Coronavirus, Intesa: si rischia di sottostimare l’impatto economico

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I modelli previsionali finora utilizzati potrebbero “sottostimare l’impatto economico” della diffusione del coronavirus, “sia per la Cina sia per altri Paesi, e dunque per l’economia mondiale”. A dirlo è uno studio di Intesa Sp sugli effetti economici del virus in Cina, visionato dall’Adnkronos. L’ufficio studi, oltre a stimare un impatto economico maggiore del coronavirus rispetto alla Sars del 2003, giustifica la sua lettura elencando vari fattori economici. Ricorda che ”il grado di integrazione economica e finanziaria tra i Paesi è oggi più elevato rispetto al passato dato l’aumento del commercio dei beni intermedi, l’integrazione delle catene produttive globali, concentrate soprattutto in Asia, e la maggiore apertura dei mercati dei capitali”.

A questo si aggiunge “l’effetto di calo della fiducia di consumatori e investitori e il riflesso che esso sta avendo sui mercati finanziari, che potrebbe essere più duraturo a seconda dell’evoluzione della pandemia”. Per Intesa Sp quindi ”i rischi sul nostro scenario di base sono quindi al ribasso, sia per la Cina sia per le economie di altri paesi. L’impatto economico dipende inoltre dalla collocazione del picco dei contagi, difficile da prevedere, e dal conseguente allentamento delle misure di quarantena e di restrizione alla mobilità, nonché dal diverso peso rispetto al PIL di alcuni settori. A livello settoriale è ragionevole aspettarsi gli impatti più significativi sul settore del turismo, ma soprattutto sul settore del commercio al dettaglio e immobiliare, i cui pesi sul PIL sono tra i più elevati (9,7% e 7% rispettivamente) e in aumento rispetto al 2003 (8,1% e 4,5%), seguiti dal settore dei trasporti (4,3%)”.

Intesa Sanpaolo inoltre rivede al ribasso le previsioni di crescita del Pil cinese dal 5,8% al 5,4% nel 2020. Percentuale che potrebbe calare ulteriormente al 4,9% nello scenario più pessimista, in cui il numero dei contagiati continuasse a salire e le misure di prevenzione si prolungassero al 2° trimestre, ritardando la ripresa. ”L’epidemia del nuovo Coronavirus, scoppiata in Cina a cavallo d’anno, rischia di far deragliare, almeno temporaneamente, il moderato miglioramento dell’attività economica degli ultimi mesi del 2019, in gran parte favorito alla ritrovata fiducia per la firma della fase 1 dell’Accordo commerciale tra Cina e USA. I rischi più rilevanti per la Cina, all’attenzione delle stesse Autorità, derivano da possibili fallimenti delle imprese, che potrebbero alimentare disordini sociali con un mercato del lavoro che già mostrava segnali di deterioramento. Lo stesso presidente Xi Jinping, in una delle due riunioni straordinarie del comitato direttivo del Politburo tra fine gennaio e inizio febbraio, ha sottolineato i rischi per la stabilità sociale che il virus potrebbe avere, definendolo un test per il sistema e la capacità di governance della Cina”. Per questi motivi ”riteniamo che le Autorità siano orientate a varare un mirato stimolo fiscale in aggiunta a un moderato allentamento monetario. Il target di crescita, già atteso intorno al 6% per il 2020 rispetto all’intervallo 6.0-6,5% del 2019, potrebbe in ogni caso essere rivisto ulteriormente al ribasso quando verrà ufficialmente presentato alla riunione plenaria annuale del Parlamento, attesa verosimilmente dal 5 marzo”.

Secondo Intesa Sanpaolo ”le misure di restrizione alla mobilità e il blocco della produzione in diversi distretti industriali rendono ragionevole attendersi un impatto sull’economia superiore a quello registrato nell’anno della SARS. Ipotizzando un picco dei contagi nel 1° trimestre dell’anno e uno shock all’economia originato da un netto rallentamento di consumi privati e investimenti, seguito da un recupero nei trimestri successivi, gli effetti di rallentamento dell’economia appaiono sensibili ma transitori e confinati, per lo più, al 1° trimestre”.

”Il peso della Cina nell’economia mondiale è del 19,3% (2019 IMF, PIL a parità di potere d’acquisto), molto più elevato rispetto a quello del 2003 (8,7%) e la Cina contribuisce per circa un terzo alla crescita mondiale attraverso non solo i flussi di import export, ma anche degli investimenti”, si legge nello studio di Intesa Sp sugli effetti economici del coronavirus. ”Il grado di apertura del conto finanziario e dei capitali è maggiore rispetto al 2003 e le relazioni economiche tra i vari paesi sono molto più intense rispetto al passato dato l’aumento del commercio dei beni intermedi e l’integrazione delle catene produttive globali, concentrate soprattutto in Asia”.

Secondo lo studio gli effetti negativi sul settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio cinese “potrebbero essere mitigati dalla diffusione delle vendite on-line, sia di beni sia di servizi”. Queste ultime, “inesistenti nel 2003, hanno raggiunto circa 10,5 trilioni di CNY nel 2019 (circa 1,5 trilioni di dollari). Le vendite di soli beni, pari a 1,2 trilioni di dollari, sono state pari all’8,6% del PIL nel 2019 e al 21% delle vendite al dettaglio. La diffusione dell’utilizzo di internet e dell’intelligenza artificiale permette inoltre la vendita o l’erogazione di servizi on-line, da quelli assicurativi e bancari a quelli sanitari, indipendentemente dalle restrizioni alla mobilità”.

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