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La Radio nel Tevere, il morbo di K e le pietre dorate: la Shoah della scienza

Le quattro pietre di inciampo dedicate alla famiglia Anticoli (credits: Pier Saverio Pizzichemi, Ufficio stampa Cnr)
Gilead

In un’epoca in cui tornano le parole dell’odio – sui muri delle nostre città ma ancor di più sulle bacheche dei Social – e il bilancio del conflitto in Medio Oriente lascia sgomenti, diventa forse ancora più importante fermarsi a ricordare nomi e storie dei protagonisti della Shoah.

Una una ‘calamità’ che tolse la vita a circa 7.500 ebrei italiani e che mostra il costo in vite umane di egoismo, distrazione, crudeltà, ignoranza, invidia. Ma anche la forza di quanti, pur in condizioni difficilissime, non hanno dimenticato la propria umanità, contribuendo con creatività, immaginazione e coraggio – come mostrano il caso celebre del Morbo di K o la storia della radio nel Tevere – a salvare tanti uomini, donne e bambini. Alimentando la speranza.

Le pietre della memoria

Ormai da anni ad aiutarci a ricordare i nomi di chi è stato travolto dal male è lo scintillio delle pietre d’inciampo ideate dell’artista tedesco Gunter Demnig: ‘sampietrini’ coperti da una piastra d’ottone incisa con i dati dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. Un’iniziativa partita da Colonia nel 1992, che si è diffusa in tutta Europa e quest’anno è approdata al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr).

Nelle scorse settimane sono state infatti collocate, nel piazzale di fronte alla sede romana del Cnr, quattro pietre di inciampo in memoria della famiglia Anticoli: ricordano Giacomo Anticoli – dipendente dell’Ente che per motivi di servizio dimorava nell’edificio dove ha sede l’amministrazione centrale – la moglie Gemma e le figlie Luciana e Fiorella, deportati ad Auschwitz dopo il Rastrellamento del Ghetto di Roma.

Perchè in Italia la Shoah travolse anche la scienza. Con tanti medici e ricercatori privati del camice o allontanati dalle università e dai centri di ricerca. Come la famiglia Anticoli, espulsa dal Cnr in conseguenza dell’applicazione delle “leggi razziali”. O come Raffaele Lattes, Ettore Ravenna e Salomone Franco, costretti a lasciare i loro studi, o il nostro Paese, per sfuggire alle persecuzioni. O come il futuro premio Nobel Rita Levi-Montalcini, espulsa dall’Università di Torino nel 1938, che a Firenze allestì un laboratorio nella sua camera da letto per continuare la sua ricerca.

La creatività contro il male

Di fronte al male, scienza (e fantasia) hanno trovato il modo per salvare vite umane. A testimoniarlo è la storia del Morbo di K, una fakenews salvifica che i lettori di Fortune Italia hanno imparato a conoscere, anche grazie al racconto di Dario Manfellotto, presidente della Fondazione Fadoi e per molti anni direttore del Dipartimento di Medicina interna dell’ospedale Fatebenefratelli: “Era la mattina del 16 ottobre 1943, l’inizio del rastrellamento al ghetto. Decine di persone cercarono riparo al vicino ospedale Fatebenefratelli. Arrivati sull’Isola furono accolti dal medico Vittorio Sacerdoti e dal primario di Medicina interna Giovanni Borromeo, e quest’ultimo decise di ricoverarli tutti”.

Proprio Borromeo, assieme al suo aiuto Adriano Ossicini (medico e psichiatra e poi senatore della Repubblica e ministro) e a Sacerdoti, ideò questa malattia infettiva molto grave: “Il ‘Morbo di K’, dove la K stava a indicare l’ufficiale tedesco Herbert Kappler o il generale tedesco Albert Kesselring. Hanno protetto tante persone con questo artificio: i finti ricoverati vennero sistemati in un reparto speciale, in isolamento. Il morbo veniva descritto come una malattia degenerativa molto contagiosa”, ha raccontato Manfellotto. Per i tedeschi oltretutto il morbo di K evocava la malattia di Koch, ossia la tubercolosi: i militari ne erano terrorizzati. Anche perché i medici italiani descrivevano una malattia infettiva molto contagiosa, con convulsioni, paralisi degli arti e morte per asfissia. La paura del contagio allontanò le SS. E questo salvò decine di ebrei.

Fatebenefratelli
Isola Tiberina a Roma

La radio di Fra Maurizio

Anche Fra Maurizio Bialek, priore dell’Ospedale San Giovanni Calibita all’Isola Tiberina, fu parte attiva della Resistenza. “Con una radio installata in Ospedale – ha ricordato Manfellotto – Bialek potè comunicare con i partigiani. Verso la fine del maggio ’44 fascisti e tedeschi irruppero nel nosocomio alla ricerca della trasmittente: fu proprio Fra Maurizio a fare a pezzi la ricetrasmittente e a gettarla nel Tevere per evitare che fosse trovata”.

Il potere della memoria

Ricordare questi eventi è importante. “C’è una memoria collettiva e una memoria del singolo – dice a Fortune Italia Antonella Elena Rossi, pedagogista e psicologa – Pensiamo al 2020: ricordiamo tutti come Covid-19 ha travolto la nostra comunità, oltre a noi stessi. Ebbene, questa è una memoria che ha insegnato qualcosa allì’umanità e su cui dobbiamo investire. Dalla memoria collettiva passiamo a quella storica: ricordare la Shoah e i fatti che hanno coinvolto l’umanità è fondamentale perchè diventa uno spartiacque che ci fa fare un passo evolutivo”.

“La memoria storica – dice Rossi – ci parla di eventi tragici, ma ci aiuta anche a uscire dalle crisi. Far diventare questi eventi drammatici patrimonio di tutti è fondamentale per non perdere ciò che è accaduto. Dimenticare vuol dire tornare indietro, non far tesoro di ciò che è accaduto. Invece dobbiamo ricordare e soprattutto domandarci perché è successo tutto questo: individuare i fattori che scatenano simili catastrofi. Solo così – avverte la psicologa – possiamo far tesoro del passato e progredire. Di fronte a ogni conflitto, a ogni guerra, dovremmo guardare indietro, per far sì che il futuro sia migliore”. Un monito che oggi appare ancor più importante.

La luce della memoria

La calamità della Shoah ha travolto anche scienza e medicina, ma c’è chi ha opposto al male il proprio sapere, la propria umanità. “Il mondo culturale e scientifico-accademico sono stati tra i più colpiti dai ‘Provvedimenti per la difesa della razza italiana’ del 1938 – ha ricordato la presidente del Cnr Maria Chiara Carrozza, nel corso della cerimonia per pietre di inciampo in memoria della famiglia Anticoli – moltissimi cittadini ebrei vissero l’umiliazione dell’allontanamento da scuola, università e della sospensione da tutte le cariche e impieghi pubblici”.

L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha istituito la Pagina della Memoria, un portale dove raccogliere le testimonianze di chi ha conosciuto la deportazione, la violenza antirazziale. “In un mondo che deve ancora diventare maturo – ha affermato il presidente di Ingv Carlo Doglioni – comprendere che, come ha dimostrato Luigi Cavalli Sforza, sulla Terra esiste una sola specie umana, non ci sono razze diverse, che la solidarietà dei popoli è una conquista possibile è utile a tutti. Anche la figlia di Leone Anticoli, Fiorella, due anni, fu deportata il 16 ottobre 1943. La memoria è una potente arma di difesa alla quale non possiamo rinunciare, per un futuro di ragionevolezza e convivenza pacifica”. La “Pagina della Memoria” è una pietra d’inciampo per la scienza e la cultura. Che possono e devono essere ponti fra le persone e i popoli.

Il vero rischio allora, come sottolinea Antonella Elena Rossi, “è dimenticare: la memoria è anche una forma di empatia che ci mette in contatto con l’altro. Continuare a ricordare – conclude – ci fa evolvere e ci trasforma. Così diventa un potentissimo antidoto al male: dobbiamo coltivare la memoria della Shoah nelle scuole, nelle università. Perchè vivere solo nel presente, dimenticando il passato, apre la porta alle catastrofi”.

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