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Cicatrici di guerra: risultati promettenti dall’Ucraina col metodo Made in Italy

biodermogenesi cicatrici
Adyen Articolo
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“Contro le cicatrici di guerra ora c’è una speranza”. Parola di Yehor Kolodchenko (a destra nella foto principale), presidente dell’Association of Laser Medicine and Cosmetology – Kyiv, Ukraine, che ha presentato al Congresso Sime 2025 di Roma i primi risultati del progetto “Mission to Kiev”, nato per offrire un percorso terapeutico ai feriti di guerra ucraini, segnati da cicatrici e lesioni della pelle nel volto e nel corpo.

Un’emergenza nell’emergenza: solo tra febbraio 2022 e il 31 dicembre 2024 secondo le stime nel Paese sono rimasti feriti almeno 28.382 civili, tra cui 1.833 bambini. E la guerra continua. Su PubMed però sono solo 18 gli studi pubblicati sulle cicatrici di guerra: le principali ferite sono da ustione, conseguenza del fatto che l’aria intorno alle esplosioni diventa rovente per un raggio di decine di metri.

Proprio per dare risposte concrete ai bisogni di queste persone, circa un anno fa il progetto RigeneraDerma – ideato per curare gratuitamente le cicatrici delle donne vittime di violenza – è stato esteso pro bono a militari e civili feriti nel corso della guerra d’Ucraina.

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Il metodo ideato in Italia

Ideato da Maurizio Busoni 8a sinistra nella foto principale), professore presso il Master di Medicina Estetica delle Università di Barcellona e Camerino, il metodo Biodermogenesi combina tre funzioni: il vacuum che favorisce la riattivazione del microcircolo cutaneo; i campi elettromagnetici, capaci di favorire l’ossigenazione della pelle; la stimolazione elettrica, per veicolare i principi attivi e potenziare la produzione di collagene. Con un unico obiettivo: migliorare, davvero, l’aspetto della pelle.

Anche Mission to Kiev è nata da un’idea di Busoni, con il patrocinio dell’Università di Verona e la collaborazione del professor Andrea Sbarbati, dell’ingegner Sheila Veronese, del professor Francesco D’Andrea dell’Università Federico II di Napoli e del dottor Yehor Kolodchenko.

I risultati di Mission to Kiev

Sono stati sviluppati dei protocolli terapeutici appositi per le cicatrici di guerra, più complesse a causa dei composti chimici abbinati ai proiettili e agli esplosivi destinati ad aggredire la pelle a lungo. Il team ha presentato uno studio preliminare su 67 pazienti (15 bambini, 26 donne e altrettanti uomini) che hanno avuto tutti un esito positivo, estetico e funzionale. Questi dati saranno oggetto di un articolo scientifico, il primo indicizzato su PubMed a dimostrare la possibilità di migliorare le cicatrici di guerra.

Nessun dolore per i pazienti

“Come medico apprezzo molto il trattamento delle cicatrici con Biodermogenesi nei nostri pazienti che hanno subito ustioni e lesioni da esplosione e da combattimento, poiché è completamente indolore, non traumatico e non invasivo – ha sottolineato Kolodchenko – È privo di tempi morti e migliora davvero la condizione della pelle, riducendo le contratture senza effetti collaterali, a differenza delle diffuse tecniche di ablazione laser. Inoltre, al momento, mancano pubblicazioni sul trattamento delle cicatrici di guerra con Energy Based Device”.

Un momento del trattamento di una paziente in Ucraina/Courtesy Mission to Kiev

“Nonostante la storia dell’umanità sia scandita dalle guerre, sino ad oggi nessuno si è preoccupato di curare le cicatrici dei feriti sopravvissuti – ha ricordato Busoni -Attualmente non esiste un protocollo terapeutico convalidato, né una scala di valutazione del danno determinato da tali cicatrici. Così siamo partiti dallo studio delle cicatrici di guerra e delle loro conseguenze, come dermatiti gravi e talvolta croniche o devastanti forme di tumore cutaneo, come le ulcere di Marjolin, che si possono manifestare anche 30 anni dopo la ferita. Questo ci ha permesso di sviluppare una scala di valutazione delle cicatrici di guerra che abbiamo denominato POWASAS (acronimo di Patient and Observer WAr Scar Assessment Scale), adottata per Mission to Kiev”.

Il progetto non finisce qui, ma Busoni si è detto soddisfatto dei dati raccolti. “Realizzare per primi un protocollo terapeutico per le cicatrici di guerra era una sfida che mi ha reso difficile dormire, sia per la difficoltà di tali cicatrici, sia perché non volevo illudere i pazienti, già provati dalla vita, di poter ottenere dei miglioramenti che non si sarebbero poi realizzati. Oggi sappiamo che anche le componenti chimiche che rendono così complesse queste cicatrici possono essere gestite con successo e che possiamo veramente contribuire a migliorare la qualità della vita di tante persone”.

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