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Aorta, paziente salvato a Roma con protesi ‘su misura’

Yamume Tshomba arteria protesi
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Una protesi dell’aorta modificata ad hoc, grazie a un modello in resina stampato in 3D. A realizzarla, salvando la vita a un paziente 65enne della provincia di Avellino, sono stati i medici del Policlinico Gemelli di Roma, grazie alla collaborazione di uno specialista francese, noto in tutto il mondo per avere la più ampia casistica in questo tipo di interventi.

Il paziente, che presentava numerosi fattori di rischio cardiovascolare – ipertensione, diabete, colesterolo alto, fumo di sigaretta – è arrivato a un passo dalla rottura dell’arco aortico (il primo tratto del grande vaso). Tutto questo a causa dell’ulcerazione di una grossa placca aterosclerotica. Ma vediamo meglio in cosa è consistito l’intervento, mentre il paziente – tornato a casa a pochi giorni dall’operazione – ora sta bene, come hanno confermato gli esami di controllo. 

L’aorta

Al centro dell’intervento c’è l’arteria più importante di tutto l’organismo: irrora di sangue tutti gli organi e i tessuti. Nel caso di Paolo (nome di fantasia), l’insidia era rappresentata dall’ulcerazione di una placca aterosclerotica. La rottura dell’aorta avrebbe causato un’emorragia toracica massiva, cosa che può portare rapidamente alla morte.

In questi casi, di solito, si sostituisce l’arco dell’aorta con una protesi vascolare, suturandola alla parte sana dell’aorta. Ma si tratta di un intervento complesso, in sternotomia e anestesia generale, che prevede circolazione extra-corporea. Una soluzione troppo rischiosa per il paziente. Così un’equipe multidisciplinare specialistica composta da cardiochirurghi, chirurghi vascolari, cardiologi e cardio-anestesisti del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari del Gemelli diretto dal professor Massimo Massetti ha deciso di optare per un intervento percutaneo, utilizzando un’endoprotesi.

L’approccio minivasivo

Come spiega il professor Yamume Tshomba (nella foto), ordinario di Chirurgia Vascolare all’Università Cattolica e direttore della scuola di specializzazione in chirurgia vascolare, si tratta di un approccio che non prevede incisioni chirurgiche. “L’endoprotesi vascolare utilizzata per riparare l’aorta è racchiusa in un introduttore del diametro di pochi millimetri, che viene inserito dai vasi dell’inguine, pungendo la cute, per poi risalire fino al tratto di aorta da riparare. L’endoprotesi una volta in sede viene rilasciata, per ‘foderare’ il tratto di aorta malato dall’interno, rinforzandone la parete e scongiurandone così la rottura”, ha detto lo specialista.

“Quando il tratto da riparare è l’arco dell’aorta – ha aggiunto Tshomba – c’è il grosso problema costituito da tre importanti tronchi arteriosi: il tronco brachiocefalico, la carotide comune sinistra e l’arteria succlavia sinistra che non possono essere coperti dall’endoprotesi. Per evitare di ostruire questi importanti vasi (che portano sangue al cervello e agli arti superiori), si ricorre a ditte specializzate che ‘customizzano’, cioè adattano la protesi vascolare sulla base dell’anatomia del singolo paziente. Si tratta di un procedimento che richiede però qualche settimana e nel caso di Paolo – ha precisato lo specialista – non avevamo questo tempo a disposizione, perché la rottura dell’arco era imminente e non ci avrebbe consentito di aspettare. Per questo abbiamo contattato il più grande esperto al mondo in questo campo: Ludovic Canaud, professore di chirurgia toracica e vascolare all’Ospedale Universitario di Montpellier (Francia). Il professor Canaud è venuto appositamente al Gemelli, in una situazione di urgenza, per adattare l’endoprotesi da applicare al signor Paolo”.

Cosa hanno fatto gli specialisti

“Di fronte a un paziente complesso – ha rilevato Massimo Massetti – è molto importante la condivisione e la discussione del caso all’interno dell’Aortic Team, ma altrettanto importante è una discussione collegiale, anche internazionale, con pionieri di alcune tecnologie. È questo il metodo di lavoro di un Team multidisciplinare, che mette in sinergia competenze e risorse al fine di realizzare una cura sempre più personalizzata sui bisogni del paziente”.

La protesi vascolare è stata estratta dal suo introduttore e, in ambiente sterile, i medici hanno “praticato delle fenestrazioni sulla protesi, la prima di 32 mm per consentire la pervietà del tronco brachio-cefalico (tronco anonimo) e della carotide comune di sinistra; la seconda di 8 mm per consentire la pervietà dell’arteria succlavia di sinistra – ha raccontato Giovanni Tinelli, associato di Chirurgia Vascolare dell’Università Cattolica, che ha partecipato all’intervento – L’endoprotesi è stata quindi inserita di nuovo nell’introduttore, attraverso il quale l’abbiamo posizionata nel tratto di aorta a rischio rottura, mantenendo però la pervietà dei tronchi sovraortici, grazie alle fenestrazioni praticate in questo tubo di tessuto sintetico sostenuto da una struttura di metallo”.

Il risultato

Trattandosi di un intervento urgente e ‘off label’, al paziente è stato chiesto di firmare un consenso informato specifico. Una scelta vincente: il paziente è tornato a casa e la Tac di controllo “è perfetta”, concludono i medici.

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