il valore della mobilità sanitaria ammonta a 4.247,29 milioni di euro. Se guardiamo le mete, c’è qualche sorpresa: Lombardia (18,7%), Emilia-Romagna (17,4%), Veneto (12,7%) raccolgono quasi la metà della mobilità attiva, ma un ulteriore 25,6% viene attratto da Lazio (9,5%), Piemonte (6,8%), Toscana (4,9%) e Campania (4,4%). Il rimanente 25,6% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 14 Regioni e Province autonome.

“I dati documentano una forte capacità attrattiva delle grandi Regioni del Nord e, con la sola eccezione del Lazio, quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud”.

Da dove ‘fuggono’

Sono tre le Regioni con maggiore indice di fuga, che generano debiti per oltre 300 milioni di euro ciascuna: in testa Lazio (12%), Lombardia (10,9%) e Campania (9,3%), che insieme compongono quasi un terzo della mobilità passiva. Il restante 67,9% della mobilità passiva si distribuisce nelle rimanenti 18 Regioni e Province autonome.

In questo caso i dati “documentano differenze più sfumate tra Nord e Sud. In particolare, se quasi tutte le Regioni meridionali hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in 4 grandi Regioni del Nord – rileva Cartabellotta – che presentano un’elevata mobilità attiva. Una conseguenza della cosiddetta mobilità di prossimità, determinata da pazienti che preferiscono spostarsi in Regioni vicine con elevata qualità dei servizi sanitari”. In dettaglio: Lombardia (-€ 461,4 milioni), Veneto (-€ 270,3 milioni), Piemonte (-€ 253,7 milioni) ed Emilia-Romagna (-€ 239,5 milioni).

Il divario

Se guardiamo i saldi, si conferma la “frattura strutturale” tra Nord e Sud, visto che le Regioni con saldo positivo superiore a 200 milioni di euro sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di 100 milioni tutte del Centro-Sud. In dettaglio:

Saldo positivo rilevante: Emilia-Romagna (€ 442 milioni), Lombardia (€ 271,1 milioni) e Veneto (€ 228,1 milioni)
Saldo positivo moderato: Molise (€ 43,9 milioni)
Saldo positivo minimo: Piemonte (€ 12,2 milioni), Toscana (€ 9,2 milioni), Provincia autonoma di Trento (€ 1,4 milioni), Provincia autonoma di Bolzano (€ 0,4 milioni)
Saldo negativo minimo: Friuli Venezia Giulia (-€ 7,6 milioni), Valle d’Aosta (-€13,6 milioni)
Saldo negativo moderato: Umbria (-€ 31,2 milioni), Marche (-€ 38,5 milioni), Sardegna (-€ 64,7 milioni), Liguria (-€ 69,5 milioni), Basilicata (-€ 83,5 milioni)
Saldo negativo rilevante: Abruzzo (-€ 108,1 milioni), Puglia (-€ 131,4 milioni), Lazio (-€ 139,7 milioni), Sicilia (-€ 177,4 milioni), Campania (-€ 220,9 milioni), Calabria (-€ 252,4).

Le prestazioni

L’86% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari e in day hospital (69,6%) e le prestazioni di specialistica ambulatoriale (16,4%). Il 9,4% è relativo alla somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,6% ad altre prestazioni (medicina generale, farmaceutica, cure termali, trasporti con ambulanza ed elisoccorso).

La sanità privata

“Il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private varia notevolmente tra le Regioni ed è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate, oltre che dell’indebolimento di quelle pubbliche”, nota Cartabellotta.

Infatti, accanto a Regioni dove la sanità privata eroga oltre il 60% del valore totale della mobilità attiva – Molise (90,5%), Puglia (73,1%), Lombardia (71,2%) e Lazio (64,1%) – ce ne sono altre dove le strutture private erogano meno del 20% del valore totale della mobilità: è il caso di Valle D’Aosta (19,1%), Umbria (17,6%), Sardegna (16,4%), Liguria (10%), Provincia autonoma di Bolzano (9,7%) e Basilicata (8,6%).

Le prospettive

I flussi economici della mobilità sanitaria scorrono storicamente da Sud a Nord, in particolare proprio verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E oltre la metà del valore delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale è erogato dal privato accreditato, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica. Questi dati “confermano un gap enorme tra il Nord e il Sud del Paese, inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche Regioni settentrionali”. Il rischio insomma, conclude Cartabellotta, è quello di dare in questo modo “il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale”. Che già non se la passa bene.

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