Influenza aviaria: negli animali è già pandemia? L’analisi

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Dopo gli uccelli sono arrivate mucche e capre, insieme a qualche caso nell’uomo. Così l’allerta sull’influenza aviaria  A/H5N1 è salita di lvello. Tanto che, secondo lo Chief Scientist dell’Organizzazione mondiale della sanità Jeremy Farrar siamo già di fronte a “una pandemia animale globale“. Una zoonosi che, “nel corso degli ultimi uno-due anni”, si è diffusa “efficacemente” in a livello globale. Anche se, come si legge su ‘UN news’, a oggi non è stata registrata trasmissione interumana (da uomo a uomo) del virus.

La preoccupazione

“La grande preoccupazione, ovviamente, è che così facendo e infettando anatre e polli, ma ora sempre più mammiferi, il virus si evolva e sviluppi la capacità di infettare gli esseri umani. E poi quella di trasmettersi da uomo a uomo”, ha detto Farrar. Anche perchè l’H5N1 ha avuto un tasso di mortalità “estremamente alto” tra le persone che sono state contagiate.

Una preoccupazione condivisa dall’epidemiologo dell’Università Campus Bio-Medico Massimo Ciccozzi, che al virus dell’influenza aviaria ha già dedicato diverso studi. “Il fatto è che questo virus si è ormai diffuso in diverse parti del mondo e ha fatto il salto di specie: dagli uccelli ai mammiferi. Quindi sì: possiamo parlare di una zoonosi pandemica o di una pandemia zoonotica“, sottolinea l’esperto a Fortune Italia.

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Le priorità

“Devo dire che condivido la preoccupazione dell’Oms: ad alimentare la circolazione di questo virus sono gli allevamenti intensivi. Ma qui entriamo in un ragionamento di tipo economico”, sottolinea Ciccozzi, che parlando con Fortune Italia aveva già sottolineato i rischi legati al virus dell’influenza aviaria.

E se Farrar ha sollecitato un attento monitoraggio e attività di indagine da parte delle autorità sanitarie pubbliche, perché il virus H5N1 “potrebbe evolversi e trasmettersi in modi diversi”, Ciccozzi da tempo richiama l’attenzione sulla sorveglianza, “ma anche sul rispetto di regole mirate a proteggere chi lavora negli allevamenti e a contatto con gli animali”.

“Il fatto è che i maggiori controlli dovrebbero essere attuati in tutto il mondo. Non è un caso che questi virus si diffondano spesso a partire da allevamenti o mercati animali in Oriente”, aggiunge Ciccozzi. “Adesso occorre evitare le infezioni nell’uomo dal mammifero: chi lavora a contatto con gli animali, insomma, deve essere protetto dall’infezione. Questo perchè, come abbiamo visto nel nostro studio, un ‘movimento’ a livello del virus c’è, e noi dobbiamo evitare che H5N1 sviluppi la capacità di trasmettersi efficacemente da uomo a uomo“.

Nuove parole per i patogeni

L’Oms ha anche annunciato l’intenzione di aggiornare il linguaggio usato per descrivere i patogeni presenti nell’aria. La definizione ‘particelle respiratorie infettive’ (“infectious respiratory particles” o Irp), ad esempio, dovrebbe essere utilizzata al posto di ‘aerosol’ e ‘droplet’ (goccioline), per evitare confusioni riguardo alla dimensione (o alla natura) delle particelle coinvolte. “È corretto: se le feci di uccelli o mammiferi infetti si secca, diventa polvere e anche l’inalazione di questo materiale può essere un veicolo di infezione”, commenta Ciccozzi.

Il richiamo

Insomma, “in un’ottica One Health è fondamentare sorvegliare in modo attento gli allevamenti, in particolare quelli intensivi. Per intercettare eventuali evoluzioni del patogeno e poter rispondere in modo efficace alla minaccia rappresentata dall’influenza aviaria”, conclude l’epidemiologo italiano.

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