Autonomia differenziata e Ssn, rischi non solo per il Sud

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Non saranno solo le Regioni del Sud a rischiare l’implosione con l’autonomia differenziata. Il disfacimento dei sistemi sanitari regionali e l’impatto della migrazione in cerca di cure rischia infatti di sovraccaricare il Nord, che potrebbe ‘pagare’ i suoi vantaggi, misurabili anche in termini di aspettativa di vita. E a risentirne sarà il Ssn, già alle prese con una serie di pesanti criticità (a partire dal personale).

A riaccendere i riflettori sui rischi legati al Ddl Calderoli per il Ssn (e in definitiva per i pazienti) è l’ultimo report di Fondazione Gimbe, che segnala come nel periodo 2010-21 tutte le Regioni del Sud eccetto il Molise – Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia – per via della mobilità sanitaria hanno accumulato complessivamente un saldo negativo da 13,2 mld di euro, mentre sul podio per saldo attivo si trovano (e non è un caso) le tre Regioni che hanno già richiesto le maggiori autonomie.

Insomma, se la posizione della Fondazione di Nino Cartabellotta in materia non è nuova, la convinzione è che il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata – approvato al Senato e in discussione alla Camera – possa segnare un punto di non ritorno per la sanità pubblica, non solo quella meridionale, già fortemente in affanno. Con “serie preoccupazioni riguardo all’equità di accesso alle cure”, dice Cartabellotta.

Cittadini di serie A e B

Il punto è che la sanità del Sud non è riuscita a colmare il suo pesante e annoso ritardo. A dircelo sono gli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) – le prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket – valutati nel decennio 2010-2019: nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nella top five della classifica. Inoltre con il nuovo sistema che ha sostituito la griglia Lea, nel 2020 delle 11 Regioni adempienti l’unica del Sud è la Puglia, a cui nel 2021 si aggiungono Abruzzo e Basilicata. Sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni del Sud sono ultime tra quelle adempienti.

Sanità e aspettativa di vita

Conviene allora dare un occhio a un altro dato. Nel 2022, a fronte di un’aspettativa di vita alla nascita media di 82,6 anni, passiamo dagli 84,2 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81 anni della Campania, ben 3,2 anni in meno. E in tutte le 8 Regioni del Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale.

I viaggi in cerca di cure

Intanto gli italiani continuano a muoversi in cerca di cure migliori, soprattutto dal Centro-Sud. Nel 2021, su  4,25 miliardi di euro di valore della mobilità sanitaria, il 93,3% di quella attiva si concentrava in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, mentre il 76,9% del saldo passivo gravava su Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.

Obiettivi Pnrr, chi va a rilento

Performance peggiori anche sugli obiettivi della Missione Salute del Pnrr nel caso delle Regioni del Centro-Sud: dagli over 65 da assistere in Adi con abnormi obiettivi di incremento di circa il 300% per Campania, Lazio, Puglia e oltre il 400% per la Calabria, all’attuazione del fascicolo sanitario elettronico con percentuali di attivazione e alimentazione molto basse; dal numero di strutture da edificare (Case della Comunità, Centrali Operative Territoriali, Ospedali di Comunità), alla dotazione di personale infermieristico, ben al di sotto della media nazionale soprattutto in Campania, Sicilia e Calabria.

Una frattura che rischia di diventare deriva

Insomma, “persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali. Siamo oggi davanti ad una frattura strutturale Nord-Sud che compromette qualità dei servizi sanitari, equità di accesso, esiti di salute e aspettativa di vita alla nascita, alimentando un imponente flusso di mobilità sanitaria dal Sud al Nord. Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze già esistenti”, dice Cartabellotta, convinto che la sanità non vada messa sul tavolo delle maggiori autonomie. “Perché non è ammissibile che venga violato il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto alla tutela della salute, legittimando normativamente il divario tra Nord e Sud“. E perchè il collasso delle Regioni meridionali rischia di avere un impatto anche sulla sanità del Nord, come vedremo fra poco.

Il Ssn tutto attraversa una gravissima crisi di sostenibilità e il sotto-finanziamento, ragionano da Gimbe, costringe anche le Regioni virtuose del Nord a tagliare i servizi o ad aumentare le imposte per evitare il Piano di rientro. C’è poi la questione Lep, di cui ci siamo già occupati. In ogni caso “le maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto ne potenzieranno le performance sanitarie, indebolendo ulteriormente quelle delle Regioni del Sud, incluse quelle a statuto speciale”, che rischiano di trovarsi ancor più a corto di personale.

L’effetto paradosso e il caso Lombardia

Attenzione, perchè l’indebolimento ulteriore dei servizi sanitari nel Mezzogiorno “rischia di generare un effetto paradosso nelle ricche Regioni del Nord che, per la grave crisi di sostenibilità del Ssn, non possono aumentare in maniera illimitata la produzione di servizi e prestazioni sanitarie. Di conseguenza – avvertono da Gimbe – un massivo incremento della mobilità verso queste Regioni rischia di peggiorare anche l’assistenza sanitaria per i propri residenti”.

Una “spia rossa” si è già accesa in Lombardia, “che nel 2021 si trova sì al primo posto per mobilità attiva (732,5 milioni), ma anche al secondo posto per mobilità passiva (-461,4 milioni): in altre parole – dice Cartabellotta – un numero molto elevato di cittadini lombardi va a curarsi fuori Regione”.

Il Sud bloccato dai piani di rientro

Tutte le Regioni del Mezzogiorno – Basilicata esclusa – si trovano insieme al Lazio in regime di Piano di rientro, con Calabria e Molise commissariate, status che impongono una “paralisi” nella riorganizzazione dei servizi. Ecco allora che “nessuna Regione del Sud oggi può avanzare richieste di maggiori autonomie in sanità”, ammonisce Cartabellotta.

Insomma, per tutte queste ragioni “l’autonomia differenziata non potrà mai ridurre le diseguaglianze in sanità. Non solo porterà al collasso la sanità del Mezzogiorno, ma darà anche il colpo di grazia al Ssn, causando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti”, conclude Cartabellotta. Qualcuno potrebbe prenderlo come un monito ‘alla Cassandra’, dimenticando però che la sfortunata figlia di Priamo aveva sempre ragione.

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